Scoperta su un antico manoscritto una preghiera all’angelo custode

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“Cura pian piano, dolcemente, la lentezza del cuore appesantito”: così si rivolgeva al suo angelo custode un ignoto poeta bizantino. Una dottoranda di ricerca alla Normale di Pisa ha scoperto, nei primi fogli di un codice contenente le opere del poeta Ignazio Diacono e conservato nella biblioteca Laurenziana di Firenze, una preghiera inedita

Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano

Una buona ricerca si fonda innanzi tutto sulla curiosità. Sono assolutamente necessari lo studio, la dedizione, la costanza, ma senza quella spinta che porta ad andare oltre il proprio ambito, a uscire dalla propria comfort zone e che non si limita a rimanere dentro il recinto del compito assegnato, non si è veramente ricercatori. Di fronte alle varie scoperte che succedono, parlare di fortuna non basta. La fortuna serve, ma deve essere riconosciuta.

Federica Scognamiglio nella Biblioteca della Normale di Pisa

Federica Scognamiglio è studiosa di filologia greca e bizantina. Si è laureata a Napoli, alla “Federico II“, e ora sta conseguendo il dottorato di ricerca alla Normale di Pisa, sotto la guida dei professori Luigi Battezzato ed Enrico Magnelli. La giovane ricercatrice deve proprio alla sua curiosità questa scoperta importante: tra le pagine di un codice contenente le opere di un poeta bizantino, oggetto della sua tesi, Ignazio Diacono, ha trovato e poi tradotto e studiato una preghiera inedita rivolta all’angelo custode. Una preghiera lunga 456 versi giambici, la cui prima edizione a stampa è stata pubblicata dalla rivista tedesca “Byzantinische Zeitschrift”.

Ai media vaticani, Federica Scognamiglio racconta la sua scoperta e spiega la bellezza di questa lunga invocazione. E alla fine dell’intervista, dopo averli citati in italiano, legge alcuni versi anche in greco, facendo gustare la loro musicalità sommessa e delicata.

Ascolta l’intervista a Federica Scognamiglio

Durante la sua ricerca per il dottorato su Ignazio Diacono ha fatto una scoperta. Di cosa si tratta?

Ignazio Diacono è un poeta bizantino del IX secolo, attivo durante la seconda iconoclastia, cioè il periodo per la lotta delle icone, che va dall’anno 815 all’843. È stato un autore di vite di patriarchi e altre opere. Nel preparare l’edizione critica,  con una ricognizione precisa di tutti i manoscritti medievali di questo autore, ho avuto modo di trovare un testo che non era mai stato edito prima d’ora.

Com’è avvenuta la scoperta?

Lavorando al testo di una delle poesie di Ignazio Diacono, ho avuto modo di studiare da vicino e a fondo un codice laurenziano, segnatura Plut. 9.18. In alcune delle pagine iniziali che erano state lasciate vuote quando il codice è stato copiato per la prima volta nel XII secolo, sono state aggiunte successivamente, intorno al XIII-XIV secolo, alcune opere in versi, tra le quali una poesia di Ignazio Diacono, ovvero del mio autore, e nella pagina accanto questo lungo testo.

Il codice è conservato nella Biblioteca Laurenziana di Firenze. Che caratteristiche ha?

Il codice è di pergamena ed è un buon prodotto, anzi un ottimo prodotto di area calabra, confezionato nel XII secolo. Contiene altre opere, è di buona fattura, ha un bell’aspetto sia nello specchio di scrittura sia nella grafia ordinata. Le pagine iniziali prima vuote, su cui sono stati poi aggiunti gli altri testi, sono state purtroppo rovinate dal tempo e qualche macchia ha reso difficile leggere alcuni punti del testo, tanto  che talvolta ho dovuto utilizzare la lampada a raggi ultravioletti.

Per caso questo codice ha anche delle illustrazioni?

No, in realtà purtroppo no. È un codice molto bello, la cui grafia è molto interessante, molto bella, e si vede che è un codice per il quale sono state spese ingenti quantità di denaro. Però non abbiamo nessuna rappresentazione o raffigurazione ma soltanto lettere, in alcuni casi miniate.

Ha trovato difficoltà nella lettura di questi versi? Ovvero, il testo è integro e la traduzione difficile?

Il testo nella maggior parte della sua estensione è integro, tranne che, come dicevo,  in alcuni versi sul foglio quattro recto del codice che ho dovuto ricostruire un po’ per congettura, perché sono rovinati da una macchia che ha scolorito anche l’inchiostro. Tuttavia, sono pochi i casi in cui i versi sono corrotti, nel senso che non restituiscono un testo che non sia perfettamente chiaro o perfettamente in linea con lo stile e la metrica di questo autore. In tali casi, ho dovuto fare delle correzioni, non senza l’aiuto di validissimi e noti studiosi bizantinisti che l’hanno letto e mi hanno aiutata prima della pubblicazione. La traduzione, a dire il vero, è stata una vera sfida, non solo perché nel testo di questa preghiera all’angelo custode non v’era una precisa punteggiatura, né tanto meno coerente. Ma questo non sorprende. Succede molto spesso nei manoscritti bizantini ed era prassi. Quindi sono stata costretta a decidere inizio e fine di alcuni periodi e di alcuni pensieri, ma la difficoltà è stata anche la lingua, perché si tratta di un greco molto classico, classicheggiante, quello cui sono abituata essendo io classicista, ma le immagini che sono veicolate da questo testo sono cariche di significati cristiani, teologici.  Il greco bizantino è sì un greco classico nella forma, ma ormai è molto arricchito nel contenuto da una lunga tradizione di secoli di autori cristiani di cui bisogna tener per forza conto e di cui non si può fare a meno.

Si conosce l’autore di questa preghiera?

Purtroppo no, ma conosciamo molto bene, invece, l’autore che è stato imitato. Conosciamo bene il poeta bizantino principale, di cui il successivo è stato imitatore, cioè Giovanni Mauropode, che è uno dei principali poeti bizantini, se non il principale, vissuto nell’XI secolo. Ed è per questo che l’autore della preghiera all’angelo custode viene da me chiamato nell’edizione pubblicata come Pseudo Mauropode.

Entriamo nel vivo: abbiamo detto una preghiera all’angelo custode. E in modo specifico?

La preghiera è una confessione e al contempo un’invocazione all’angelo custode che accompagna ciascuno di noi durante la vita. E così dicendo, sto citando quasi letteralmente quel che dice il titolo in greco sul manoscritto, perché dopo vari momenti di mea culpa, in cui l’autore ammette di aver peccato massimamente, si dice essere alla fine della propria vita. Ci sono varie invocazioni all’angelo con richiesta d’aiuto, affinché il pregante peccatore, ovvero l’autore,  possa affrontare quel che gli rimane della propria vita in serenità e soprattutto senza peccare più. Il fatto che l’autore, e quindi qualunque persona che legga questa preghiera, stia pregando il proprio angelo e si trovi alla fine della vita, è massimamente importante, perché non si chiede perdono per un unico peccato, ma per tutti i peccati che sono stati commessi durante l’arco di tutta la sua esistenza. Ed è per questo che la preghiera è così intensa e comprende tutto ciò che è stata la parentesi di una persona, in questo caso dell’autore.

Quindi si capisce anche che era in là con gli anni, e forse è una delle ultime sue opere…

Sì, molto probabilmente. In tre punti del testo, anche esagerando, dice: “Io mi trovo proprio alla fine della vita, mi ritrovo proprio nell’ultimo momento prima di passare all’altro cammino”. Insomma l’autore ci teneva a far capire  – che fosse realmente o no morente –  che questa preghiera era massimamente adatta a un qualcuno che si fosse pentito dei peccati di tutta la propria vita.

Che caratteristiche ha questo angelo? La rappresentazione dell’angelo custode appare anch’essa inedita o esiste già una tradizione? Faccio un esempio: nell’arte e la figura dell’angelo custode appare ereditata da quella dell’Arcangelo Raffaele e appare molto tardi, addirittura nel 1600. In questi versi si può ricostruire l’immagine dell’angelo da qualche passo?

Innanzitutto sono un filologo e non un teologo e molte delle caratteristiche dell’angelo sarebbero da analizzare con molta cautela, guardando anche alla trattatistica bizantina a proposito degli angeli, cosa che spero e intendo fare in un prossimo futuro. Detto questo, ricordiamo anche che l’iconografia è un po’ diversa rispetto a quella che i testi ci presentano. Il nostro angelo custode si inserisce in ogni caso pienamente nella tradizione bizantina, riguardo queste figure celesti, che è comunque una tradizione proveniente dall’epoca tardo antica. Ora, provando a dimenticare per un momento le caratteristiche degli angeli così come siamo abituati secondo le liturgie occidentali, la caratteristica principale degli angeli bizantini, da un punto di vista letterale e da un punto di vista dogmatico, è l’immaterialità, l’intangibilità e l’incorporeità. Sono tutte caratteristiche che, a ben pensarci, stimolano ancora di più l’atto di fede. L’angelo custode della preghiera, dunque, è detto più volte così, immateriale, invisibile. Eppure è sempre lì, è sempre una fedele presenza nel corso della vita. E lì che si annida la poesia e l’atto di fede, la presenza nell’invisibilità.

In effetti il testo è molto bello, le immagini poetiche. Si vede che chi ha composto la preghiera ha un substrato culturale notevole. Quali versi l’hanno colpita di più, proprio da un punto di vista stilistico e linguistico?

Come ha detto, il testo presenta delle immagini che per la loro costruzione all’interno del verso e a cavallo di più versi, denotano una non trascurabile capacità e preparazione da parte del pur anonimo autore. Questo alternarsi stilistico e artistico di momenti incalzanti e momenti pacati rende il carme notevole in tutte le sue parti. Una sezione che mi ha colpito per il ritmo, per l’equilibrio e per l’intensità è ad esempio, è un momento in cui l’autore, pregando dopo tanto pentimento, diventa propositivo e chiede all’angelo custode, e cito i versi 73-78:

di essere un rapido aiuto nei pericoli.
Pronto ristoro nel mezzo dei dolori,
ardente soccorritore nell’assedio delle sofferenze,
pronto benefattore per tutta la vita, pronta liberazione nel momento della tempesta
e conforto di un cuore afflitto
 

Per ascoltare anche il ritmo che è fondamentale, può leggerci questi versi in greco?

Innanzitutto devo dire che sono versi che possono essere letti in due modi, perché rispettano la tradizione antica greca, quindi possono essere letti come se fossero trimetri giambici molto antichi, ma la maggior parte del pubblico li sentiva come poesia ormai accentuativa, quindi preferirò leggerli alla maniera bizantina, perché proprio non è sermone. 

(alla fine dell’intervista audio la lettura dei versi in greco ndr)