Michele Raviart – Città del Vaticano
È prevista per oggi, nel penitenziario di Terre Haute in Indiana, l’esecuzione della pena di morte per Lisa Montgomery, 53 anni, condannata per aver ucciso 16 anni fa una donna incinta all’ottavo mese sottraendole la bambina che portava in grembo. Lisa Montgomery soffre da sempre di disturbi mentali dovuti a una vita di sfruttamento e di abusi sessuali subiti. I suoi avvocati hanno inviato una petizione alla Corte federale dell’Indiana per fermare l’esecuzione, sostenendo che i diritti costituzionali della donna sarebbero stati violati a causa della sua condizione mentale.
La prima esecuzione di una donna dal 1953
“Rivolgiamo un appello al presidente Trump affinché le conceda la grazia e trasformi la sentenza capitale in ergastolo”, hanno scritto i legali della donna. Oltre mille le persone, gli attivisti e le associazioni che hanno sottoscritto un appello simile a Trump, sostenuti in questo anche da realtà come la Comunità di Sant’Egidio. Montgomery al momento è l’unica donna ad essere nel braccio della morte negli Stati Uniti e, se le richieste di grazia non verranno accolte, sarà la prima donna ad essere uccisa dalla giustizia americana dagli anni cinquanta. Dopo quella di Lisa Montgomery, previste il 14 e il 15 gennaio altre due esecuzione, quelle di Corey Johnson e Dustin Higgs.
Dieci le condanne federali da luglio
Per la prima volta in 130 anni, le esecuzioni capitali, ripristinate a livello federale dallo stesso Trump dopo 17 anni, non vengono sospese nel periodo di transizione presidenziale. Dieci le condanne eseguite da luglio, superiori a quelle dei singoli Stati che con sette esecuzioni hanno raggiunto il numero più basso da 37 anni. Molti in questi mesi sono stati anche gli appelli dei vescovi statunitensi per fermarle. “La pena di morte non è necessaria per proteggere la società”, avevano scritto monsignor Paul S. Coakley, presidente del Comitato per la giustizia interna e lo sviluppo umano della Conferenza episcopale degli Stati Unti e monsignor Joseph F. Naumann, presidente del Comitato pro-vita. “La decisione di non giustiziare qualcuno, anche se ha fatto qualcosa di terribile”, hanno sottolineato, “non è una decisione ‘morbida’ sul crimine, ma è forte sulla dignità della vita”.
Per la Chiesa la pena di morte è inammissibile
Il Catechismo della Chiesa cattolica, recentemente riformato proprio su questo punto, ribadisce infatti che “la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona”, che “non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi”. La stessa Chiesa, poi, “si impegna con determinazione” per l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo. Anche l’ultima enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti, ribadisce questo concetto, sottolineando “che è impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore ingiusto la vita di altre persone”.
Dalla parte della vita senza eccezioni
“La voce della Chiesa sta già dando dei risultati, la posizione di Papa Francesco aiuta tutto il mondo cattolico a stare dalla parte della vita senza eccezioni, rinforza integralmente la difesa della vita”, spiega a Vatican News Mario Marazziti della Comunità di Sant’Egidio.”Grazie alla Chiesa – sottolinea – riusciamo a riscoprire la dignità umana di tutti, anche del colpevole perché questa proviene direttamente da Dio. Il mondo è così aiutato a percorrere una via di giustizia priva di violenza”.
Verso l’abolizione mondiale
Una via che il mondo lentamente sta intraprendendo. Non solo negli Stati Uniti dove, dopo il New Hampshire nel 2019, il Colorado è stato il 22.esimo Stato americano ad abolire la pena capitale, mentre Louisiana e Utah si aggiungono agli altri Stati che da dieci anni non eseguono la condanna a morte. Il 2 gennaio il Kazakhstan è stato il primo Paese nel 2021 ad abolire la pena di morte, alla quale si ricorre sempre meno nel mondo. “Non è più in discussione ‘se’ la pena di morte sarà abolita, ma solo ‘quando’, conclude Marazziti, “perché dal 1975, quando erano solo sedici gli Stati senza pena capitale nel mondo, oggi sono in 142 che l’hanno abolita o per legge o attraverso moratorie decennali che poi diventano abolizioni, come nel caso del Kazakhstan”.