Marco Guerra – Città del Vaticano
La Siria sta vivendo una crisi senza fine dimenticata dalla comunità internazionale e da buona parte dei media. Dopo oltre undici anni di conflitto la Chiesa continua ad essere in prima linea nel sostegno alla popolazione colpita dalle distruzioni, dalle violenze, dalla crisi economica, dal terrorismo, dalle sanzioni internazionali e dalla massiccia emigrazione di milioni di persone, in special modo i giovani, in cerca di sicurezza e sostegno umanitario.
I numeri dell’emergenza umanitaria
La guerra ha provocato quasi 400mila morti e 200mila dispersi, secondo le cifre dell’Osservatorio siriano per i diritti umani. Su una popolazione di 21 milioni di persone prima della guerra, 6,6 milioni sono fuggite dalla Siria per cercare rifugio all’estero, principalmente negli Stati vicini. Inoltre le statistiche rivelano che il 90 per cento della popolazione rimasta nel Paese è costretta a vivere sotto la soglia della povertà. Il Programma alimentare mondiale (Pam) ha stimato che più di 12 milioni di siriani, ossia il 60 per cento della popolazione, vive in situazione di insicurezza alimentare. In totale sono 14,6 milioni le persone con bisogno di aiuto umanitario, di cui 9,6 urgente.
Sostenere la sanità distrutta
La violenza del conflitto non ha risparmiato le strutture sanitarie e per accendere i riflettori su questa situazione, oggi a Roma, presso il Palazzo della Cancelleria, si è svolto il Convegno ‘Per non dimenticare la Siria e i siriani’ organizzato da Avsi insieme al Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale e il Dicastero per le Chiese orientali. L’evento è la cornice privilegiata per presentare i risultati del progetto di Avsi Ospedali Aperti in Siria, avviato nel 2017 e sostenuto grazie alle donazioni di piccoli donatori privati, grandi aziende, il governo italiano e ungherese e numerose Conferenze episcopali europee.
Silvestri (Avsi): obiettivo 140mila prestazioni sanitarie
“Il progetto nasce dall’intenzione del nunzio in Siria che vedendo la drammatica situazione nel Paese ci ha chiesto di sostenere le strutture della sanità cattolica. Si tratta di tre ospedali, ognuno gestito da una congregazione religiosa che offre cure sanitarie gratuite per tutta la popolazione”, spiega in apertura del convegno il segretario dell’Avsi Gianpaolo Silvestri. Nel suo intervento Silvestri riferisce di 80mila prestazioni erogata dai tre ospedali di Damasco e Aleppo e i quattro dispensari sparsi nelle aree più remote, “L’obiettivo è quello di arrivare a 140mila prestazioni entro la fine del 2024”. “L’iniziativa di oggi serve a presentare i risultati ma soprattutto a rilanciare il progetto e a promuoverlo tramite la stampa perché la crisi mondiale si sta ripercuotendo in Siria in maniera devastante – conclude Silvestri -. La Siria è sparita dai media ma i bisogni rimangono, così come i poveri, gli sfollati e i profughi”.
Zenari: sanità cattolica fiore all’occhiello in Siria
“Non è stata intuizione ma una necessità. A quel tempo metà delle strutture sanitarie erano inagibili, allora abbiamo deciso di potenziare l’attività dei tre ospedali cattolici presenti in Siria e di aprire nuovi dispensari, abbiamo cominciato con il sostegno del Papa”, spiega il cardinale Mario Zenari nel suo intervento al punto stampa del Convegno. Zenari guarda poi ai frutti di questo progetto: “La gente viene curata ed è soddisfatta e questa attività permette alla Chiesa di rimanere in Siria perché è ben voluta da tutte le comunità delle diverse confessioni religiose, compresa la maggioranza composta dai musulmani sunniti, perché le loro mogli sono curate nei nostri ospedali e i loro figli sono istruiti nelle nostre scuole. Sanità ed istruzione sono i fiori all’occhiello dei cristiani in Siria”. Secondo Zenari persino nei periodi più buoi delle persecuzioni dei jihadisti alla Chiesa era riconosciuto questo ruolo sociale.
Rialzare Paese distrutto
Il nunzio apostolico a Damasco si sofferma poi sulle condizioni generali delle Siria, devastata dagli oltre 11 anni di guerra: “Purtroppo non c’è ricostruzione né ripartenza economica, il Paese è in stallo. Non bastano le elemosine della comunità internazionale, noi come Chiesa possiamo far fronte all’emergenza immediata ma serve un grande impegno di tutti gli attori per rimettere in piedi la Siria e farla camminare con le sue gambe, bisogna lavorare per lo sviluppo”. Il porporato ricorda quindi che la Siria prima della guerra era un Paese prospero, con una buona sanità e che produceva ed esportava quelle medicine di cui ora ha bisogno. “La Siria dopo essere stata percossa e abbandonata si è trasformata in un mendicante” ha aggiunto Zenari citando la parabola evangelica del buon sammaritano. Per rimettere in piedi questo Paese spogliato di tutto, come il viaggiatore della parabola, non bastano i 6 miliardi di euro stanziati dai donatori alla conferenza di Bruxelles (meno della metà dei quali, secondo Avsi, sono realmente arrivati sul terreno). Il nunzio chiede ai Paesi donatori un maggiore impegno per la ricostruzione e progetti di sviluppo per i quali servirebbero almeno 100 miliardi di euro. Il futuro della Siria è legato alle possibilità offerte ai giovani, senza di loro è impossibile immaginare una rinascita. “Bisogna fermare l’esodo dei giovani – afferma il cardinale in conclusione -, che hanno perso voce e speranza”.
Padre Azar: a Latakia medicine per tutti poveri
L’incontro con i media è stato impreziosito anche dalla testimonianza di padre Fadi Azar, francescano responsabile del dispensario di Latakia che in primis lancia un appello ai media a riaccendere i riflettori sulla Siria e poi parla del progetto Ospedali Aperti che definisce un “opera voluta dalla Divina Provvidenza”. “Questo progetto – spiega – ha unito un popolo diviso dalla guerra, perché ha risposto ai bisogni di tutta la gente povera, che siano essi cristiani, alawiti, sunniti o sciiti”. Il religioso francescano riferisce della difficile situazione umanitaria a Latakia che, come altre città siriane, ospita migliaia di sfollati provenienti dalle aree più colpite dal conflitto: “Il nostro dispensario garantisce la fornitura di medicinali a tanti sfollati, poveri ed anziani, molte pensioni infatti non bastano nemmeno per comprare due scatole di farmaci”. Padre Fadi ricorda, infine, che alcune aree della provincia di Idlib sono ancora sotto il controllo dei Jihadisti e parla delle difficili condizioni umanitarie. “Senza i donatori – conclude – non sapremmo come fare, a Latakia abbiamo elettricità solo un’ora e mezzo al giorno, c’è scarsità d’acqua, manca il gas, ma grazie alle persone di buona volontà ce la faremo”.