Massimiliano Menichetti
Case distrutte, mancanza di cibo, di acqua e di medicine, violenze, saccheggi, persone in fuga. In Siria dopo 11 anni il conflitto non è finito, ma di questa guerra ormai non si parla quasi più, come di molte altre. Questo Paese, dove molte città rimangono cumuli di macerie, piange mezzo milione di morti e vede oltre 11 milioni e mezzo di sfollati interni ed esterni. Oggi, nell’anniversario dell’inizio del conflitto, a Damasco prende il via la conferenza “Chiesa, Casa della Carità – Sinodalità e coordinamento”, organizzata dalla Congregazioni per le Chiese orientali. Al centro dei lavori l’ascolto, il dialogo, il futuro delle comunità cristiane, ma anche le urgenze e necessità per questa martoriata nazione. “Non lasciate morire la speranza” è l’invocazione senza sosta del nunzio a Damasco, cardinale Mario Zenari, mentre il Paese esce “dai radar dei media” entrando in una sorta “di oblio”.
Eminenza, sono 11 anni che si combatte in Siria. Per lei cosa significa questo drammatico anniversario?
È un triste anniversario, anzitutto perché la guerra non è ancora terminata e inoltre perché da un paio di anni a questa parte la Siria sembra essere sparita dai radar dei media. Ne hanno preso il posto, prima la crisi libanese, poi il covid-19, ed ora la guerra in Ucraina.
I morti di questa guerra sono circa mezzo milione, i rifugiati fuggiti circa 5,5 milioni a cui si aggiungono altri 6 milioni di sfollati interni. Lei continua a ripetere con forza: “Non lasciate morire la speranza”. Cosa serve per evitare che questo accada?
Purtroppo, la speranza se ne è andata dal cuore di tanta gente e in particolare dal cuore dei giovani, che non vedono futuro nel loro Paese e cercano di emigrare. E una Nazione senza giovani, per di più qualificati, è una Nazione senza futuro. Qualche famiglia, dopo aver pagato ingenti somme di denaro, rimane ancora bloccata in Bielorussia, in attesa di varcare il confine polacco. Quella siriana rimane tuttora la più grave catastrofe umanitaria provocata dall’uomo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Non si vedono ancora segni di ricostruzione e di avvio economico. Per di più, le sanzioni pesano su tutto questo. Il processo di pace, secondo quanto prevedeva la Risoluzione 2254 dell’Onu, è bloccato. Solo la povertà avanza a grandi passi. La gente parla ora di guerra economica.
Oltre il 60 per cento della popolazione è colpita dall’insicurezza alimentare. Come aiutare?
Scarseggia il pane e ora, con la guerra in Ucraina, anche la farina, oltre ad altri beni di prima necessità. Dal 15 al 17 marzo si tiene a Damasco una Conferenza convocata dalla Chiesa cattolica che ha per tema: “Chiesa casa della carità. Sinodalità e coordinamento”. I partecipanti sono circa 250, tra siriani e persone venute da fuori della Siria, rappresentanti di istituzioni e agenzie umanitarie cattoliche. Sarà presente anche il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, alcuni membri di Dicasteri romani e della Roaco. Si cercherà di fare dei programmi per dividere fraternamente i 5 pani e i 2 pesci.
In questo contesto continua anche la fuga dei cristiani…
In questi anni di guerra più della metà, e forse due terzi, dei cristiani hanno lasciato la Siria. In questi conflitti i gruppi minoritari costituiscono l’anello più debole della catena. È una ferita insanabile per queste Chiese Orientali sui iuris, ma è anche un grave danno per la stessa società siriana. I cristiani, presenti in Medio Oriente da due mila anni, hanno dato un notevole contributo allo sviluppo del loro Paese, soprattutto nei settori dell’educazione e della salute, con scuole e ospedali assai efficienti e stimati. La presenza dei cristiani potrebbe essere paragonata, per la stessa società siriana, ad una finestra aperta sul mondo. I cristiani hanno, in genere, una mentalità aperta e tollerante. Ad ogni famiglia cristiana che emigra, la finestra si chiude progressivamente.
Secondo lei serve più coraggio a livello della diplomazia, della politica internazionale?
L’Inviato Speciale dell’ONU per la Siria, Geir Pedersen, ritorna continuamente sulla necessità di un coinvolgimento maggiore della diplomazia internazionale. Purtroppo, il perdurare del conflitto, la pandemia del covid-19 ed altri conflitti, in particolare la guerra in Ucraina, hanno rivolto altrove l’attenzione della comunità internazionale.
Quanto è importante che le testate del mondo continuino a tenere alta l’attenzione sulla Siria?
Fino ad un paio di anni fa ricevevo telefonate da varie parti del mondo per avere delle interviste e informazioni sul conflitto siriano. Ora il telefono non squilla più. È questa un’ulteriore grave disgrazia che è capitata alla Siria. Quella di cadere in oblio. Questo oblio fa molto male alla gente.
Alcuni siriani, dietro ingaggio russo, sarebbero partiti per combattere in Ucraina. Si sfrutta la povertà del Paese, che vive una guerra, per combattere un’altra guerra…
Ho letto anch’io queste notizie. Qualcosa di simile è capitato in Libia qualche anno fa: mercenari siriani si sono trovati a combattere su fronti opposti. È un ulteriore malanno che causa la guerra, la quale è una fabbrica che sforna ogni sorta di malanni: vittime, distruzioni di quartieri e villaggi, profughi, danno al tessuto sociale, disgregazione della famiglia, violenza, povertà, mancanza di lavoro, droga, e numerosi altri mali. Tanti giovani si trovano senza lavoro, hanno imparato a maneggiare le armi e si arruolano per poche centinaia di dollari.
Come viene vista dalla Siria la guerra in Ucraina?
La gente, in genere, non osa esprimersi. Mi unisco al reiterato e forte ammonimento di Papa Francesco a far tacere le armi e a fermare il massacro. Mi sembra che anche la martoriata Siria capisca bene, per esperienza, questo pressante appello. Se posso usare la parabola evangelica del povero Lazzaro e del ricco epulone, sicuramente la Siria, mutatis mutandis, vuole ammonire severamente altri a non cadere nello stesso luogo di tormenti in cui lei stessa è caduta (Lc 16, 27-28). È triste vedere ripetersi in Ucraina le stesse strazianti immagini di dolore viste in Siria: quartieri distrutti, morti, milioni di profughi, uso di armi non convenzionali, come le bombe a grappolo, bombardamenti di ospedali e scuole. Vedere la stessa identica discesa agli inferi che si è vista in Siria.
Siamo nel cammino quaresimale, un tempo di preghiera e digiuno. Come vivete questo periodo?
Si potrebbe dire che la gente, a qualunque confessione religiosa appartenga, vive una quaresima e un digiuno ininterrotto da 11 anni. Importante, anzitutto, è rimanere accanto ed essere solidali.