Ucraina, alla Chiesa globale di papa Francesco manca un appoggio occidentale

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di Riccardo Cristiano*

Non è un dettaglio. Alla recente funzione officiata dal patriarca di Mosca, Kirill, nella cattedrale di Cristo Salvatore, si accedeva con un invito firmato da Vladimir Putin. La speranza alimentata dalla scelta di papa Francesco di dichiarare immorale il possesso di armi atomiche e che aveva indotto Kirill a non benedire le armi atomiche russe – dopo aver benedetto tanti Mig in partenza per bombardare Aleppo – è svanita? I circoli virtuosi sono delicati, e la Chiesa di Mosca ha ripreso a parlare come quella cattolica faceva ai tempi delle crociate o della battaglia di Lepanto.

Pochi hanno affiancato Francesco nella più grande impresa tentata nel tempo recente: l’attuale pontefice, un tempo patriarca d’Occidente ora soprattutto vescovo di Roma, sta tentando di costruire una Chiesa non più “occidentalista”, cioè che non sposa gli interessi del solo Occidente. E’ il punto di arrivo di un lungo cammino che, dopo la formazione dello Stato-nazione sulle rovine della trentennale guerra tra cattolici e protestanti, l’illuminismo e due guerre mondiali, è giunto infine al Concilio Vaticano II, quello che ha cambiato tutto; anche gli altri hanno semi di verità, la Chiesa non è ancella di nessun potere politico, di nessun imperatore, non è una società perfetta che impone le sue leggi al mondo, ma vive nella storia, con tutta l’umanità.

Questa profonda innovazione, che ha scelto un’altra strada da quella seguita da secoli, non si è realizzata all’improvviso, è cresciuta nel tempo, e – quando è divenuta realtà – è stata combattuta da molti, dosata o interpretata da altri. Poi, con Francesco, si è passati dal tempo dell’interpretazione a quello dell’attuazione. Per procedere nella costruzione di una Chiesa non più clericale e occidentale, ma sinodale e globale, è stato indispensabile cercare nuove relazioni con le altre Chiese e comunità di fede, con Pechino e con l’uomo secolarizzato. Così un papa ha partecipato alle celebrazioni di Lutero, è riuscito a firmare un documento sulla Fratellanza umana con l’imam della principale università teologica sunnita, ha lasciato l’agenda dei valori non negoziabili opposti ai secolarizzati, riportando all’importanza di tutti i valori, ha firmato l’accordo provvisorio sui criteri di nomina dei vescovi in Cina – prima apertura nella storia di Pechino al pluralismo.

Anche con Mosca il papa ha provato, deglutendo un arcaico documento congiunto pur di incontrare per la prima volta il patriarca di Mosca, estraendolo dal suo “splendido isolamento”. Si apriva per l’Oriente cristiano una lunga strada verso il post-nazionalismo? E’ un rompicapo non solo russo, ma di tutto il cristianesimo orientale, nazionalista ed etnicista, perché nato nella condensazione bizantina tra popolo, lingua e fede, confermata dalla protezione musulmana delle minoranze religiose, che si sono trasformate in nazioni: una lingua e una fede costituiscono un popolo. La storia di Ottone di Baviera, costretto a convertirsi all’ortodossia non appena si installò, nel 1833, sul trono di un regno d’Ellade che le potenze europee, preoccupate di controllare i loro recenti domini, avevano fatto su misura per lui, ci spiega un cammino opposto a quello del vecchio “cuius regio, eius religio”; quasi un “cuius religio, eius regio”.

Ecco perché il grande concilio ortodosso del 1872 seppe emanare un’enciclica che condannava la confusione tra politica e religione, nazione e confessione, Stato e Chiesa come “l’eresia moderna per eccellenza”. Ma l’eresia è rimasta e i nazionalismi arabo, slavo e turco hanno imprigionato le Chiese. I filo-nazisti croati che uccisero 300mila ortodossi serbi spiegano qualcosa della follia della Grande Serbia? Il nazionalismo laicista turco non ridusse i cristiani dal 35% dei tempi ottomani allo 0,5%? L’Unione Sovietica non ricorse ai gulag? Il nazionalismo arabo dei cristiani Aflaq e Habbash non li ridusse a vassalli dei regimi? Alle Chiese è rimasto il mito bizantino: popolo, lingua e fede fanno la nazione e lo Stato. E’ il dramma di una storia che ha conosciuto genocidi e lager.

L’invasione dell’Ucraina ha messo sotto gli occhi di tutti il grande disegno di Francesco: la sua Chiesa globale prefigura un mondo plurale, non fa da stampella all’Occidente come Kirill fa da stampella a Putin. Dunque Francesco abbraccia il popolo ucraino senza mai voltare le spalle a quello russo. La Chiesa cattolica ucraina non ha saputo essere all’altezza della sfida: è come se avesse chiesto a suo padre di vedere solo suo figlio, orrendamente ferito, senza dubbio, e per questo incapace di soffermarsi sulle ferite altrui.

Ma quello che sarebbe maggiormente servito a Francesco era un braccio sociale “occidentale”. Settori del cosiddetto “pacifismo” invece hanno ceduto al vecchio anti-americanismo, che è tracimato in una sorta di anti-ucrainismo. La richiesta di disarmo è sempre stata rivolta a una parte sola, come se all’altra non fosse richiesto. L’odiosa propaganda dell’Ucraina da “de-nazificare” non ha trovato da noi il racconto di altre realtà, laiche e religiose. Questa mancata empatia, frutto di un confronto tutto occidentale, non ha aiutato a rompere gli anacronismi, non valorizzando il solo messaggio che può aiutarci a non cadere nella spirale degli opposti estremismi.

* Vaticanista di RESET, rivista per il dialogo