Suor Rosaria in Etiopia: pane e acqua per liberare ragazzi e famiglie dal bisogno

Vatican News

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Di sé suor Rosaria dice di aver sempre avuto “una bella dose di incoscienza”, di non essere una persona che “sta a ragionare troppo” e che, per questo, il Signore con lei ha trovato “campo buono per giocare”, e “con umiltà devo dire che ha giocato bene”. Figlia di Maria Ausiliatrice, nata 64 anni fa nella bergamasca Caravaggio, suor Rosaria Assandri è missionaria in Africa da 33 anni. Ha aperto un orfanatrofio in Kenya, una nuova missione in Sud Sudan e, infine, è approdata a Gubrye, in Etiopia, nel distretto di Guraghe, a 170 km a sud ovest di Addis Abeba.

La panetteria, il pozzo e la mensa per i poveri

Lei e le due consorelle non hanno creato una scuola, ma aiutano bambini, giovani e donne a recuperare o migliorare la propria istruzione. Con l’oratorio salesiano offrono “un posto gioioso dove giocare e imparare a stare insieme”, i giovani possono fare sport, soprattutto calcio, “cercando il più possibile di tenerli lontani dalla strada”.  Alle giovani donne insegnano un lavoro con la scuola di taglio e cucito e la panetteria che, con la mensa per i poveri (150 pasti al giorno) e il pozzo per l’acqua, rispondono ai bisogni primari di tante famiglie povere e dei ragazzi di strada.

Il pane della missione di Gubrye

Una testimonianza d’amore, col sorriso e le mani aperte

Così, in questi due mesi di siccità, oltre alla fila per il pane, perché la panetteria riesce a sfornare anche 5000 panini al giorno, all’ingresso del centro “Maria nostra Madre” delle salesiane di Gubrye, più di settecento famiglie aspettano il loro turno per riempiere le taniche di acqua. E’ il modo di suor Rosaria e delle sue consorelle di testimoniare l’amore di Cristo, sempre “con il sorriso, e tendendo la mano dove c’è bisogno”.

Una nuova vita da donare, dopo la malattia

Alcuni anni fa, poi, il Signore le ha mandato “il dono” di una malattia invalidante, la malaria cerebrale, dalla quale questa combattiva religiosa bergamasca è uscita più forte di prima, e più convinta di dover donare l’amore che Dio le ha dimostrato facendola uscire dall’infermità. La nuova vita di suor Rosaria, ripartita anche grazie ai medici dell’ospedale Sacco di Milano, oggi le dice: “Adesso donati senza riserve, dona, dona e basta”. Ecco l’intervista integrale di Vatican News, in occasione della Giornata missionaria mondiale 2021:

Ascolta l’intervista a suor Rosaria Assandri

Suor Rosaria, lei è in missione in Africa da 33 anni. Ma come è nata la sua vocazione?

Io vengo da una famiglia molto povera, per cui ho iniziato a lavorare molto giovane, avevo 11 anni, dalle suore salesiane a Melzo, in provincia di Milano. E’ lì che le ho conosciute, ed è stato come un fulmine a ciel sereno, perché le suore mi hanno veramente incantata. Vederle giocare con i bambini, sempre gioiose. E da lì il Signore ha fatto poi il resto, mi ha presa proprio nel cuore. Sono stati anni molto belli e ho cercato di dare tutto al Signore e decidere, quando l’età andava bene, di farmi anch’io salesiana mi piaceva proprio tanto. Poi, io ho una vita guidata molto dall’incoscienza, nel senso che non sto a ragionare troppo e il Signore ha trovato buon campo, per cui ha giocato lui…

E in questi anni come ha portato la Parola di Dio e testimoniato il Suo amore ai popoli africani?

Siamo in nazioni dove i cattolici, soprattutto qui in Etiopia, sono pochissimi. Abbiamo chiamato il nostro centro “Maria nostra Madre” proprio per non discriminare nessuno. Qui la maggior parte dei fedeli sono ortodossi, protestanti o musulmani, ci sono pochissimi cattolici, ma siamo aperte a tutti e a tutti portiamo l’amore di Cristo. Quello che possiamo fare di bene lo si fa senza guardare né religione, né tribù. Lo facciamo come? Con il sorriso, tendendo la mano dove c’è bisogno. Chi ha bisogno di cibo, chi ha bisogno di vestiti, facciamo del nostro meglio per procurare ciò che serve. Andiamo a visitare le famiglie, tantissime quest’anno, e abbiamo procurato anche dei letti, perché dormivano proprio nel fango e poi abbiamo aperto anche una mensa per i poveri e ne vengono tanti, circa 150 al giorno. In più, una piccola panetteria: sforniamo più di 5000 panini al giorno e lo si dà soprattutto ai bambini e alle famiglie molto povere. Abbiamo anche un centro sportivo che è centrato sui giovani, per toglierli dalla strada, perché i pericoli sono veramente tanti.

Quindi sui bambini, i ragazzi, le donne e le famiglie è concentrata la vostra missione in Etiopia, in questo momento?

Non abbiamo scuole, abbiamo solo recupero, alfabetizzazione, l’oratorio, che come salesiane non può mancare e poi questo aiuto alle famiglie, che è veramente tanto importante, perché tante famiglie non mangiano neppure un pasto al giorno. E’ una vita molto difficile.

Parliamo della pandemia in Etiopia. Che peso ha avuto e sta avendo nel vostro servizio alla gente di Gubrye?

Ha avuto un peso molto grosso e non solo la pandemia, ma anche la guerra nel nord, purtroppo. Tutto ha reso la vita difficile a tutti: i beni primari, come il cibo, si sono triplicati di prezzo, per cui anche per noi che riceviamo offerte dei benefattori, è molto difficile far fronte a tutti questi bisogni. Oggi la pandemia è più forte dell’anno passato, abbiamo tanti casi di morti qui intorno a noi e anche tanti giovani e tanti altri, purtroppo, sono in guerra. Le famiglie non sanno dove sono, se sono vivi o sono morti. C’è una situazione molto penosa.

Nemmeno i vaccini sono arrivati, quelli promessi dalle istituzioni internazionali?

Qui arrivano ogni tanto, ma arrivano magari 20 flaconcini per ogni ospedale, o 50 da un’altra parte, davvero pochi. E poi c’è il problema che nei villaggi la gente di questa pandemia sa poco. Noi abbiamo una scuola di cucito, abbiamo confezionato più di 7000 mascherine, ma nessuno le usa. Anche l’ignoranza purtroppo ha giocato tanto, perché non ci credono, dicono che è una piccola influenza, che è un po’ di raffreddore, ma poi le conseguenze sono gravi.

Parlando di malattia, il Signore le ha fatto il dono, lei ha detto, di una malattia grave e invalidante dalla quale l’ha fatta poi rinascere. Cosa le ha dato questa esperienza e questo segno mandato da Dio?

Proprio un segno mandato da Dio, perché amo molto i poveri e volevo donare tutta la mia vita, ma a volte si perde anche un po’ di tempo. Ho avuto, un po’ di anni fa, la malaria cerebrale con altre complicazioni ai polmoni, eccetera. Sono stata in coma tre mesi, all’ ospedale Sacco di Milano, a cui devo una gratitudine molto grande. Dopo questo coma, mi sono svegliata con l’abbraccio di Dio, e ho sentito tanto, tanto amore. Ho avuto bisogno ancora di nove mesi, per rinascere completamente, perché era inferma. Ma dopo di quello è iniziata per me una vita di gioia e di libertà, che mi dice: “Adesso donati senza riserve, dona, dona e basta”. E quell’amore di Dio che io ho provato, così forte, mi basta per la vita di ogni giorno.

Quindi non si preoccupa più dei dissidi che ci possono essere con le consorelle, o altre cose che possono succedere, ma punta solo a quello, a donarsi?

Con tutta sincerità, le mie sorelle sono fantastiche e lavorano tanto anche loro per i poveri, però le piccole cose non mi interessano più. Ci sono problemi e situazioni così gravi che non possiamo perdere tempo. Non sappiamo neanche quanto tempo abbiamo davanti a noi, cosa facciamo? Perdiamo tempo per stupidate? No, no, andiamo avanti con coraggio, serenità e gioia.

Cosa l’ha colpita di più, magari perché legato la sua esperienza di missionaria, del messaggio di Papa Francesco per questa Giornata missionaria mondiale del 2021?

Amo e stimo tantissimo Papa Francesco, mi piace tanto. Tante volte mi sento proprio in sintonia con lui. Ho presente una frase nella quale dice: “Dio ama la nostra umanità e fa proprie le nostre gioie e le nostre sofferenze, i nostri desideri e le nostre angosce”. E poi dice ancora che “dobbiamo stabilire con ogni persona un dialogo di amicizia: il dialogo ci mette alla pari”. Ed è bellissimo, siamo amici alla pari, siamo tutti veramente fratelli. E’ molto bello.

L’enciclica “Fratelli tutti”: l’essere fratelli lo vivete concretamente con la gente di Etiopia?

Si, in modo molto concreto. Qui, adesso, stiamo distribuendo anche acqua, perché purtroppo da due mesi non c’è acqua in tutti i villaggi intorno a noi e nel paese vicino. Ieri eravamo quasi matte: più di 700 famiglie con delle file immense a prendere l’acqua. Il problema è che anche l’elettricità manca tantissime volte, per cui spendiamo tantissimi soldi, mettendo la nafta nel generatore, per poter provvedere sia al cibo che all’acqua. Però, dico sinceramente, siccome diamo veramente tutto ai poveri, il Signore e la Madonna ci pensano, e provvedono attraverso amici buoni che provvedono a quel che abbiamo bisogno.

E’ anche un appello a continuare ad aiutarvi. Quindi voi avete un pozzo dal quale le persone dei dintorni possono venire a prendere l’acqua?

Sì, abbiamo fatto trivellare, fino a 100 metri, e abbiamo acqua molto buona, l’abbiamo fatta analizzare, per sicurezza. Però abbiamo bisogno che ci sia l’elettricità per pompare, altrimenti non abbiamo l’acqua. Abbiamo comprato anche un generatore, con l’aiuto di tanti amici buoni. E finché possiamo lo facciamo. Certo, spendiamo un sacco di soldi, veramente tanti, però andiamo avanti con coraggio. Credo molto nella Provvidenza, e non ho paura di andare avanti.