Prosegue la requisitoria del promotore di Giustizia vaticano, Alessandro Diddi: focus sui reati di corruzione e truffa con i fondi della Segreteria di stato per la compravendita del Palazzo di Londra
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Ha ricordato le parole di Papa Francesco sulla gestione dei beni ecclesiastici, della parsimonia, dell’atteggiamento da “buon padre di famiglia”, il promotore di Giustizia Alessandro Diddi, per indicare come invece alcuni soggetti all’interno della Segreteria di Stato abbiano avuto comportamenti del tutto contrari arrivando a compiere operazioni “altamente speculative” e “scriteriate” che hanno provocato seri “danni” alla Santa Sede. La compravendita del Palazzo di Londra, in primis: “Ha determinato un danno che va da 139 milioni a 189 milioni di euro, secondo gli scenari da prendere in considerazione”.
Sull’operazione londinese il promotore di Giustizia ha incentrato la sua intera requisitoria di oggi, 19 luglio, sessantatreesima udienza del processo per la gestione dei fondi della Santa Sede, seconda delle sei udienze dedicate alle richieste delle accuse (l’ultima sarà mercoledì 26 luglio con le istanze di condanna). Per circa quattro ore Diddi ha ricostruito la vicenda che, ha detto, ha le sue radici con la proposta di un investimento su pozzi di petrolio in Angola, avanzata dal cardinale Angelo Becciu (imputato) ma mai andata in porto.
L’affare del petrolio
La data simbolica è il 12 ottobre 2012, quando l’imprenditore angolano Antonio Mosquito, vecchia conoscenza di Becciu dai tempi della nunziatura nel Paese africano, propone alla Segreteria di Stato di partecipare ad un affare per il petrolio gestito dalla Falcon Oil di cui è responsabile. Quella vicenda, secondo il promotore di Giustizia aggiunto, Gianluca Perone, intervenuto nel pomeriggio, è “propedeutica all’affare di Londra” perché Mincione, coinvolto come consulente esperto per l’affare ha fatto convergere i soldi destinati all’Angola in commodities del suo fondo. E nel momento in cui la Segreteria di Stato ha riempito il fondo con i soldi necessari, si è deciso di non proseguire con l’investimento che “non andava più bene” e rappresentava alti profili di rischio. Da non dimenticare che nel frattempo la Santa Sede aveva anticipatamente versato 500 mila dollari in varie tranche a Mincione per una due diligence.
La proposta di Londra
Dall’archiviazione dell’affare angolano è subentrata la proposta del palazzo di Londra, da un anno proprietà di Mincione. Da lì un balletto di cifre sulla valutazione dell’immobile, acquistato per 120 milioni di sterline, da subito sopravvalutato a 173 milioni e infine, dopo varie questioni e situazioni (tra cui oscillazioni del mercato immobiliare dovuti anche alla Brexit o presunti progetti di ampliamento e di “business”), venduto alla Santa Sede a 230 milioni sempre di sterline. Quasi il doppio.
Il ruolo del cardinale Becciu
Di quella tentata operazione “Becciu era l’ispiratore”, secondo il PG vaticano. È stata “l’antefatto di un unico disegno” che ha avuto come risultato questa “brillante operazione” che ha provocato una “voragine enorme”, “in spregio alle regole della Pastor Bonus e del Codice canonico”, ha affermato. Più volte Diddi ha parlato di una “regia” del cardinale Becciu, rivolgendo accuse molto dure nei suoi confronti. Come quella di aver organizzato lui l’offerta per l’acquisto dell’immobile di Sloane Avenue presentata dal fondo americano tramite la “cordata” dell’ex sottosegretario Giancarlo Innocenzi Botti e dell’ex ambasciatore Giovanni Castellaneta. Proposta accompagnata da “una ricostruzione totalmente falsa per far costringere la magistratura che stava operando a fermarsi e risolvere la questione sul piano extragiudiziale”.
Schermature
Era un modo, questo ma anche altri, secondo il promotore, per effettuare operazioni di “schermatura” sul patrimonio della Segreteria di Stato “per proteggerlo dai controlli”, inclusi quelli della Segreteria per l’Economia. Ancora il promotore ha smentito l’immagine restituita da Becciu negli interrogatori di “un sostituto impegnato in attività curiali e pastorali, poco incline all’amministrazione”. Era invece, a suo dire, coinvolto pienamente nella gestione e consapevole del “peculato” che si stava consumando negli uffici della Segreteria di Stato a vantaggio dei due finanzieri Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi (entrambi imputati). Il cardinale, secondo il promotore, ha assistito anzi allo “smembramento delle risorse in maniera passiva”. Se “il peculato lo stai vivendo in diretta” in qualche modo ne sei partecipe, è stata la teoria di Alessandro Diddi.
Le indagini
Ha poi spiegato i motivi per cui Becciu è entrato nel focus delle indagini nelle quali inizialmente non era coinvolto: ha parlato quindi, tra le altre cose, delle segnalazioni dalla Slovenia che indicavano uno spostamento di somme della Segreteria di Stato su una locale società per presunti fini umanitari (la Logsic Inc. della manager sarda Cecilia Marogna, anche lei imputata, coinvolta in una operazione umanitaria per la liberazione di una suora rapita in Mali), delle “contribuzioni ai fratelli” e dei pagamenti a “Cecilia Zulema” (Marogna). Poi ha rimarcato l’atteggiamento di Becciu di difesa “da un’accusa non ancora espressamente formulata”: “Anziché chiedere confronti e chiarimenti con l’autorità giudiziaria, dal primo momento il suo interlocutore sono stati i giornalisti”. Il promotore ha affermato che il cardinale avrebbe utilizzato “giornalisti compiacenti” e “amici” per creare campagne di stampa finalizzate a sminuire l’inchiesta in corso.
La terza parte della requisitoria di Diddi si svolgerà domani, 20 luglio, e si concentrerà sui reati di truffa ed estorsione e sul ruolo dell’AIF, l’Autorità di informazione finanziaria (ora ASIF) i cui rispettivi ex presidente e direttore René Brüllhart e Tommaso Di Ruzza siedono anch’essi al banco degli imputati.