Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano
Man mano che ci avviciniamo alla cima del colle Celio, il silenzio si spande nell’aria e la città moderna diventa sempre più lontana. Arriviamo a una piazzetta dove scorgiamo subito una fontana decorata con una nave in miniatura di un’antica galera romana, tipica nave da guerra o per il trasporto di commerci.
Di lato, ecco la facciata bianca, dalle linee rinascimentali, con un portico a cinque campate ad archi a tutto sesto.
Le prime strutture della chiesa risalgono V secolo, quando è ricordata negli atti del sinodo di Papa Simmaco del 490. Esse sono vicine alle caserme della Statio V cohortis, una delle sette stazioni dei vigili urbani della Roma imperiale, i cui resti sono stati rintracciati nei pressi.
Papa Agatone vi istituì il titulus Sanctae Mariae in Domnica nel 678, ma divenne stazione solo più tardi, tra IX e X secolo, come luogo di quiete per i fedeli stanchi, dopo i primi dieci giorni di Quaresima, a causa del digiuno, della veglia e della lunga celebrazione trascorsa in San Pietro il giorno prima. Infatti qui non si celebrava la stazione.
Gli splendidi mosaici dell’abside
Tra 818 e 822, Papa Pasquale I la rinnovò arricchendola di splendidi mosaici. Entrando nella chiesa a tre navate divise da colonne di spoglio scorgiamo sul fondo il catino absidale e l’arco trionfale decorati da mosaici dove prevalgono colori smaglianti, specie il verde. Al centro vi è Maria seduta sul trono, vestita di scuro, con un fazzoletto che ne indica la dignità regale e il Figlio sulle ginocchia. Le figure mantengono una postura solenne, un po’ rigida tipica dei modi bizantini, con grandi occhi larghi. La Vergine indica ai suoi piedi una figura inginocchiata di dimensioni minori rispetto alle altre, come di consueto: Pasquale I, con un’aureola quadrata azzurra, segno che durante l’esecuzione dell’opera era ancora in vita. Ai lati, una schiera di angeli candidi. Sull’arco trionfale ci sono due figure, la più giovane delle quali potrebbe essere san Lorenzo, che aveva servito da diacono nella basilica, o piuttosto i due profeti Mosè ed Elia, perché stringono un rotolo. Nella fascia superiore Cristo dentro la vesica piscis (vescica del pesce) o mandorla, diffusissimo simbolo della vita. E ai lati gli apostoli. L’iscrizione che ricorda il Papa fa riferimento a un passato che non c’è più, al luogo che prima era in rovine e ora “scintilla perennemente decorata con diversi metalli” e continua facendo riferimento al sole chiamato alla maniera antica, con il nome del nume che lo governa, Apollo: “ la sua magnificenza risplende come Febo che mette in fuga le tenebre della tetra notte”.
Nei secoli successivi la chiesa passò alla famiglia dei Medici, a cominciare dal Giovanni di Lorenzo de’ Medici, futuro Papa Leone X, che negli anni promosse lavori di restauro come quelli alla facciata progettata da Andrea Sansovino, e alla fontana della navicella. Tuttavia l’impianto è rimasto fedele all’origlnale.
In realtà la navicella non è un marmo antico, ma una copia che commissionò il Papa quando fu ritrovato il modello della scultura romana, che era andata persa, forse un ex voto connesso ai culti di Iside che si svolgevano in questa zona, oppure offerto dai soldati dei Castra peregrina, caserme militari le cui tracce sono state trovate sotto la vicina Santo Stefano Rotondo. Una nave appare anche all’interno della chiesa come simbolo di leone X ma anche riferimento alla Vergine, “Arca dell’alleanza”, si tratta del soffitto a cassettoni, risalente al 1566 con Ferdinando de’ Medici. Nella decorazione intagliata nel legno si alternano gli stemmi della famiglia Medici con riquadri che illustrano mediante simboli le Litanie alla Vergine.