Alessandro De Carolis – Città del Vaticano
Insieme per “fermare il fuoco” della guerra in Ucraina, perché chi ne “paga il conto” è “la gente, sono i soldati russi mandati a morire bombardando, ed è chi viene bombardato e muore”. È un passaggio della videochiamata che il Papa ha avuto nel primo pomeriggio con il Patriarca ortodosso di Mosca Kirill, affiancati rispettivamente dal cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, e dal metropolita Hilarion di Volokolamsk, capo del Dipartimento di Relazioni Esterne del Patriarcato di Mosca.
Eccezionale importanza dei negoziati
Il direttore della Sala Stampa vaticana, Matteo Bruni, rispondendo alle domande dei giornalisti ha riferito che il colloquio ha avuto come “centro la guerra in Ucraina e il ruolo dei cristiani e dei loro pastori nel fare di tutto perché prevalga la pace”. Nel ringraziare il Patriarca di tutte le Russie per l’incontro, “motivato – si legge nella nota – dalla volontà di indicare, come pastori del loro popolo, una strada per la pace”, il Papa ha convenuto con il Patriarca che “la Chiesa non deve usare la lingua della politica, ma il linguaggio di Gesù”. “Siamo pastori dello stesso Santo Popolo che crede in Dio, nella Santissima Trinità, nella Santa Madre di Dio: per questo dobbiamo unirci nello sforzo di aiutare la pace, di aiutare chi soffre, di cercare vie di pace, per fermare il fuoco”. Entrambi, si sottolinea, hanno messo in risalto “l’eccezionale importanza del processo negoziale in corso perché, ha detto il Papa, “chi paga il conto della guerra è la gente, sono i soldati russi ed è la gente che viene bombardata e muore’”.
Il ruolo delle Chiese, rafforzare pace e giustizia
“Come pastori – ha continuato il Papa – abbiamo il dovere di stare vicino e aiutare tutte le persone che soffrono per la guerra. Un tempo si parlava anche nelle nostre Chiese di guerra santa o di guerra giusta. Oggi non si può parlare così. Si è sviluppata la coscienza cristiana della importanza della pace”. Essendo entrambi d’accordo sul fatto che “le Chiese sono chiamate a contribuire a rafforzare la pace e la giustizia”, Francesco ha poi concluso: “Le guerre sono sempre ingiuste. Perché chi paga è il popolo di Dio. I nostri cuori non possono non piangere di fronte ai bambini, alle donne uccise, a tutte le vittime della guerra. La guerra non è mai la strada. Lo Spirito che ci unisce ci chiede come pastori di aiutare i popoli che soffrono per la guerra”.
La Dichiarazione congiunta del 2016
La crisi nel Donbass scoppiata otto anni fa aveva già sollecitato un intervento da parte del Papa e del Patriarca Kirill. Nella dichiarazione congiunta firmata a Cuba nel 2016 si affermava: “Deploriamo lo scontro in Ucraina che ha già causato molte vittime, innumerevoli ferite ad abitanti pacifici e gettato la società in una grave crisi economica ed umanitaria. Invitiamo tutte le parti del conflitto alla prudenza, alla solidarietà sociale e all’azione per costruire la pace. Invitiamo le nostre Chiese in Ucraina a lavorare per pervenire all’armonia sociale, ad astenersi dal partecipare allo scontro e a non sostenere un ulteriore sviluppo del conflitto”.
Sempre in quella dichiarazione si leggeva: “Esortiamo tutti i cristiani e tutti i credenti in Dio a pregare con fervore il provvidente Creatore del mondo perché protegga il suo creato dalla distruzione e non permetta una nuova guerra mondiale. Affinché la pace sia durevole ed affidabile, sono necessari specifici sforzi volti a riscoprire i valori comuni che ci uniscono, fondati sul Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo”.
La guerra profana il nome del Dio della pace
Negli ultimi giorni gli appelli di Francesco si sono fatti più pressanti e carichi di apprensione e dolore. Nell’ultimo Angelus, domenica scorsa, il Papa aveva ricordato la “città martire” di Mariupol, tra le più gravi vittime della “guerra straziante” in Ucraina, e aveva gridato: “Fermate questo massacro”, affermando “Dio è solo Dio della pace, non è Dio della guerra, e chi appoggia la violenza ne profana il nome” e ribadendo che “davanti alla barbarie dell’uccisione di bambini, di innocenti e di civili inermi non ci sono ragioni strategiche che tengano”, piuttosto il “cessare l’inaccettabile aggressione armata, prima che riduca le città a cimiteri”.