Andrea De Angelis – Città del Vaticano
“Ora nessuno lo può negare, è stato un genocidio e l’Isis è colpevole di questo”. Le parole dell’avvocato Amal Clooney, uno dei simboli della battaglia legale per i diritti delle donne yazide, esprimono la soddisfazione per la condanna di un terrorista dell’Isis, punito dal Tribunale di Francoforte con l’ergastolo per aver fatto morire di sete in Iraq una bambina yazida di cinque anni, dopo averla tenuta per ore in atroci condizioni. Era il 2015, la piccola fu incatenata ad una finestra ed esposta al sole: la temperatura sfiorava i 50 gradi. Il suo nome era Rania. Quando i giudici del tribunale regionale di Francoforte hanno letto il verdetto di genocidio, crimini contro l’umanità, traffico di esseri umani e omicidio, si è scritta una pagina di storia, a cui ha contribuito la mamma della vittima, la signora Nora. Lei, assieme alla piccola, era stata comprata al mercato degli schiavi, dopo essere stata rapita nelle montagne del Sinjiar, in Iraq.
Una vittoria per tutta la comunità
ll premio Nobel per la Pace 2018 Nadia Murad ha salutato come “una vittoria” per gli yazidi il verdetto per genocidio emesso in Germania. Murad, lei stessa una yazida sopravvissuta a maltrattamenti, ha definito “storica” la sentenza del tribunale tedesco che riconosce come genocidio i crimini commessi dal cosiddetto Stato islamico contro la comunità yazida. “Questo verdetto è una vittoria per i sopravvissuti al genocidio, i sopravvissuti alla violenza sessuale e l’intera comunità yazida”, ha detto Murad in una nota, ringraziando la Germania.
Chi sono gli yazidi
Etnicamente curdi, da secoli stanziati tra l’attuale Siria e il nord dell’Iraq, gli yazidi sono i seguaci di un credo religioso le cui origini risalgono a circa quattromila anni fa, influenzato lungo la storia dallo zoroastrismo, da correnti gnostiche del cristianesimo e dal sufismo. Yazidi è il nome con cui tale comunità religiosa è universalmente conosciuta, ma tra di loro i membri si chiamano Ēzdi, Ēzidi o, in alcune aree, Dāsini, forse dal nome dell’antica provincia che si estendeva a est di Mosul, nell’attuale Iraq. Perseguitati soprattutto in seguito alla diffusione dell’islam nel Medio Oriente, oggi il loro numero è calcolato in alcune centinaia di migliaia, la maggior parte dei quali vive nel nord dell’Iraq. Una parte di loro nel secolo scorso è emigrata in Europa, soprattutto in Germania.
Un dramma ancora in corso
“Questo popolo continua ad essere perseguitato ancora oggi, se ne parla ancora troppo poco, ma questa sentenza è comunque importantissima sia per quanto riguarda la giustizia che per il riconoscimento delle atrocità subite”. Lo afferma, nell’intervista a Radio Vaticana – Vatican News, la giornalista Sara Lucaroni, il cui lavoro si è spesso incentrato proprio sulla minoranza yazida.
Cosa hai provato nel leggere questa sentenza?
Una grande soddisfazione. Si tratta della prima condanna al mondo ad un soggetto appartenuto all’Isis per il genocidio contro la minoranza yazida, riconosciuto così per la prima volta in un Aula di Tribunale. Queste persone hanno sempre chiesto giustizia, hanno chiesto che i membri dell’Isis venissero processati. La popolazione non ha però ancora pace, basti pensare che mancano all’appello, dopo i rapimenti del 2014 e 2015, quasi tremila persone. Parliamo di crimini atroci di un genocidio ancora in corso. Anche di recente si ha notizia che alcuni bambini sono venduti sul dark web. Di certo questa sentenza apre scenari fondamentali in termini di giustizia e riconoscimento di quanto hanno subito queste persone, in particolare donne e bambine yazide.
La sentenza arriva dalla Germania perché è lì che è stato catturato e appunto processato il membro dell’Isis. Un Paese dove vi è una un’importante comunità yazida, con numeri superiori ad altri Stati europei. Eppure in Europa e più in generale nel mondo si parla poco di queste atrocità. Perché?
Permettimi di dire che voi, come testata, fate un lavoro assolutamente meritevole perché tenete alta sempre l’attenzione su vicende che appaiono lontanissime e dimenticate. Di yazidi se ne parla di più dove esistono delle comunità numericamente importanti, cosa che non avviene ad esempio in Italia. Diverso il discorso per la Germania. Parliamo di persone che, ad esempio in Iraq, vivono ancora in migliaia nei campi profughi. La giustizia tedesca ha avuto un’attenzione particolare e questo è bene sottolinearlo. Va anche detto che la Germania è stato forse il primo Paese ad attivarsi per accogliere donne e bambine che venivano liberate dopo l’escalation del 2014 e necessitavano di assistenza, sotto vari profili.
La protagonista di questo processo è la mamma della bambina uccisa. La sua testimonianza è quella di chi ha vissuto una storia difficile anche solo da raccontare. Quali storie, quali incontri vuoi condividere con gli ascoltatori?
Sì, la storia ricostruita in Aula è terrificante. La maggior parte di queste vicende, fatti simili non arrivano alla cronaca. Nadia Murad, Nobel per la Pace, è stata rapita e schiavizzata dall’Isis nel 2014. Più volte ha ripetuto che questi episodi accadono anche se non vengono ripresi da radio o giornali. Ho avuto prova io stessa di situazioni in cui sul dark web vengono vendute ragazze e bambine. La Polizia turca ne ha salvate almeno tre nell’ultimo anno e mezzo. A me è rimasta molto impressa la storia di alcune ragazze che sono tornate a casa dopo il rapimento. Hanno iniziato a dormire e lo hanno fatto per settimane. Non si svegliavano più, era una reazione alla tragedia vissuta. Storie incredibili, che sono però diventate la normalità e che si possono registrare visitando le case, le tende del Sinjiar. Deve passare soprattutto questo messaggio: il genocidio è ancora in corso, anche se l’Isis non agisce come faceva qualche anno fa, quando occupava molto spazio nelle cronache mondiali.
Il pensiero del Papa
Francesco ha fatto finora tante volte riferimento agli yazidi come esempio delle sofferenze fisiche e spirituali subite a causa dell’estremismo e della violenza. Per tutti loro e per quanti ancora oggi sono dispersi e sequestrati, il Papa nel recente viaggio apostolico in Iraq ha pregato affinchè ovunque siano “rispettate e riconosciute le libertà fondamentali”. Il 24 gennaio 2018, ricevendo nell’Auletta dell’Aula Paolo VI una rappresentanza della comunità yazida in Germania, Francesco iniziò così il suo discorso:
Il mio pensiero solidale e orante va alle vittime innocenti di insensata e disumana barbarie. È inaccettabile che esseri umani vengano perseguitati e uccisi a motivo della loro appartenenza religiosa! Ogni persona ha diritto di professare liberamente e senza costrizioni il proprio credo religioso.
Quindi il Papa rimarcò il loro pieno diritto ad esistere come comunità religiosa:
Di fronte alla tragedia che si sta perpetrando a danno della vostra comunità, si comprende, come dice il Vangelo, che dal cuore dell’uomo possono scatenarsi le forze più oscure, capaci di giungere a pianificare l’annientamento del fratello, a considerarlo un nemico, un avversario, o addirittura un individuo privo della stessa dignità umana. Ancora una volta alzo la mia voce in favore dei diritti degli Yezidi, anzitutto il diritto ad esistere come comunità religiosa: nessuno può attribuirsi il potere di cancellare un gruppo religioso perché non fa parte di quelli detti “tollerati”.