Tratta, prostituzione, schiavitù: oltre 40 milioni le vittime

Vatican News

Andrea De Angelis – Città del Vaticano

Costrette a prostituirsi, dopo essere state ingannate. Schiave, lontane dai loro familiari che sono spesso l’oggetto del ricatto. Una violenza fisica e psicologica che riguarda tante, troppe persone vittime della tratta. Oltre un quinto sono minori. Un terzo del totale è impiegato in lavori forzati. Soffermarsi su tali questioni, non spegnere i riflettori è di fondamentale importanza, da cui l’istituzione nel 2015 da parte di Papa Francesco di una Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta degli esseri umani. “Incoraggio – affermò sei anni fa – quanti sono impegnati ad aiutare uomini, donne e bambini schiavizzati, sfruttati, abusati come strumenti di lavoro o di piacere e spesso torturati e mutilati”.

Un fenomeno da 150 miliardi di dollari l’anno 

Tra chi dedica le sue energie per guarire quella che il Papa ha definito, sempre nel 2015, una “vergognosa piaga, indegna di una società civile”, ci sono sicuramente Caritas Ambrosiana, il Centro Pime di Milano e Mani Tese che, in collaborazione con Ucsi Lombardia, oggi hanno dedicato alla Giornata mondiale un webinar dal titolo “Tratta, prostituzione, schiavitù. Nuove frontiere e nuove sfide”, che si è svolto questa mattina. I lavori si sono aperti con la presentazione dei dati di un fenomeno che resta, fisiologicamente, in buona parte invisibile.

“Anche a causa della pandemia, la prostituzione si è e spostata dalla strada all’indoor e all’online, rendendo le vittime ancora più invisibili, inavvicinabili e vulnerabili”

Nel mondo sono oltre 40 milioni le vittime di tratta. Tra queste circa il 72% sono donne, il 23% minori. Fra le principali finalità della tratta vi sono lo sfruttamento sessuale (più della metà) ed il lavoro forzato (oltre un terzo) per un giro di affari che è intorno ai 150 miliardi di dollari annui. In questi ultimi anni il fenomeno della tratta è cambiato anche in Italia, specialmente per quanto riguarda la prostituzione coatta. Inoltre – anche a causa della pandemia – si è ulteriormente spostato dalla strada all’indoor e all’online, rendendo le vittime ancora più invisibili, inavvicinabili e vulnerabili.

La tratta è un crimine

Laurence Hart, direttore Ufficio OIM per il Mediterraneo, ha aperto i lavori ringraziando in un video messaggio gli organizzatori di un evento “prezioso ed importante, perché – ha affermato – parlare di tratta in questo particolare momento è fondamentale, visto che c’è meno attenzione verso l’emergenza umanitaria che caratterizza le rotte del Mediterraneo. La tratta – ha aggiunto – è un crimine che coinvolge e sconvolge la vita di milioni di persone. Per anni l’OIM ha portato  avanti una serie di attività a tutela delle vittime, sostenendo gli attori coinvolti per contrastare il fenomeno e – ha concluso – continuerà a farlo”.

Nuovi rischi legati alla pandemia

Carlotta Santarossa, Project Manager di OIM, ha illustrato altri dati, soffermandosi in particolare sull’alta componente femminile delle vittime di tratta a livello globale, intorno ai tre quarti del totale. “Le donne sottoposte allo sfruttamento lavorativo sono il 14% del totale, soprattutto per lavori domestici”, ha aggiunto, è stato registrato un aumento anche in tale contesto. “Lo sfruttamento sessuale resta al primo posto di questa drammatica classifica”, sottolinea Santarossa, venendo poi ai dati relativi anche al continente europeo dove “a prevalere è anche qui lo sfruttamento sessuale, seguito dal lavoro forzato”. La maggior parte delle vittime proviene dall’Europa orientale, seguita dal continente africano ed è evidente come una forte componente dei soggetti trafficati a scopo di sfruttamento riguardi persone migranti. “La pandemia espone i minori che vivono in famiglie disagiate a diventare sempre più vittime di tratta e questo – conclude – è un fattore di grande preoccupazione per chi affronta e studia la gestione dei flussi migratori”.

La testimonianza di Joy 

Tra gli interventi, anche la video testimonianza di Joy, una donna nigeriana la cui storia è raccontata nel libro di Mariapia Bonanate, “Io sono Joy” (San Paolo), con la prefazione di Papa Francesco. Si tratta di una ragazza nigeriana che approda in Italia dopo un viaggio drammatico con l’illusione di trovare un lavoro, finendo invece sulla strada. La giovane si salverà grazie alla fede in Dio ed all’incontro con una comunità di accoglienza a Caserta. “Il viaggio verso l’Italia è stato drammatico, mancavano acqua e cibo. Se qualcuno cadeva dalla macchina o dalle moto veniva abbandonato, non si tornava indietro. Siamo state quasi due settimane nel deserto”. Poi l’arrivo in Italia. “Mi hanno detto che dovevo lavorare in strada, il mio debito era di 35mila euro”. Sulla strada Joy è rimasta quasi un anno, anche incinta. “Mi hanno fatto abortire”, dice con la voce rotta dall’emozione. “Gesù, fammi conoscere persone che mi aiuteranno, io da sola non ce la faccio. Pregavo, pregavo sempre – racconta Joy nel video – ed ho sentito una voce, che mi diceva di non avere paura, di trovare il coraggio. Allora ho preso il telefono, il giorno dopo un poliziotto mi ha liberata e sono andata a Caserta”. Qui spunta il sorriso. La vita di Joy è cambiata, stavolta per sempre.

Un numero per salvarsi

Cinzia Bragagnolo, coordinatrice Numero Verde anti-tratta, ha ricordato l’importanza di uno strumento che esiste da venti anni in Italia. “Il numero verde 800290290 è uno dei dispositivi attivati dal Dipartimento Pari Opportunità, che permette non solo di aiutare le vittime, ma di osservare un fenomeno sommerso”. Un numero attivo dal 2000, 24 ore al giorno per 365 giorni all’anno. “Dobbiamo capire che le reti criminali per le vittime della tratta sono formate da persone in cui è difficile non riporre inizialmente fiducia. Soggetti con cui c’è un legame culturale, anche affettivo importante”. Un vincolo fondamentale per comprendere il fenomeno, perché “rompere queste catene – rileva – è un processo lungo, che talvolta funziona a spirale, con alti e bassi e dove la differenza la fa una relazione autentica. In tal senso il numero verde è il primo aggancio da fornire a queste persone, un’alternativa a quella rete culturale e affettiva che poi, nel tempo, mostra la sua natura criminale. “Sinergie, risposte, informazioni utili – conclude – sono fondamentali per creare una nuova rete in grado di proteggere ed accogliere le vittime attraverso i tanti progetti del Piano nazionale anti-tratta”.

La burocrazia

Manuela De Marco,  dell’Ufficio politiche migratorie e protezione internazionale di Caritas Italiana, ha messo in luce come la tratta si alimenti “anche attraverso le rotte aeree. Le vittime sono in gran parte donne”, soprattutto provenienti dal lontano Est europeo e dell’America Latina. “Con forze di Polizia di frontiera zelanti, i respingimenti sono un ottimo deterrente”, aggiunge. In che direzione andare nella presa in carico di questo fenomeno? Quali le strategie? “La pandemia ha rallentato i processi di integrazione di queste donne, anche se ora la formazione è ripresa, compreso l’insegnamento di italiano”. Occorre, dunque, uno sforzo importante per far sì che le vittime non paghino un prezzo altissimo legato all’emergenza sanitaria che, gioco forza, diventa anche un’emergenza sociale. “L’obiettivo – conclude – è alleggerire da un lato la burocrazia nelle procedure di tutela di questi soggetti, dall’altro facilitare il loro ingresso nel mondo del lavoro che permette alle vittime di sganciarsi dal loro passato”.

I Balcani

Nello Scavo, giornalista di Avvenire, esperto di migrazioni ed autore di inchieste sulla tratta di esseri umani, ha concluso i lavori focalizzandosi sulla tratta terrestre nei Balcani. “I campi profughi sostanzialmente non sono gestiti, nonostante lo sforzo enorme dei volontari”, spiega il giornalista, oltre al fatto che il problema “è anche fuori dai campi, sulla fascia di confine tra la Bosnia e la Croazia, dove si trovano migliaia di persone che vogliono raggiungere l’Europa”. La Bosnia dunque “è diventata un vero imbuto ed è terribile assistere, documentare le violenze che queste persone subiscono”. Per Nello Scavo “si sta replicando una dinamica simile a quella libica, cioè di esternalizzare le frontiere, pagando qualcuno perché faccia il lavoro sporco. Ho visto torture, sevizie, nei giorni scorsi sono stati incendiati ripari di fortuna dei migranti. Personalmente ho incontrato un ragazzo respinto 54 volte al confine e di recente – conclude – ho assistito anche ad una crisi diplomatica, quando quattro europarlamentari italiani hanno cercato di raggiungere un luogo di confine ufficiale, quello appunto tra Croazia e Bosnia”.