Una riflessione sulla religiosità del grande scrittore catanese, autore dei Malavoglia, di Mastro Don Gesualdo e di altri capolavori della letteratura italiana, è stato il tema dell’incontro all’interno della manifestazione organizzata da Paoline e Paolini e della quale Vatican News è media partner. Un occasione per riflettere sul messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale della Comunicazioni sociali 2023: “Parlare con il cuore, secondo verità nella carità”
Michele Raviart – Catania
Un Giovanni Verga inedito, lontano dagli stereotipi dello scrittore ateo e impersonale, quello emerso lunedì 15 mqggio dall’incontro “Verga cristiano. Dal privato al vero”, evento della 18.sima edizione del Festival della Comunicazione delle Paoline, che quest’anno si svolge a Catania. Nella Fondazione Verga, a poche centinaia di metri dalla casa dove lo scrittore siciliano ha vissuto, gli studiosi di letteratura Giuseppe Savoca e Sergio Cristaldi dell’università di Catania e il teologo Pino Ruggieri dello Studio teologico San Paolo, hanno confrontato le lettere private di Verga con le azione e il pensiero di alcuni dei personaggi più importanti dei Malavoglia e delle Novelle, riscoprendo un autore credente, anche se non strettamente osservante.
Verga e il mondo degli ultimi
A moderare l’incontro il professor Alberto Sichera, docente di ermeneutica e letteratura italiana all’Università di Catania che, nell’intervento di questa mattina a Radio Vaticana con voi, racconta la fede di un autore che ha messo al centro delle sue opere sempre gli ultimi e i più poveri.
Professore, chi sono i protagonisti delle opera di Verga?
La grande novità verghiana è quella che porta sulla scena del mondo i poveri, quelli che oggi noi chiamiamo gli ultimi. Questi erano i personaggi di Verga, le persone che nessuno guarda. Potremmo dire davvero, pensando ad una bellissima immagine di Walter Benjamin, che sono “le macerie della storia”. Lo scrittore mette il suo sguardo su chi non è guardato e dà voce e parola a chi questa voce, questa parola non ce l’avrà mai. Verga ci rappresenta questo mondo e questo mondo è permeato di tradizione, ma quindi per me è permeato anche di religiosità e di religione.
Da cosa si evince la religiosità dei personaggi, e anche nella vita di Verga?
Direi che certamente la religiosità è l’acqua in cui vivono tutti i personaggi di Verga, se pensiamo a quella Sicilia, la Sicilia dell’Ottocento pensiamo al popolo siciliano di allora, che era intriso di tradizione religiosa. Alcune figure, come Maria Addolorata, Cristo sofferente, fanno parte intimamente dell’humus in cui si svolgono le vite dei personaggi di Verga. Si tratta però non semplicemente di uno sfondo, ma anche di una visione, perché non c’è una piatta religiosità tradizionale diffusa nei romanzi, nelle novelle, della grande stagione cosiddetta verista, ma c’è una specificazione molto chiara, ci sono dei personaggi, ci sono delle storie. C’è la famiglia Toscano, per esempio, nei Malavoglia, che ha questa identificazione con i personaggi dei Vangeli, soprattutto quelli della Passione di Cristo, e la vive intimamente in una dimensione di apertura, di cordialità. Li distingue il fatto che sono persone buone, aperte, che si aiutano. E questo aspetto relazionale e morale viene da una religiosità ben intesa da un modo di identificarsi con Maria con Gesù non superficiale. Quindi questa religiosità dei grandi personaggi di Verga deve essere guardata con un occhio nuovo.
Che cosa rimane di questa religiosità nella Catania di oggi e nella sua provincia? Di quel mondo che racconta Verga nei Malavoglia?
Credo che per certi versi non rimanga nulla e rimanga molto. Il mondo è così cambiato rispetto a quello che Verga rappresenta, il contesto storico, culturale, economico e sociale è così diverso per cui siamo davvero in un altro mondo. Ciò non toglie che questa vena sia ancora presente, direi, nel substrato profondo, nella coscienza profonda del popolo siciliano, del popolo meridionale, e che ci sia questa impronta ancora viva, ma che, naturalmente, ha bisogno di essere coltivata, rinnovata, probabilmente anche ripensata. Nel sentire della gente io credo che questo sfondo sia ancora vivo, ma non deve essere né dato per scontato né considerato sul piano del puro folklore. C’è qualcosa che ha a che fare, in ogni esperienza religiosa, con il nostro modo di sentire il mondo, di aver bisogno di senso, di dover mettere la nostra vita, – perché poi questo significa religione – nelle mani di qualcun altro, di non sentirsi al centro del mondo, di credere che c’è un altro nel quale dobbiamo confidare, a cui rivolgerci, che fa da centro e da altro polo. Questa ricerca dell’altro, di senso, di verità della vita, è il fondamento, credo, della vera esperienza religiosa, e questo credo che sia vivo non solo in Sicilia ma in tante zone e, forse, soprattutto in tanti sud del mondo.
Quali sono i personaggi di Verga che “parlano col cuore”?
Ci sono diversi personaggi, direi una schiera, con cui in fondo Verga si identifica. La famosa teoria dell’impersonalità deve essere rivista e anche rimodulata, perché sì, è vero, impersonalità sembra dover significare uno sguardo distaccato, uno sguardo sulla realtà che non si coinvolge. Ma in verità Verga, lo scrittore, il narratore, alla fine si coinvolge e rompe la barriera dell’impersonalità con i personaggi. Come quelli della famiglia dei Malavoglia, per esempio, che sono accomunati dal cuore, dal fatto di parlare, di sentire il mondo in maniera cordiale. Il loro modo di soffrire, di gioire, di appassionarsi alle cose, di stare vicini, di guardare anche alla comunità che li attornia, è sempre, come dire, contraddistinto da una sorta di scienza del cuore, di modalità cordiale di sentire. Ci sono tanti momenti e tante parole: pensiamo alla sapienza e alla saggezza con cui padron ‘Ntoni, con i suoi proverbi, accompagna e punteggia tutto lo sviluppo del romanzo. Sono parole antiche, parole che vengono dal cuore, che partono però da una esperienza reale del mondo. Pensiamo al modo in cui si guarda e si vive il mare come un compagno di strada. In tutti questi momenti, quando ci sono due personaggi, come Alfio e Mena, nel momento del loro così mite e doloroso idillio, lì si sente il cuore. E questo è un po’ il segreto anche dei Malavoglia, questa percezione che abbiamo, che al di là delle fatiche e delle difficoltà e spesso delle tragedie del mondo, una relazione profonda, un legame autentico, può sostenere la vita.
Che rapporto c’è tra Catania e Verga? Come è percepita qui l’eredità di questo grande scrittore della letteratura italiana, le cui storie sono veramente radicate nel territorio, ma anche universale?
Devo dire che a Catania l’eredità verghiana è molto viva, contribuisce in maniera sostanziale allo spazio istituzionale. C’è la Fondazione dedicata a Verga che è integrata pienamente nell’Università di Catania, che lavora costantemente sulla tradizione verghiana a diversi livelli. Le scuole dell’obbligo sono sempre intercettate e coinvolte in una serie di iniziative. Costantemente ci sono appuntamenti che non sono solo convegni, ma anche letture, momenti di riflessione, momenti artistici. Verga è tenuto vivo a Catania e d’altronde non potrebbe essere diversamente, perché l’anima di questa città è legata alla storia, alla lezione e alla vita di Verga che, piuttosto, ha bisogno, di poter far emergere sempre di più la dimensione europea della sua scrittura. Quello che è successo ormai in maniera conclamata per Pirandello, ad esempio. Verga deve essere sempre più universalizzato. È uno scrittore siciliano, ma non significa scrittore di una provincia, piuttosto un autore che attraverso la sua strada, la sua storia, la sua rivoluzione, anche, direi non solo contenutistica ma anche linguistica, è ancora capace di parlare.