Ucraina, il capo dei vescovi latini: stanchi ma nel dolore il volto migliore della gente

Vatican News

Monsignor Vitalij Skomarovskyj, capo della diocesi di Lutsk dei latini, fa un bilancio di due anni di guerra: ammiro la lealtà dei preti, sono rimasti al loro posto accanto alle persone. Nessuno sa quando tutto questo finirà, più che alle previsioni degli analisti ci aggrappiamo ogni giorno alla fede

Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano

“Questo è il messaggio pasquale della Chiesa e del cristianesimo di tutti i tempi: tutti i problemi che viviamo devono essere sopportati con dignità, perché Dio ci conduce alla risurrezione attraverso la croce”. La disamina di due anni di guerra – di funerali celebrati a un ritmo prima sconosciuto e che oggi è “tragico”, ma anche la faccia migliore che la solidarietà ha fatto emergere con forza in una vita che è diventata altro – non perde di vista la base della fede, perché è su questa che si appoggia la speranza. Monsignor Vitalij Skomarovskyj, capo della diocesi di Lutsk dei latini e presidente della Conferenza dei vescovi latini dell’Ucraina, apre il cuore con i media vaticani e fa un bilancio lucido di quanto sia cambiato attorno e nel cuore degli ucraini, negli ultimi 24 mesi.

Prendendo come esempio la Chiesa romano-cattolica in Ucraina, com’è cambiata secondo lei la Chiesa dopo l’invasione di due anni fa? E com’è cambiata la percezione del vostro ministero nella società ucraina?

In generale, è cambiata in positivo. E questo è accaduto ancora prima dell’invasione su larga scala, quando siamo stati impegnati in molti programmi di assistenza per le persone colpite dalla guerra iniziata già nel 2014. Tra questi c’è stato anche il progetto voluto dal Santo Padre “Papa per l’Ucraina”, grazie al quale è stato fatto davvero molto. Tuttavia, quando è iniziata la guerra su larga scala, le dimensioni di aiuto offerto dalla Chiesa Cattolica, rispetto alla percentuale di ucraini che si considerano cattolici (i cattolici sono una minoranza, e solo il 2% si dichiarano romano-cattolici), sono state enormi, tra le più grandi in Ucraina, se parliamo di diverse Chiese. Ma non l’abbiamo fatto da soli, l’ha fatto tutta la Chiesa cattolica attraverso i nostri fedeli, e questa è la vera universalità della Chiesa che è in tutto il mondo. Questo ha anche dimostrato che la Chiesa è sempre con il popolo, per il popolo, la Chiesa è il popolo.

Un’altra cosa importante è che abbiamo molti sacerdoti e persone consacrate che non sono cittadini ucraini, soprattutto polacchi, ma anche di altri Paesi ed è interessante che, ad esempio, nella mia diocesi nessuno abbia lasciato il proprio ministero, tutti sono rimasti al loro posto. E questo dimostra anche il coraggio, la fede e la lealtà di questi sacerdoti, che non hanno abbandonato la gente e sono rimasti con loro.

Per quanto riguarda la dimensione spirituale, forse ci sono molte più pratiche penitenziali, preghiere, preghiamo sempre per la pace, per i nostri soldati. Purtroppo, si celebrano tanti funerali e questo è molto tragico. Un altro cambiamento importante riguarda lo spostamento delle persone: molti hanno lasciato le loro case, soprattutto donne e bambini che sono andati all’estero, ma anche molte persone dalle regioni orientali sono venute nelle nostre parti occidentali.

A dire vero, molte delle cose che sono cambiate non le notiamo perché ci viviamo dentro. Per esempio, chiedo a mio nipote se oggi fosse andato all’università e lui mi risponde: “No, perché c’era un allarme aereo”. E questa è la nostra vita quotidiana. In questo momento, mentre stiamo parlando con voi, c’è in corso un allarme aereo, il che significa che un missile sta volando da qualche parte. Per esempio, di recente sono stato nella cittadina Rava-Ruska, dove c’è una vecchia chiesa con un rifugio sotto e c’è una scuola accanto che non ha un rifugio. E quando c’è un allarme aereo, i bambini vanno semplicemente nel rifugio della chiesa e continuano le loro lezioni lì. Ci sono quindi molte cose che hanno cambiato la nostra vita, ma noi viviamo in questa situazione da molto tempo e quindi quasi non ci accorgiamo di questi cambiamenti.

Eccellenza, durante le conversazioni con i fedeli in Ucraina o durante i suoi viaggi all’estero ha mai sentito chiedere quanto durerà la guerra e quando finirà? Se sì, cosa risponde?

Non ricordo che i nostri fedeli mi abbiano fatto questa domanda. Forse viene fuori nelle conversazioni, ma molto raramente, perché è chiaro che non abbiamo una risposta a questa domanda. Gli stranieri a volte me lo chiedono… Noi per primi, come chiunque, vorremmo che questa guerra finisse il prima possibile, ma purtroppo continua e non sappiamo quanto durerà. Penso che qui sia necessaria la nostra preghiera comune, affinché la guerra finisca presto e arrivi la pace. Non sappiamo quali siano i piani della Provvidenza a questo proposito. Quindi la risposta è questa: Dio sa quando deve finire.

In questi due anni, ci sono state tante previsioni: da parte di esperti e di coloro che erano considerati esperti, di analisti e così via, ma queste previsioni non si avverano perché la vita è un po’ diversa. Qualcuno potrebbe dire che la guerra durerà dieci anni e magari finirà domani, e anche questo è possibile. Altri dicono che durerà altri sei mesi, ma non sappiamo se durerà di più o di meno. È molto difficile fare previsioni.

Quali sono i principali progetti umanitari che la Chiesa cattolica romana sta attualmente realizzando in Ucraina? Avete risorse sufficienti per realizzarli?

Su scala nazionale, si tratta di progetti come la ricostruzione di abitazioni distrutte, il sostegno agli sfollati interni, che comprende alloggio e supporto psicologico.  C’è anche un programma che prevede l’erogazione di micro-sovvenzioni per nuove imprese o, ad esempio, per attività agricole, in modo che le persone possano avviare la propria attività. Creiamo lavanderie e mense sociali. Aiutiamo con fondi le persone socialmente vulnerabili. Nella diocesi di Lutsk sosteniamo le famiglie dei militari e le famiglie che hanno perso i loro cari. Forniamo aiuti umanitari sotto forma di cibo, vestiti e cure mediche, ossia offriamo l’opportunità di visitare un medico o, ad esempio, forniamo certificati per l’acquisto di medicinali. Rilasciamo anche buoni alimentari per gli sfollati interni.

Per quanto riguarda le risorse, il presidente della Caritas-Spes mi ha detto che non ce ne sono abbastanza perché questi programmi sono costosi e di lunga durata. Inoltre, mentre questi progetti sono in corso, ogni volta si presentano nuove emergenze che devono essere affrontate immediatamente. Pertanto, se qualcuno volesse aiutare la cosa migliore da fare sarebbe visitare, ad esempio, il sito web di Caritas-Spes, dare un’occhiata alle attività della nostra organizzazione cattolica e poi, magari, impegnarsi in un programma specifico e aiutare persone specifiche. Perché questi progetti, ovviamente, sono diventati più stabili e strutturati negli ultimi due anni, e ci sono team che se ne occupano. Quindi, se qualcuno volesse aiutare, questo è uno dei modi possibili.

Sta per scadere il secondo anno di guerra. Qual è il messaggio principale del vostro episcopato ai fedeli ucraini in un momento in cui si sta facendo sentire un senso di stanchezza, di esaurimento?

Penso che un senso di stanchezza ci fosse già prima dell’invasione su larga scala, perché, come ricordate, per almeno sei mesi prima, si aspettava già che iniziasse l’indomani o quello dopo ancora o meno. C’erano quelle esercitazioni militari e cose così…. E questo era già molto stancante, per non parlare poi dell’inizio della guerra. Questo mi sembra naturale, perché queste situazioni di stress, trovarsi in una situazione in cui c’è sempre una minaccia per la vita, stanca le persone e vorremmo finisse il prima possibile. Ma come accade nella vita in generale – e come ha detto il Santo Padre nel suo messaggio quaresimale – stiamo camminando attraverso il deserto verso una nuova vita, verso la libertà. Anche la sofferenza ci porta a un certo rinnovamento, a qualcosa di migliore. A Lisbona, l’anno scorso, il Papa rivolgendosi ai giovani li ha esortati a credere che la sofferenza che proviamo non è il dolore dell’agonia, ma della nascita. La vita nuova passa attraverso la sofferenza ­- questo è il messaggio pasquale della Chiesa e del cristianesimo di tutti i tempi: tutti i problemi che viviamo devono essere sopportati con dignità, perché Dio ci conduce alla risurrezione attraverso la croce. E questa speranza nasce dalla convinzione che esiste un Dio che ci ama, che ci guida, e questa è la nostra speranza cristiana. Perché se guardiamo alle previsioni umane, tutto sembra molto triste. Ma il cristianesimo porta questa speranza. Questo messaggio è sempre attuale, in ogni tempo, e soprattutto in tempi di guerra. Penso che la fede aiuti sempre, ma aiuta soprattutto in un momento difficile come questo.

Quali parole vorrebbe rivolgere ai cattolici di tutto il mondo?

Vorrei rivolgere un enorme ringraziamento alla tutti, perché in realtà il modo in cui la gente ha risposto alla nostra sofferenza, sia i nostri vicini immediati che quelli lontani – quanti hanno accolto i nostri rifugiati dappertutto, quanto li hanno aiutati, fatti entrare nelle loro case, e poi la quantità di aiuto che ci è stata mostrata fin dall’inizio – tutto questo dimostra che le persone hanno preso la nostra sofferenza molto personalmente, hanno aperto i loro cuori e ci hanno dato un enorme aiuto. E di questo siamo molto grati. So anche che molte persone in tutto il mondo stanno pregando per noi. Siamo molto grati per questo grande ricordo.

Naturalmente, a un certo punto il compito di aiutare deve passare dai volontari ad altre strutture, alle strutture governative e così via. Perché in questa fase non possiamo dire che tutto ciò di cui abbiamo bisogno deve venire dalla gente comune, che la gente deve sollevarsi e fare qualcosa. È anche compito dei politici e delle agenzie governative provvedere e aiutarci a preservare la nostra indipendenza. Ma quando è iniziata la guerra su larga scala e quando molto dipendeva dalla buona volontà della gente, molte persone hanno mostrato il loro lato migliore, e per questo siamo molto, molto grati e lo ricorderemo sempre.