Michele Raviart – Città del Vaticano
Con il voto anticipato a militari e poliziotti e ad oltre 120 mila sfollati sparsi nei trenta campi profughi di tutto il Paese si aprono oggi le elezioni parlamentari in Iraq, anticipate di un anno dopo le proteste antigovernative del 2019. Le richieste, che avevano portato alla caduta del governo di Adel Abdul Mahdi, erano quelle di superare il settarismo, inteso come la ripartizione delle cariche politiche su base confessionale, e la corruzione, ma molti dei movimenti che avevano promosso le proteste non parteciperanno alla consultazione perché giudicano non sufficienti i cambiamenti intrapresi, come l’istituzione di una legge elettorale maggioritaria invece che proporzionale.
I 34 candidati cristiani
Ci saranno invece i partiti tradizionali, mentre per i cristiani, che stanno lentamente ripartendo dopo la sconfitta del sedicente Stato islamico nel nord Paese, saranno a disposizione per legge cinque seggi – a Baghdad, Kirkuk, Erbil, Dohuk e Ninive – su 325. I candidati cristiani sono 34, con il Patriarcato dei Caldei che aveva proposto senza successo una lista unica. L’invito ai cristiani, si legge in una nota, è di abbandonare forme di settarismo che li spingono anche a dividersi tra loro, per provare ad abbracciarsi “come una compagine unita nei discorsi e nelle posizioni”, disposta a collaborare con i concittadini di fede islamica per costruire insieme istituzioni civili fondate sul principio di cittadinanza e di giustizia.
Votare chi conosce i bisogni della gente
In questo senso, già ad inizio settembre, il cardinale Louis Raphael Sako, patriarca dei Caldei, aveva invitato tutti i cittadini iracheni a votare per quei candidati che abbiano “conoscenza politica e della legge”, conoscano “i bisogni della gente, abbiano mani pulite e siano probi”. “Dovranno, inoltre, avere a cuore il benessere del Paese e dei cittadini, non cercare facili guadagni, essere onesti, soprattutto perché le precedenti elezioni sono state deludenti”, si leggeva nella nota, che esortava anche “il governo iracheno a instaurare un clima elettorale che permetta ai cittadini di votare liberamente e senza pressioni”.
Questa elezione ha avuto un grande impulso dall’azione dei giovani, spiega in una intervista a Vatican News il cardinale Sako, il quale mette in luce l’esistenza di una “speranza molto fragile” di cambiamento, che tuttavia non sarà realizzata “senza – afferma – una larga votazione da parte della gente”. Dunque, “bisogna incoraggiare la gente ad andare a votare”, insiste il patriarca caldeo, ricordando il “bell’invito” alla responsabilità rivolto alla popolazione anche dal grande ayatollah Al-Sistani. In questo processo di evoluzione dell’Iraq, grande merito – sostiene il capo della Chiesa caldea – va a Francesco e alla sua visita del marzo scorso. “Ha cambiato il pensiero della gente, la mentalità e la cultura” e “c’è un grande rispetto per i cristiani”, anche se – riconosce – ci vorrà del “tempo” perché il valore di quell’evento si radichi in profondità. Ciò che vogliamo in futuro, conclude il cardinale Sako, è un governo democratico senza particolarismi e per questo “c’è la buona volontà da parte di tanti”.