Antonella Palermo – Città del Vaticano
Le brevi lectio divine del ciclo “Redenti dal peccato, annunciatori del Vangelo” attingono a brani del Vangelo di Marco e sono state preparate da monsignor Giacomo Morandi, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede. Realizzate con riprese video nella Cappella del Centro Aletti a Roma, le proponiamo in questi giorni in cui il Papa e la Curia sono impegnati, individualmente, a causa delle norme sanitarie vigenti, nei loro Esercizi spirituali. Questo secondo appuntamento si sofferma sulla chiamata dei primi discepoli, sul senso profondo della conversione e della sequela.
Dio alla ricerca dell’uomo
Monsignor Morandi sottolinea che la predicazione di Gesù parte verso la Galilea, luogo particolarmente pericoloso perché infestato da briganti. “La priorità – spiega il presule – è andare laddove la situazione sembra essere più compromessa”. E’ proprio là che Gesù annuncia la Buona Notizia di Dio. Si parla di un tempo che è compiuto. In particolare l’evangelista Marco usa il termine kairos, quel tempo in cui si realizza il progetto di Dio, in cui si può sperimentare la fedeltà di Dio. Morandi cita Abraham Heschel e il suo Dio alla ricerca dell’uomo: Dio desidera la preghiera dell’uomo. “Non siamo in balìa del caso, del fato o del destino – spiega il teologo – ma siamo all’interno di un progetto in cui Dio padre ha saldamente le redini”. L’invito è dunque a leggere la nostra vita nella prospettiva del suo piano di salvezza. E aggiunge che questa prossimità del Regno dovrebbe suscitare negli uomini gioia e disponibilità.
Convertitevi e credete nel Vangelo
Morandi insiste sulla necessità di tenere insieme queste due espressioni: ‘convertitevi’ e ‘credete’. La parola conversione è associata al credere, quindi non si tratta tanto di una ‘inversione a U’ ma di entrare in una buona notizia. “E’ la fede nel Vangelo che creerà le condizione per una autentica, stabile, efficace conversione”, precisa. E’ la fede la vera conversione, il che vuol dire essere amati da Dio e fondare la vita su questa certezza. Il nemico, Satana, tenterà in tutti i modi di scalfire, corrodere questa fiducia in Dio facendoci vedere altre strade.
Gesù chiama nella ferialità
Gesù chiama i discepoli nella loro vita quotidiana, nella ferialità. “Noi ci aspettiamo sempre qualcosa di straordinario – spiega Morandi – ma Gesù entra nella normalità”. L’avverbio ‘subito’ con cui viene descritta la risposta di coloro che sarebbero diventati i primi seguaci, è fondamentale: non c’è una dilazione di tempo, non c’è l’idea di un percorso progressivo. Quegli uomini si rendono conto che devono rispondere immediatamente. “Ci sono dei momenti in cui appare con chiarezza la Sua chiamata, in cui ci rendiamo conto della Sua visitazione. E’ esattamente in quei momenti di grazia che noi dobbiamo essere pronti”. Qui interviene la citazione di Sant’Agostino quando diceva: ‘Temo il Signore che passa e non ritorna’ per esprimere che ci sono degli eventi nei quali il Regno di Dio ci visita con una una luce del tutto particolare: un corso di Esercizi, un pellegrinaggio, un incontro con una persona… Qui si dischiude una verità, il Signore ci chiama per nome e noi dobbiamo con tutta tempestività rispondere.
Seguire Gesù per vivere un’amicizia
Gesù chiama alla comunione, a condividere la sua vita, non tanto prima di tutto ad assimilare un insegnamento, una dottrina. E’ un presupposto fondamentale a cui richiama Morandi. La vita cristiana del discepolato significa vivere una relazione. “Credere nel Vangelo non è aderire a un progetto ma entrare in una amicizia”, sapendo che nella misura in cui noi assecondiamo questa amicizia inevitabilmente ‘la lingua parlerà della sovrabbondanza del cuore’, come dice Gesù. Il teologo ripesca una immagine che secondo lui può bene rappresentare questo compito di annunciatori del regno. E quella in cui Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi racconta che il segreto in Perpetua, che lei aveva carpito da Don Abbondio, stava come un vino nuovo in una botte mal cerchiata. Come a dire che alla fine vincerà il vino nuovo. In sostanza, il discepolo sperimenta una gioia talmente grande, che non potrà non parlare del Signore, non tanto a parole ma attraverso la gioia che trasuderà dalla sua vita. Ecco perché dobbiamo insistere su questo: ogni cammino spirituale maturo e fecondo ci deve portare a rinnovare la nostra relazione con Cristo. E conclude che il senso del “lasciare ogni cosa non è per diventare vuoti ma perché niente e nessuno possa sottrarci alla bellezza e al fascino di vivere una amicizia sempre più solida con Lui”. E non abbiamo paura se vediamo che ci sono degli ostacoli: sarà una esperienza di libertà.