Da domenica scorsa e fino al 22 maggio a Sacrofano riunite nella seconda assemblea generale oltre 200 religiose della rete internazionale contro il traffico di esseri umani, assieme a sopravvissute e delegati
di Beatrice Guarrera
Spose bambine, donne costrette a prostituirsi, lavoratori ridotti in condizioni di schiavitù. Condividono dolore e speranza le oltre 200 religiose, le sopravvissute e i delegati della rete internazionale Talitha Kum contro la tratta di persone, riuniti per la seconda assemblea generale alla fraterna Domus di Sacrofano, a pochi chilometri da Roma. Iniziata sabato 18 maggio, l’Assemblea prevede, mercoledì 22, la firma di una Dichiarazione finale di priorità e poi, giovedì 23, un’udienza privata con Papa Francesco, una liturgia celebrata dal cardinale Michael Czerny nella basilica di San Pietro e la cerimonia di premiazione del «Sisters Against Trafficking Award – Premio Sorelle contro la tratta» presso l’auditorium Augustinianum di Roma.
L’evento di Talitha Kum – sul tema: «In cammino insieme per porre fine alla tratta di esseri umani: Compassione in azione per la trasformazione» – riunisce rappresentanti presenti in 90 Paesi del mondo e segna anche il 15° anniversario dell’organizzazione costituita nel 2009 presso l’Unione Internazionale delle Superiore Generali (Uisg).
«La nostra rete è in crescita – spiega suor Abby Avelino, coordinatrice internazionale di Talitha Kum – ma questo è il momento in cui abbiamo davvero bisogno di riunirci e di dialogare su ciò che ancora deve essere fatto, perché il traffico di esseri umani continua ed è in crescita». Tra le pratiche per fronteggiarlo, secondo suor Avelino, la più efficace è senza dubbio la consapevolezza educativa, tramite progetti di sensibilizzazione: «Più persone raggiungiamo, soprattutto i giovani, più crediamo che è possibile combattere la tratta di esseri umani».
«In questa Assemblea ho visto che le esperienze di tratta si ripetono anche in Paesi totalmente diversi: le caratteristiche sono le stesse, anche l’inganno che c’è dietro o la criminalità organizzata – spiega suor Pilar, che con l’Associazione Micaela ha vissuto per quindici anni a Bergamo al fianco di donne sopravvissute al traffico di esseri umani -. L’esperienza che porto qui è che in ogni cuore c’è tanta bellezza, tante possibilità, tanta ricchezza. Dio vede il nostro cuore, vede la bellezza che c’è ciascuno di noi e non vede il male, non vede il peccato, non vede il limite e la fragilità. Vede il bello e il bello suscita sempre amore e quindi penso che non sia possibile non voler bene alle persone cosiddette escluse, emarginate, se veramente andiamo a leggere quello che hanno nel cuore. Ma quello che hanno nel cuore lo capiamo vivendo con loro, condividendo la vita con loro».
Proprio la condivisione è al centro dell’Assemblea. Così, in ogni sessione, le storie delle sopravvissute o di coloro che lottano per contrastare la tratta, strappano sorrisi e poi sussurri di indignazione per il male subito. «È forse la prima volta che mi capita di essere in uno spazio con così tanta cura», afferma Pauline, una sopravvissuta alla violenza sessuale e alla violenza domestica da bambina: «La mia esperienza in Kenya non è stata delle migliori come giovane donna e come ragazza, soprattutto perché provenivo da un contesto vulnerabile. Ma grazie a tutto questo, nel 2019, ho fondato un’organizzazione chiamata “Rebirth of a Queen” (“Rinascita di una regina”) che è stata effettivamente supportata da Talitha Kum ed è per questo che sono qui oggi». Seduta al tavolo con altre donne e uomini impegnati per garantire che nessuno passi per l’inferno che lei stessa ha sperimentato, Pauline si fa voce dei pensieri di molti: «Una cosa che ho imparato è che la tratta di esseri umani è una pandemia globale. Non è solo del Paese da cui provengo, non è qualcosa che è accaduta solo a me o solo in Kenya. Essere in questa stanza con così tante persone con tutti i dati e le statistiche che stiamo leggendo, è molto, è molto traumatico, ma ancora una volta, ci chiama a rialzarci davvero e a lavorare insieme in collaborazione. Sono felice di trovarmi in uno spazio in cui non sono più sola, ma mi sento come se fossimo tutti parte di una comunità più ampia che fa la differenza nel mondo».
Lo stesso sentimento di gioia per aver sconfitto l’isolamento si legge negli occhi di Nasreen, una sopravvissuta alla tratta in Nepal, che ha preso la parola raccontando pubblicamente la sua storia: «Quando ho visto mia sorella maggiore di 12 anni costretta a sposarsi, sapevo che sarei stata la prossima». Dal villaggio rurale dove era nata, Nasreen è dunque fuggita nella capitale nepalese Kathmandu, per rimanere, però, intrappolata nel lavoro minorile, a dieci anni, in una fabbrica tessile. «Lavoravo come una macchina per 12-15 ore al giorno per completare la montagna di capi che il manager mi metteva davanti». Dopo la chiusura della fabbrica, un’altra fuga fino a diventare una ragazza di strada, prima dell’incontro con il suo tutore che le ha cambiato la vita. «Sono qui all’assemblea di Talitha Kum per parlare dell’emancipazione femminile e di come le donne possano unirsi a livello globale per ottenere maggiore trasparenza su un consumo coerente, perché in questo momento, a livello globale, ci sono ventotto milioni di persone che sono costrette al lavoro forzato – denuncia la giovane -. E queste persone provengono da comunità emarginate e vulnerabili». Tra gli argomenti discussi all’ordine del giorno c’è anche quello del coinvolgimenti dei giovani: «Abbiamo parlato di come creare un’alleanza e una connessione, non solo con le donne, ma anche con gli uomini, perché se una persona rimane indietro, non riusciremo ad andare avanti – afferma Nasreen -. Incoraggio sempre più uomini a unirsi e a sostenere le donne e la leadership femminile».