“Road to recovery”, l’associazione israeliana che aiuta i malati palestinesi

Vatican News

Dal 2010 l’organismo è attivo per aiutare i più deboli, soprattutto bambini, offrendo un servizio di trasporto gratuito verso gli ospedali

di Isabella Piro

Adam ha 6 anni e guarda con attenzione le mani amorevoli di sua madre, Sabah, che lo veste con cura. Adam percepisce l’amore, la dedizione e l’affetto della sua mamma. Lo percepisce, lo guarda, ma non lo vede, perché Adam ha un tumore oculare e dove vive lui non è così semplice curarsi. Questo bimbo abita nel villaggio di Jalbun, a est di Jenin, in Palestina. E sebbene l’Autorità nazionale palestinese paghi i trattamenti sanitari dei pazienti, tuttavia non copre i costi del trasporto da e per gli ospedali. Un costo che, per molte famiglie di Jenin e dintorni, può essere proibitivo.

Fortunatamente ad aiutare Adam e tanti altri malati c’è l’associazione “Road to recovery”, fondata nel 2010 e con 1.200 volontari a disposizione che ogni giorno accompagnano in auto o in pullman i pazienti palestinesi, principalmente bambini, fino agli ospedali israeliani, affinché possano ricevere le cure necessarie. In casi particolarmente gravi, l’associazione supporta le famiglie in difficoltà anche con l’acquisto di attrezzature mediche e organizza vacanze e gite per tutti i pazienti. «Il cuore della nostra associazione sono i volontari che ogni giorno si rivolgono a chi ne ha bisogno, offrendo un’opportunità di guarigione attraverso un semplice gesto: guidare!», si legge sul sito dell’organismo. E i risultati si vedono: solo nel 2020, ad esempio, la distanza totale percorsa dai membri dell’associazione è stata di circa 1.155.000 km, corrispondenti a circa 10.000 viaggi per assistere 15 mila pazienti.

C’è però un dettaglio che merita di essere sottolineato: “Road to recovery” è un’associazione israeliana. Sì, abbiamo scritto bene: un’associazione israeliana. Che aiuta malati palestinesi. A riprova del fatto che, come dice Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti, per promuovere la riconciliazione nelle zone del mondo turbate da decenni di conflitto, come è il Vicino Oriente. «C’è bisogno di artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia». Da sola, infatti, «una “architettura” della pace, nella quale intervengono le varie istituzioni della società, ciascuna secondo la propria competenza» non basta. Servono, invece, «percorsi di pace che conducano a rimarginare le ferite». Percorsi, ferite, pace: i tre elementi della storia di Adam e di tutti i piccoli palestinesi come lui.