Spiragli di negoziato in Etiopia in relazione al Tigray

Vatican News

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Per la prima volta oggi il premier etiope, Abiy Ahmed, ha parlato della possibilità di negoziati di pace con il gruppo che considera ribelli dello Stato regionale del Tigray, contro i quali il governo federale 19 mesi fa ha avviato un’offensiva tramutatasi in guerra civile. Smentendo voci secondo le quali ci sarebbero dei colloqui segreti con il Fronte di liberazione del Tigray (Tplf), Abiy ha dichiarato che il governo ha istituito un comitato per esaminare la possibilità di negoziati. “Non è semplice condurre negoziati. C’è molto lavoro da fare ed è stato istituito un comitato”, ha affermato. Questo nuovo organismo sarà guidato dal vice premier, Demeke Mekonen, che è anche ministro degli Esteri e redigerà un rapporto in cui si elencano nel dettaglio le precondizioni per i negoziati, ha aggiunto. Questa decisione segue la dichiarazione governativa di una “tregua umanitaria indefinita” a marzo, che ha spianato la strada agli aiuti umanitari, in grado di raggiungere il Tigray per la prima volta da metà dicembre. Il conflitto ha spinto centinaia di migliaia di persone sull’orlo della fame, sfollando oltre due milioni di etiopi e lasciandone più di nove milioni alla mercé dell’aiuto alimentare, secondo l’Onu. “La pace non è qualcosa che si può nascondere”, ha detto Abiy ai parlamentari rispondendo alle voci sui colloqui con i ribelli. “Stiamo dicendo – ha commentato- che vogliamo la pace; questo non significa che stiamo conducendo dei negoziati in segreto. Le trattative segrete non hanno consistenza”.

I bambini prime vittime della crisi nutrizionale

Nella regione degli Afar, in Etiopia, è in corso una crescente e mortale crisi nutrizionale. E’ la  testimonianza di Medici Senza Frontiere (Msf) che chiede un urgente aumento della risposta umanitaria. In quest’area, centinaia di migliaia di persone in fuga dal recente conflitto si sono ritrovate, insieme con le comunità ospitanti, alle prese con siccità, fame e una  sconcertante mancanza d’accesso all’assistenza sanitaria e all’acqua  potabile. “La cosa che ci spaventa di più è che quello che vediamo è  solo la punta dell’iceberg, ed è già travolgente” dichiara Raphael  Veicht, coordinatore per l’emergenza di Msf ad Addis Abeba.

Al Dupti Hospital, l’unico ospedale funzionante in tutta la regione degli Afar, arrivano bambini dopo viaggi incredibilmente lunghi e  difficili, in molti muoiono in meno di 48 ore perché troppo malati e  troppo malnutriti per poter sopravvivere, come conferma il rappresentante dell’Unicef in Etiopia Gianfranco Rotigliano che abbiamo raggiunto telefonicamente nel nord del Paese:

Ascolta l’intervista con Gianfranco Rotigliano

Da aprile – conferma Rotigliano – le organizzazioni umanitarie hanno potuto aumentare i flussi di aiuti per la popolazione di una parte o dell’altra della contrapposizione, tra cui centinaia di migliaia di sfollati, ma i bisogni restano grandi. Quest’anno il numero di bambini gravemente malnutriti, ricoverati nella struttura, ha già superato di tre, quattro volte quello dell’anno precedente. I tassi di mortalità dei pazienti sono incredibilmente alti, in alcune settimane superano il 20%. 35 bambini  sono morti nelle ultime 8 settimane, due su tre entro 48 ore dal ricovero. Nel nord – spiega Rotigliano –  molte persone non accedono ai livelli minimi di assistenza sanitaria, cibo e acqua a causa del recente conflitto, sfollamenti, la mancanza di accesso alle cure mediche, la scarsità di generi  alimentari, oltre all’insufficiente risposta umanitaria, dovuta anche – spiega – alla crisi ucraina che ha assorbito alcune risorse.

Cibo e sementi

Urgente e necessaria – dice il rappresentante Unicef – è un’azione umanitaria su vasta scala, rivolta agli sfollati e alle comunità ospitanti vulnerabili,  che fornisca sicurezza alimentare, acqua potabile e assistenza  sanitaria di base. Quasi i due terzi dei bambini malnutriti  ricoverati provengono da famiglie sfollate.Danneggiate, distrutte, abbandonate o con risorse  insufficienti, solo il 20 per cento per cento delle strutture sanitarie ad esempio nella  regione degli Afar è funzionante.   Migliaia di persone – afferma Rotigliano – stanno lottando per sopravvivere non solo nelle zone più colpite dal conflitto ma anche  in varie parti dell’Etiopia. Nella regione dei Somali, nonostante le piogge siano finalmente iniziate, le persone stanno ancora affrontando le sfide legate  all’insicurezza alimentare e idrica causate da un lungo periodo di  siccità. L’unica risposta a una crisi alimentare – ricorda – è assicurarsi che le persone  abbiano accesso al cibo. Senza un urgente rafforzamento della risposta umanitaria, chi già vive gli orrori del  conflitto, dello sfollamento e della siccità sarà ulteriormente spinto al limite della sopravvivenza.  E Rotigliano mette in luce anche un aspetto fondamentale per i prossimi mesi: non serve solo cibo per l’oggi – avverte – ma c’è estremo bisogno di assicurare sementi per assicurare la prossima stagione agricola.