Una tragedia nella tragedia il terremoto che il 6 febbraio scorso ha devastato la zona al nord del Paese. Più ancora che in Turchia dove si è registrato il numero maggiore di vittime, qui il sisma ha colpito persone già in estrema difficoltà dopo 12 anni di guerra non ancora terminata. In segno di solidarietà il segretario della Cei Baturi si trova ad Aleppo, accompagnato da padre Firas che descrive l’attuale situazione: “Portiamo consolazione alla popolazione in ginocchio”
Adriana Masotti – Città del Vaticano
È passato quasi un mese dal terribile sisma che ha colpito, esattamente la notte del 6 febbraio scorso, la regione tra la Turchia e la Siria, e sui media non si parla più, se non raramente, di questa tragedia che ha provocato ad oggi in totale nei due Paesi 53.565 vittime e innumerevoli feriti. Ma, dopo i primi momenti, terminate le ricerche di eventuali superstiti, restano il dolore e le sofferenze quotidiane di migliaia di persone e famiglie senza casa e senza lavoro e restano la paura di nuove scosse di assestamento e i timori nei riguardi del futuro.
La visita ad Aleppo della Cei con monsignor Zenari
In Siria, in particolare, tra la gente si vive un clima generale di sfiducia. Per esprimere solidarietà alla popolazione oggi sono giunti ad Aleppo monsignor Giuseppe Andrea Salvatore Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Conferenza episcopale italiana, con il cardinale Mario Zenari, nunzio in Siria. Ad accompagnarli nella visita il padre francescano Firas Lutfi, ministro per la regione francescana di Siria, Libano, Giordania che vive nella città siriana. Infatti, se una certa solidarietà c’è stata all’inizio da parte della comunità internazionale verso i siriani vittime del sisma, c’è bisogno che gli aiuti proseguano per dare la possibilità alle popolazioni di non abbandonare la loro terra e di immaginare per loro un avvenire migliore. A Vatican News padre Firas Lutfi spiega l’importanza della visita in corso e descrive come si vive oggi sui luoghi del terremoto.
Padre Firas, ci dice qualcosa della visita in corso?
Siamo qui a visitare un po’ le zone colpite dal terremoto, stiamo percorrendo appunto tutta quella zona che è stata veramente danneggiata. Ma visitiamo anche le famiglie, le persone povere che hanno sofferto sia il trauma del sisma sia la preoccupazione per il presente e per il futuro. È una visita di solidarietà, una visita di supporto. Il cardinale Zenari ha più volte visitato la Siria, è invece la prima visita della Conferenza episcopale italiana nella persona di monsignor Baturi. Era programmata prima del terremoto, ma dopo questo evento c’erano ragioni in più per venire, per esprimere la solidarietà anche di Papa Francesco e di tutti i pastori della Chiesa italiana. Quindi è una visita molto apprezzata, molto di rinforzo e di incoraggiamento alla popolazione che sta in ginocchio.
Ecco, qual è la situazione oggi nelle località terremotate. Ci sono ancora scosse? C’è paura? Dove hanno trovato rifugio le persone che hanno perso le proprie case?
Sì, ci sono tante persone che hanno perso la loro casa e che hanno trovato riparo nelle chiese e nelle moschee e nei centri creati per l’accoglienza, ma la situazione qui è drammatica perchè centinaia di famiglie sono costrette a stare tutte insieme in una condizione di grande disagio, priva di privacy, e in una grande confusione. Sono piccoli e grandi, adulti, bambini ragazzi e ragazze che vivono così, semplicemente in grandi aule.
Ma si sta pensando a qualche sistemazione un po’ meno provvisoria per loro?
Sì, sì certo, adesso grazie anche a questa collaborazione che la comunità internazionale in qualche modo ha voluto offrire, c’è un progetto per la costruzione di case prefabbricate, perchè ora ci sono molte famiglie sotto le tende.
Farà certamente anche molto freddo in questo periodo, ma come viene distribuito il cibo, il vestiario, le cose più necessarie?
Gli aiuti vengono distribuiti secondo le necessità e il numero delle persone che sono nei centri di emergenza che sono stati creati, noi francescani abbiamo parecchi centri qui ad Aleppo, almeno tre, e anche le moschee stanno ospitando centinaia di persone. Insomma si cerca, entro i limiti del possibile, di aiutarli a stare bene. Ma soprattutto la gente ha paura, tanti non hanno problemi con la casa ma la paura della prima scossa ha fatto veramente sentire molta molta preoccupazione. È per questo che tanti bambini non vogliono più ritornare a casa, perché la casa invece di farli stare tranquilli e sicuri, adesso per loro rappresenta una minaccia, un rischio.
Sono presenti ancora organizzazioni e volontari per sostenere le persone in difficoltà?
Fortunatamente il terremoto ha richiamato molti giovani che lavorano qui con le organizzazione locali.
Dall’estero invece non c’è più nessuno?
Qualcuno c’è forse in Turchia, in Siria meno, solo alcuni Paesi arabi hanno mandato aiuti.
Qual è il sentimento più diffuso tra la gente: disperazione, fiducia, speranza, paura?
La paura è prevalente e poi sfiducia e disperazione, purtroppo, un senso di smarrimento e di abbandono. Le persone non hanno più fiducia nemmeno di ritornare nelle loro case. Adesso sono nel convento dei francescani, dove si trovano 3000 persone e nessuno di loro vuole andare a casa perché la casa è vista come un pericolo.
E voi come piccola Chiesa locale come fate ad aiutare tanta gente? Che cosa chiedete alla comunità internazionale?
Chiediamo appunto alla comunità internazionale più attenzione, chiediamo di superare le divisioni, le visioni miopi, chiediamo di levare in modo definitivo quelle sanzioni che pesano soprattutto sulle persone innocenti. Abbiamo bisogno di una pace permanente, che metta fine al male che per dodici anni i siriani hanno subito prima con la guerra ora anche con il terremoto, una tragedia dentro la tragedia. Quindi è necessario un impegno veramente di tutti, soprattutto della comunità internazionale.
Localmente in questo momento c’è collaborazione tra cristiani e musulmani nelle zone colpite dal sisma?
Certamente c’è collaborazione tra tutti i siriani, musulmani e cristiani. Nel nostro monastero adesso vedo con i miei occhi moltissime famiglie musulmane che abbiamo accolto perché davanti a tragedie del genere non si fa mai distinzione tra una religione e l’altra, tra una confessione e l’altra. Sono tutti figli di Dio, sono persone ferite, come quella che il buon samaritano ha cercato di curare e di soccorrere, lungo le strade dell’umanità.
Che cosa ha in cuore, padre Firas, che cosa vorrebbe ancora dirci?
Voglio dire che ringrazio sempre la Radio del Papa per l’attenzione e per la possibilità di ascoltare la voce di questi poveri che gridano, che vivono nell’abbandono, nello smarrimento. Noi cerchiamo questa solidarietà internazionale iniziata quasi un mese fa, perché possa davvero dare più speranza e più coraggio alle persone di restare nelle loro terre. Perché dopo questi eventi tragici di solito le persone tendono ad abbandonare il loro Paese, la loro terra, non avendo più nulla su cui appoggiarsi.