Sono arrivati all’aeroporto di San’a e di Aden gli ultimi 104 detenuti liberati dopo l’accordo di giovedì scorso tra l’Arabia Saudita e i ribelli houti, dopo i rilasci dei giorni scorsi. La settimana prossima nuovo round di negoziati per arrivare ad una tregua o a un cessate il fuoco in un Paese in guerra da otto anni e che vive una delle crisi umanitarie più gravi del mondo
Michele Raviart – Città del Vaticano
Con il rilascio di circa cento detenuti houti da parte della coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita si è concluso lo scambio di prigionieri tra le parti in conflitto in Yemen, in guerra da oltre otto anni. Il rilascio unilaterale, che ha coinvolto quasi 900 persone, è considerato un passaggio decisivo per favorire gli sforzi diplomatici per un cessate il fuoco tra le forze governative sostenute dalla comunità internazionale e i ribelli sciiti che nel 2015 deposero il presidente Abd Rabbuh Mansur Hadi.
Tre giorni di scambi
Lo scambio, che è stato possibile grazie alla mediazione del Comitato internazionale della Croce Rossa, è durato tre giorni ed è terminato con l’arrivo di due voli con a bordo 96 prigionieri ciascuno all’aeroporto internazionale della capitale Sana’a, da anni in mano ai ribelli sciiti, e di un altro volo con otto detenuti arrivato ad Aden, controllata dalle truppe della coalizione saudita. In totale l’accordo ha visto la liberazione di 700 prigionieri di guerra houti e 180 uomini della coalizione, tra cui soldati sauditi e sudanesi. “Lo scambio di prigionieri è sicuramente un evento molto significativo perché è un tassello nel percorso di ricostruzione della fiducia tra le parti e anche perché tra questi 900 prigionieri sono state liberate delle figure importanti come l’ex Ministro della Difesa, catturato dopo il colpo di Stato degli houti e il fratello dell’ex presidente Hadi”, spiega a Vatican News Eleonora Ardemagni, esperta di questioni yemenite, ricercatrice all’Ispi e assistente all’università Cattolica di Milano.
Un accordo accolto positivamente
L’ultimo round di negoziati, condotto dalla delegazione saudita e da quella houti, si è concluso giovedì scorso a Sana’a ed è stato giudicato positivamente dalle parti. Assenti dalle trattative dirette il governo riconosciuto dalla comunità internazionale e il consiglio presidenziale – nato su iniziativa dell’Arabia Saudita per unificare il fronte che si oppone agli houti. “Questi due organismi riconosciuti è stato detto che sostengono questi colloqui in corso, ma non ne fanno parte formalmente, quindi questo apre degli scenari estremamente delicati per il proseguire della trattativa”, spiega ancora Ardemagni.
Una crisi umanitaria senza precedenti
Nel corso del conflitto in Yemen le vittime sono state decine di migliaia, mentre milioni di persone stanno vivendo una delle più gravi crisi umanitarie del mondo, tra mancanza di cibo e malattie. Una tregua nazionale, siglata un anno fa e scaduta lo scorso ottobre, sottolinea Ardemagni, aveva di fatto dimezzato le violenze nel Paese e permesso anche un relativo miglioramento della situazione della popolazione civile anche dal punto di vista umanitario. “Tuttavia”, ribadisce, “con la scadenza formale della tregua, lo scorso autunno, si è registrata una ripresa dei combattimenti in alcuni territori del Paese, in particolare sempre nell’area di Ta’Izz, che è ancora sotto assedio da parte degli houti ed è la terza città del paese, mentre i combattimenti sono ripresi anche nell’area di Ma’rib, strategica perché qui si concentrano le forze leali al governo riconosciuto e i principali giacimenti di petrolio e gas nel Paese”.
La prossima settimana nuovo round di colloqui
Le parti hanno annunciato che si rivedranno dopo la festa dell’Eid al-Fitr, la fine del Ramadan, che si celebrerà questo fine settimana. L’obiettivo è quello di un rinnovo della tregua nazionale o un cessate il fuoco generale. Il rischio, tuttavia, è “che anche se un annuncio ci fosse, il fatto di non avere incluso da subito esponenti del governo riconosciuto e anche i secessionisti del Sud al tavolo della trattativa potrebbe creare delle ulteriori tensioni”, continua Ardemagni, e in questo senso “già ci sono delle avvisaglie nelle regioni meridionali”. Importante, in questo scenario, la ripresa delle relazioni diplomatiche tra l’Arabia Saudita sunnita e l’Iran sciita, annunciata il 10 marzo scorso con la mediazione della Cina. “Sicuramente il fatto che sauditi e iraniani siano tornati formalmente a relazionarsi permette di depotenziare l’aspetto regionale del conflitto in Yemen e lo scontro indiretto tra sauditi e iraniani”, conclude, “però questo è solo un aspetto di un conflitto che in realtà ha una sua natura interna e nasce come un conflitto yemenita, politico, per il potere e le risorse. Quindi purtroppo non è sufficiente che solo sauditi e iraniani scelgano di evitare lo scontro affinché ci possa essere una reale pacificazione in Yemen”.