Terremoto del Centro Italia, Pompili: quest’anno si può dire che la ricostruzione è avviata

Vatican News

Debora Donnini – Città del Vaticano

Quelle scosse che fecero tremare il Centro Italia in piena notte generando paura, morte e distruzione, rimangono impresse nella memoria. Cinque anni fa, il 24 agosto del 2016, alle ore 3.36, un terremoto di magnitudo 6.0 devastò Amatrice e Accumoli, nel Reatino, e Arquata del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno, in particolare la frazione di Pescara del Tronto che venne totalmente schiacciata sotto le macerie. Era estate e tanti erano i villeggianti in cerca di riposo in questi centri dell’Appennino. Fu anche l’inizio di una serie di eventi sismici che avrebbero colpito Abruzzo, Marche, Umbria e Lazio fino al gennaio 2017. 

La ricostruzione

In quella notte, in cui le scosse si sentirono da Roma a Napoli, da Benevento fino anche a Bolzano e Gorizia, sotto le macerie persero la vita 299 persone: 237 ad Amatrice, 51 ad Arquata (quasi tutte nella frazione di Pescara) e 11 a Accumoli.  Presentando il III rapporto che fa il punto sulla situazione al 30 giugno, il commissario straordinario per la ricostruzione, Giovanni Legnini, ha sottolineato che sono oltre 20mila le richieste di contributo per la ricostruzione degli edifici privati danneggiati. Oltre 10mila i cantieri autorizzati e finanziati: metà in corso d’opera e metà già chiusi, con il risultato di restituire una casa a 12 mila famiglie.

Il 4 ottobre di quello stesso anno, Papa Francesco si recò a sorpresa in visita nelle zone copite dal terremoto, fra cui in particolare a Amatrice, Accumoli, Arquata e Pescara del Tronto, per poi spostarsi anche a San Pellegrino di Norcia. Una visita segnata da preghiera, vicinanza, parole di conforto verso le popolazioni colpite e dall’incoraggiamento a guardare avanti. 

Testimone del dolore e della devastazione, fu monsignor Domenico Pompili, che dal 2015 è vescovo di Rieti, e dal 2020 è anche amministrare apostolico della diocesi di Ascoli Piceno. Per pregare e ricordare le vittime, una serie di celebrazioni, tenutesi anche nella notte, culminano stamani con la Messa celebrata a Amatrice dallo stesso monsignor Pompili, alla quale partecipa anche il presidente del Consiglio, Mario Draghi. Nell’intervista il vescovo di Rieti torna con il pensiero a quelle ore, alla ricostruzione delle abitazioni e dei cuori da portare avanti aprendo una strada di speranza:

Ascolta l’intervista a monsignor Pompili

La notte tra il 23 e il 24 agosto, mi trovavo a Lourdes, ero appena arrivato, e fui svegliato poco dopo le 3.36 da alcune telefonate di sacerdoti che stavano nella zona dell’altopiano dell’amatriciano. Mi raccontavano in diretta quello che stavano vivendo, perciò quello stesso giorno, il 24 di agosto, alle 6 prenotai il volo di ritorno e arrivai ad Amatrice nel primo pomeriggio, intorno alle 16. Il ricordo che ho ancora stampato è la distruzione davvero colossale, ma in particolare ricordo il volto di una persona, Valerio, che mi venne incontro e mi prese quasi per mano per accompagnarmi dietro una casa ormai distrutta, dentro la quale c’erano tre sacchi e lui, col dito, indicò dicendo: “Questa è mia moglie, questo è mio figlio, questa è mia figlia”. Poi con Valerio in questi 5 anni abbiamo avuto modo di conoscerci, di entrare in amicizia, e così ho capito ancora di più la vastità di quel dolore che sicuramente è ancora vivo.

Il modo migliore per onorare la memoria i morti è ricostruire in tempi ragionevoli e con sicurezza, ha detto il commissario straordinario per la ricostruzione, Giovanni Legnini, presentando il III rapporto che fa il punto sulla situazione al 30 giugno. A cinque anni di distanza, la ricostruzione come procede?

Quest’anno, forse per la prima volta, dopo 5 anni, possiamo dire che la ricostruzione è un processo avviato e questo si deve anche all’opera del commissario Legnini che ha sfrondato notevolmente le procedure approfittando del lockdown e introducendo un ritmo, finalmente, a questa sorta di azione ricostruttiva che ha patito negli anni dei ritardi e delle inadempienze, che hanno fatto pensare ad una paralisi. Mi pare che quest’anno si possa dire per la prima volta che dalla paralisi si è venuti fuori e che il processo è avviato. Certo ora occorrerà che lo Stato confermi la determinazione nella snellezza delle procedure che devono essere comunque trasparenti e che da parte di tutti gli attori sociali, economici e istituzionali, ci sia una convergenza nel far sì che sia la ricostruzione privata che quella pubblica possa andare avanti con ritmo crescente.

Lei come vede anche la possibilità che questi territori – le zone di Amatrice e Arquata del Tronto – possano riprendere effettivamente la loro vita?

Dobbiamo guardare avanti non pensando di riprodurre le forme del passato che dagli inizi del Novecento hanno significato un abbandono da parte della popolazione verso le grandi città. Dobbiamo invece immaginare qualcosa di diverso che probabilmente in questa fase si fa immaginare anche più legato a una diversa qualità della vita, che forse in questi territori è possibile sperimentare a condizione però che questi stessi territori vengano sottratti al loro atavico isolamento e possano essere accessibili e dotati di tutti quei servizi che sono caratteristici delle realtà urbane. Allora, forse, ci potrebbe essere un ritorno non semplicemente di quelli che vi abitavano ma anche di altri che possono scegliere di vivere in questi territori, magari di lavorare anche a distanza, e di ritrovare un diverso rapporto di qualità della vita e con l’ambiente.

Lei come vescovo di Rieti e amministratore apostolico di Ascoli Piceno è a contatto con le sofferenze dei fedeli.  C’è stata e c’è ancora da portare avanti una ricostruzione dei cuori, specie per chi ha perso familiari. Quale è l’impegno della Chiesa?

Le ferite dell’anima restano cicatrizzate ma sempre lì, perché il dolore a dispetto degli anni che passano, si amplifica, perché la nostalgia delle presenze che mancano all’appello, si fa più forte. In questi anni come Chiesa si è cercato, insieme a tanti volontari, di garantire anzitutto l’ascolto delle persone che sono rimaste, per lo più persone anziane e bambini con i genitori. Poi accanto a questo ascolto, c’è stato anche il desiderio di ricompaginare le piccolissime comunità che il terremoto ha un po’ polverizzato. Inizialmente perché si erano trasferiti lungo la costa Adriatica e poi al ritorno perché la suddivisione in tante piccole SAE – soluzioni abitative di emergenza –  ha un po’ ulteriormente chiuso le persone all’interno della propria casetta. Perciò è stato importante creare occasioni di incontro, momenti anche di socializzazione e naturalmente da questo punto di vista, anche se mancavano le chiese “materiali” perché erano crollate, la Chiesa intesa come comunità parrocchiale ha svolto un grande compito e credo che anche in futuro questo debba continuare ad essere l’impegno: l’ascolto e la capacità di convocare le persone perché non basta certo ricostruire le case se parallelamente anche la comunità non si ricompagina e ha fiducia di andare avanti.