Yemen: l’Arabia propone la tregua ai ribelli Houthi. Plauso dell’Onu

Vatican News

Marco Guerra e Giancarlo La Vella – Città del Vaticano

Nazioni Unite, in particolare con Stati Uniti e Gran Bretagna e altri importanti attori globali, accolgono con favore la proposta di tregua dell’Arabia Saudita, che guida la coalizione araba a sostegno del governo dello Yemen, riconosciuto a livello internazionale, nel conflitto che da sei anni sta devastando il Paese yemenita. Malgrado il rifiuto dei ribelli sciiti Houthi, l’offerta rappresenta un importante passo in avanti e un possibile punto di partenza per future trattative.

Le condizioni per l’avvio di negoziati

In pratica, Ryad propone di riaprire l’aeroporto di Sana’a, la capitale yemenita controllata dai ribelli filoiraniani, e di riavviare il dialogo politico tra il governo yemenita e gli Houthi. I ribelli chiedono invece l’apertura di tutto lo spazio aereo e marittimo nello Yemen, che è sotto il controllo saudita, come prerequisito di qualsiasi processo di pace. Le nuove aperture arrivano dopo la decisione degli Stati Uniti di ritirare il supporto alla coalizione saudita intervenuta in Yemen dal 2015. Nella guerra, ormai in fase di stallo, hanno perso la vita 130 mila persone. Il conflitto ha provocato la più grave crisi umanitaria del mondo in un Paese che era già il più povero del mondo arabo.

Risolvere il conflitto e la crisi umanitaria

La stabilizzazione dello Yemen, distrutto da oltre sei anni di guerra,  passa attraverso sicuramente l’abbandono della logica militare in luogo di quella diplomatica, ma nessuna pace sarà vera pace, se non verrà risolta la gravissima crisi umanitaria causata dal conflitto, la più grave nel mondo. E’ il parere di Eleonora Ardemagni, ricercatrice associata dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi), che a Radio Vaticana-Vatican News, parla dei motivi che hanno indotto l’Arabia Saudita a proporre la tregua.

Ascolta l’intervista a Eleonora Ardemagni

R. – Sicuramente l’avanzare dell’offensiva di terra degli insorti Houthi su Mareb, il governatorato che rappresenta una delle ultime roccaforti del governo yemenita, ha sicuramente spinto i sauditi a offrire in questo momento una iniziativa di pace che, se confermata, avrebbe degli elementi di novità rispetto al recente passato. Quindi, se davvero i sauditi volessero togliere l’embargo di terra, di aria e navale sullo Yemen prima di cominciare i colloqui per il cessate il fuoco con gli Houthi, questo sarebbe sicuramente un gesto nuovo.

Subito dopo la proposta di tregua araba, per ora rifiutata dagli Houthi, gli stessi ribelli hanno accusato però Ryad di bombardamenti su obiettivi dei miliziani…

R. – Certamente, gli Houthi in questo momento sanno di poter davvero cambiare il destino del conflitto in Yemen, che per oltre 6 anni è stato caratterizzato da una grande immobilità. Nessuna delle due parti è riuscita a prevalere sul campo. In questo momento gli Houthi stanno avanzando verso Mareb e questo significa che, se davvero riuscissero conquistare la città, potrebbero dichiararsi militarmente vincitori di questo conflitto, perché ciò indirizzerebbe gli equilibri di forza in loro favore. Quindi non è detto che questa iniziativa porti a un vero cessate il fuoco nazionale, ma è sicuramente un gesto diplomatico forte da parte dei sauditi; da parte degli Houthi però c’è comunque la volontà di giocarsela fino in fondo dal punto di vista militare, soprattutto in questo momento in cui avvertono la possibilità di prevalere sul campo.

L’Onu ha espresso favore alla proposta di tregua, ma, secondo lei, c’è bisogno che la comunità internazionale faccia qualcosa di più concreto per aprire la strada ad un dialogo che sia veramente proficuo?

R. – Il ruolo della comunità internazionale, in particolare degli Usa, è stato teso a ricalibrare la posizione degli attori di questo conflitto. Da un lato, il presidente americano Biden ha evitato che il movimento politico degli Houthi finisse nella lista nera del terrorismo internazionale, dall’altro, però, ha più volte chiesto agli insorti di fare dei passi in avanti verso il cessate il fuoco e di smettere con gli attacchi contro il territorio saudita. Quello che in questo momento può fare la differenza penso sia soprattutto la buona volontà delle parti yemenite. Innanzitutto la volontà degli insorti di parlare con una voce coerente, rispondendo con gesti altrettanto significativi all’iniziativa saudita.

Permane comunque l’emergenza umanitaria in Yemen, la più grave degli ultimi tempi. Parlare di dialogo senza risolvere prima questo problema e qualcosa di antitetico secondo lei?

R. – La stabilizzazione dello Yemen passa per un cessate il fuoco nazionale, ma passa innanzitutto per una iniziativa economica e, quindi, umanitaria forte, della quale inevitabilmente gli attori yemeniti devono essere garanti, ma non possono essere i protagonisti. Da questo punto di vista la comunità internazionale, le Nazioni Unite, gli attori regionali, la stessa Arabia Saudita dovranno necessariamente farsi carico dei costi non soltanto della ricostruzione in un ipotetico scenario post-bellico, ma proprio della sopravvivenza umanitaria del Paese.