È passato più di un anno dal pellegrinaggio ecumenico che Papa Francesco nel febbraio 2023 ha compiuto nel Sud Sudan dilaniato dalla guerra. Dopo anni di traumi, nel giovane Paese il processo di guarigione e riconciliazione è ancora in corso e in questo percorso le religiose svolgono un ruolo importante contribuendo a sanare le ferite profonde causate dalla violenza
Suor Paola Moggi, SMC
Il Sud Sudan è una nazione molto giovane: è nata dopo decenni di guerra civile. Quando si firmò il trattato di pace nel gennaio 2005, la guerra aveva lasciato circa 5 milioni di sfollati interni e 2,5 milioni di morti, con un’eredità di profonda sfiducia tra gruppi etnici rivali.
Nel gennaio 2011 si svolse poi lo storico referendum sull’indipendenza del Sud, nonostante sfide crescenti. Ma quando poi il 9 luglio nacque la Repubblica del Sud Sudan, tra urla di gioia, le ferite della sfiducia e della paura erano lungi dall’essere guarite.
Le religiose che operavano nella neonata nazione erano consapevoli di questa battuta d’arresto e sono state fondamentali nella promozione di iniziative di pace.
Segni di speranza in mezzo a ferite profonde
Fin dal 2010 il Catholic Health Training Institute (CHTI) di Wau favorisce il dialogo interculturale e aiuta studenti – maschi e femmine – a superare pregiudizi profondamente radicati. Questo istituto è stato avviato da Solidarity with South Sudan, una joint venture (ovvero un accordo di cooperazione, ndr) di religiosi e religiose che ha sviluppato una formazione residenziale per insegnanti e infermieri, ponendo particolare attenzione alla sicurezza alimentare, alla formazione pastorale e alla cura dei traumi. La prima cerimonia di consegna dei diplomi è avvenuta nel 2013 e già nel 2022 dall’Istituto sono uscite 181 infermiere diplomate e 87 ostetriche.
Suor Brygida Maniurka, missionaria francescana di Maria di Polonia, lavora al CHTI dal febbraio 2022. “I nostri studenti vengono da tribù, Stati e religioni diversi e parlano lingue diverse. Il CHTI sottolinea costantemente il rispetto per tutte le culture e la tolleranza nei riguardi di ciò che è diverso. Con l’aiuto di attività ed esercizi di diverso genere riusciamo a far nascere legami d’amicizia e a promuovere pace e unità. A parte l’assistenza infermieristica e l’ostetricia, i nostri studenti imparano l’arte di costruire relazioni e di lavorare insieme”, dice suor Brygida.
Aggiunge poi che accompagnare gli studenti nel loro cammino di crescita richiede tante ore di dialogo. E’ vero, “ma che gioia quando, passati tre anni, verifichi quanto sono cambiati!”. “E la nostra gioia è ancora maggiore quando ci arrivano i complimenti dalle comunità di origine di questi ragazzi e dalle istituzioni nelle quali lavorano”, racconta ancora suor Brygida.
Quando il dolore diventa la cura
A Yambio, l’iniziativa che riserva attenzione particolare alle donne che hanno subìto traumi. Suor Filomena Francis – che qui chiamano suor Bakhita – è originaria di Nzara, una cittadina nell’Equatoria occidentale; prima viveva a Khartoum, dove c’erano circa 5 milioni di sud sudanesi sfollati in attesa di raggiungere l’Egitto e le Suore missionarie francescane dell’Immacolata Concezione di Maria (MFIC).
Prima di partire per la Papua Nuova Guinea, nel 1995 suor Filomena riuscì ad andare a trovare la sua famiglia in quello che ora è il Sud Sudan. In quel periodo, la zona era stata conquistata dallo SPLA (Sudan People’s Liberation Army, l’Esercito popolare di liberazione del Sudan) e suor Filomena trovò la sua famiglia e le sorelle in buone condizioni. Nel 1999, però, la violenza sessuale e gli abusi perpetrati dai soldati aveva reso la loro vita miserabile.
Il drama vissuto dalla famiglia di suor Filomena la ispira ad avviare un programma di consulenza e di guarigione dai traumi, che si materializzò nel 2006 con la Adeesa (Women) Support Group Organization (ASGO), iniziata insieme ad altre due donne.
Nel 2013 la religiosa apre una comunità delle Suore missionarie francescane nella diocesi cattolica di Tambura Yambio e inizia a formare donne e uomini del posto perché siano attivamente coinvolti nel programma di guarigione.
“Il mio trauma personale, quello che mi ha colpito da bambina, mi ha indotto ad avviare questo progetto. Il dolore e le perdite che la mia famiglia e io ancora ricordiamo mi danno la forza di lavorare in questo programma”, dice suor Filomena. “Sono convinta che un approccio olistico alla guarigione dal trauma in Sud Sudan possa portare a una pace sostenibile e possa salvare la vita di molte donne, ragazze e anche giovani uomini che sono stati violentati per punire la loro appartenenza etnica”, conclude la religiosa.