Santa Sede al Consiglio dei diritti umani: tutti i Paesi siano strumenti di pace

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In corso a Ginevra la 52° sessione dell’istituzione dell’Onu. L’osservatore permanente della Santa Sede Nwachukwu ribadisce l’importanza della cooperazione multilaterale come unica forma di sicurezza e per aiutare il mondo ad affrontare guerre e migrazioni. Ribadita l’importanza della tutela del diritto alla vita e alla libertà religiosa

Michele Raviart – Città del Vaticano

È stato fatto tutto il possibile per fermare le guerre che compongono questa Terza guerra mondiale a pezzi, come l’ha definita Papa Francesco, che coinvolge direttamente o indirettamente tutto il mondo? A domandarlo è monsignor Fortunatus Nwachukwu, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite ed Istituzioni specializzate a Ginevra, intervenuto al segmento generale della 52 esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu, in corso nella città svizzera.

Cooperazione e fiducia unica garanza di sicurezza

In questo momento, ha spiegato monsignor Nwachukwu siamo infatti “tutti chiamati a diventare strumenti di pace e a lavorare per un rinnovato senso di responsabilità e solidarietà comune, favorendo al tempo stesso un clima di cooperazione e fiducia reciproca come fondamento di una pace duratura”.  Un obiettivo sempre più ampio e difficile dopo un anno di guerra in Ucraina, le cui vittime non sono solo quelle nei combattimenti o negli attacchi alle infrastrutture civili e i cui effetti nei settori dell’energia e della produzione di cibo colpiscono intere regioni, anche fuori dell’Europa. Cooperazione e fiducia sono infatti l’unica garanzia sicurezza, a differenza del riarmo. In questo senso “la Santa Sede rinnova il suo appello alla comunità internazionale affinché proceda sulla strada del disarmo integrale”.

Non distogliere lo sguarda dai migranti

La Santa Sede sottolinea poi che “i conflitti, le instabilità socio-politiche e, sempre più spesso, le catastrofi naturali” sono tra le prime cause di migrazione.  Emigrare, tuttavia, non è sempre una scelta facile e molto spesso le persone intraprendono viaggi pericolosi, su rotte non sicure e spesso alla mercè dei trafficanti per raggiungere le loro destinazioni. La comunità internazionale, quindi “non può distogliere lo sguardo né limitarsi a iniziative isolate”. “Se da un lato è essenziale fornire aiuti umanitari in situazioni di emergenza e promuovere l’integrazione dei migranti nei Paesi ospitanti, dall’altro è anche fondamentale collaborare a livello multilaterale per garantire il diritto delle persone a rimanere nei loro Paesi d’origine in pace e sicurezza”.

Promuovere il diritto alla vita in tutte le sue forme

La collaborazione multilaterale, come sta mostrando la guerra in Ucraina e l’iniqua distribuzione dei vaccini durante la pandemia, è tuttavia in crisi e anche i vari forum internazionali hanno visto aumentare i tentavi di alcuni Stati di imporre la propria visione, spesso a danno dei Paesi più poveri e in via di sviluppo, destinatari di aiuti solo in caso di adozione di determinati programmi. Una sorta di “colonizzazione ideologica” come nel caso della promozione, spiega l’osservatore della Santa Sede “del cosiddetto diritto all’aborto”. “Con il pretesto di un concetto di progresso mal interpretato, questo approccio coercitivo alla politica internazionale mina il godimento dei diritti fondamentali”, ribadisce monsignor Nwachukwu , “tra cui, in primo luogo, il diritto alla vita”. “Quando la vita non è riconosciuta come un valore in sé”, sottolinea ancora, “può essere piegata a interessi particolari, soprattutto quando le persone colpite non possono difendersi e difendersi da sole. Questo include i bambini, i non nati, i malati, gli anziani e le persone con disabilità”. “Il diritto alla vita”, poi, “è minacciato anche dalla pratica della pena di morte, che purtroppo è ancora troppo diffusa”. “Nessuno”, infatti, “può rivendicare diritti sulla vita di un altro essere umano”.

Tutelare la libertà religiosa

All’attenzione del Consiglio dei Diritti Umani la Santa Sede pone anche la questione della discriminazione per motivi religiosi, che riguarda un terzo delle persone nel mondo. “È preoccupante che le persone siano perseguitate semplicemente perché professano pubblicamente la loro fede”, afferma monsignor Nwachukwu, a volte anche dalle autorità nazionali contro le minoranze. Aumentano anche gli attacchi contro luoghi sacri e leader religiosi. In certi Paesi, poi davanti a una facciata di tolleranza e inclusione, c’è una sottile forma di censura per cui esprimere il proprio credo possa offendere la sensibilità altrui. Come ha detto il Papa “la libertà religiosa non può semplicemente essere ridotta a una libertà di culto, ma è uno dei requisiti minimi per una vita dignitosa”.