Primato di Pietro e vescovi del mondo, un dialogo ricco di frutti

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Nella basilica vaticana, ieri sera, 20 ottobre, il secondo incontro fra teologi organizzato nell’ambito del Sinodo sulla sinodalità. Moderato da don Dario Vitali, coordinatore degli esperti teologi all’assemblea sinodale ha offerto approfondimenti sul primato della cattedra di Pietro e l’esercizio del ministero petrino in una Chiesa sinodale

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Il primato della cattedra di Pietro, un tema antico che ha bisogno di essere riletto in una nuova luce. Questo ha voluto evidenziare, ieri, il secondo dei due appuntamenti serali nella basilica di San Pietro, pensati nell’ambito della prima sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si sta svolgendo in Vaticano. L’incontro, sul tema “Fermo restando il primato della cattedra di Pietro: l’esercizio del ministero petrino in una Chiesa sinodale”, è stato moderato da don Dario Vitali, coordinatore degli esperti teologi all’assemblea sinodale, che ha introdotto la serata spiegando che nella comunione ecclesiastica esistono legittimamente le Chiese particolari, ma, appunto, “fermo restando il primato della cattedra di Pietro”, cosa che salvaguarda la diversità al servizio dell’unità. Tre gli interventi, offerti come lectio, dedicati alla storia e all’evoluzione del dogma dell’infallibilità del magistero di Pietro, che è stato definito dal Concilio Vaticano I nella costituzione dogmatica Pastor Aeternus. Ad introdurli un momento musicale e la lettura di un brano tratto dalla Pastor Aeternus.

Il primato del Papa

Don Leonardo Pelonara, docente di Teologia dell’Istituto teologico marchigiano di Ancona, ha fatto notare che partendo “dai testi e dagli eventi che hanno condotto la Chiesa a certe espressioni dogmatiche, è possibile riconoscere nella preparazione, celebrazione e recezione del Vaticano I un fruttuoso richiamarsi a vicenda di primato e collegialità che può insegnare molto a noi”. Nel Vaticano I non mancarono discussioni circolari e “schiettezza del dialogo”. Pio IX lo volle in un periodo in cui “si assisteva al tentativo degli Stati di eliminare dal loro interno l’influenza della Chiesa”, anche per “suscitare un’unità reale, visibile e operativa di tutto l’episcopato”. La costituzione Pastor aeternus promulgata il 18 luglio 1870, si concentra sulla figura del romano Pontefice, contiene richiami alla sua potestà episcopale e precisa che il primato del suo potere “non pregiudica in alcun modo quello episcopale di giurisdizione, ordinario e immediato, con il quale i vescovi, insediati dallo Spirito Santo al posto degli apostoli, come loro successori, guidano e reggono, da veri pastori, il gregge assegnato a ciascuno di loro, anzi viene confermato, rafforzato e difeso dal Pastore supremo ed universale”. Emerge dunque, osserva don Pelonara, un reciproco e fruttuoso richiamarsi di primato ed episcopato che è “conseguenza della mutua interiorità di Chiesa universale e Chiese particolari” e che “può rispecchiarsi a ogni livello e in ogni realtà della compagine ecclesiale, ad esempio nelle Chiese locali tra vescovo e presbiterio, oppure nelle parrocchie tra ministri e fedeli laici… oppure proprio al Sinodo che si sta celebrando”.

Il dissenso nei confronti di un pronunciamento papale

Della possibilità di dissenso da un pronunciamento pontificio, ha parlato don Luca Massari, docente di Teologia dell’Istituto superiore di scienze religiose Sant’Agostino di Pavia, in particolare quello che vede protagonisti “uomini di Chiesa che appartengono ai quadri più alti dell’istituzione ecclesiale”, come è il “caso dei dubia indirizzati al Papa alla vigilia di questa Assemblea del Sinodo”. Lo studioso ha precisato che se si vuole pensare al primato petrino “come fattore costitutivo di una Chiesa sinodale, occorre immaginarne una modalità di esercizio che non impedisca, anzi: autorizzi altre voci a parlare, a portare il proprio contributo all’oneroso compito di discernere la volontà di Dio”. A tal proposito, il docente di teologia ha precisato che “anche Papa Francesco nella sua prima Esortazione Apostolica Evangelii gaudium ha coraggiosamente promosso una conversione del papato, che lo renda maggiormente recettivo delle altre istanze, specialmente di quelle che giungono dalle Conferenze episcopali” e ha aggiunto che nella costituzione apostolica del Concilio Vaticano II Lumen gentium si afferma che “il successore di Pietro è investito del compito di porsi a tutore dell’unità come della varietà. In particolare, al servizio della comunicazione e della condivisione delle ricchezze che diverse Chiese a diverse latitudini possono apportare al bene dell’unica Chiesa”. In pratica ogni provvedimento magisteriale ha una fase di recezione che ha come protagonista il popolo di Dio, e tale recezione, ha aggiunto don Massari, “non è un atteggiamento semplicemente passivo, di pacifica assunzione degli intendimenti emersi”.

La recezione del magistero da parte del popolo di Dio

Ma l’insieme dei battezzati verifica “la plausibilità di una posizione adottata nel contatto con la propria esperienza credente: coglie la fruttuosità di un pronunciamento, ne patisce i limiti, soprattutto ne declina le potenzialità a contatto con la propria cultura e con le categorie che ne strutturano l’apertura al reale”. In questo processo i vescovi, che sono “successori degli apostoli e garanti della continuità nella tradizione e nella comunione con tutte le Chiese, sono chiamati a vigilare”, perché, ha affermato il teologo, “l’applicazione di uno stesso provvedimento magisteriale potrà portare anche ad interpretazioni differenti a latitudini diverse della galassia ecclesiale, a patto che non venga meno il riconoscimento reciproco tra esiti non uniformi”. In considerazione di tutto ciò, per don Massari un dissenso da un pronunciamento papale “potrà dirsi fruttuoso qualora propizi un dinamismo positivo di miglior raccordo eventualmente a favore di un nuovo discernimento, infruttuoso in caso conduca a divisione e polarizzazione”, ma “occorre anzitutto escludere la possibilità che sia un pastore a farsi interprete in prima persona di un atto di dissenso dal magistero pontificio”, per evitare che la pubblica contestazione “alimenti fenomeni di polarizzazione all’interno del popolo di Dio”. Diverso è il caso del dissenso manifestato da “altre componenti del popolo di Dio” o da teologi, “che hanno il compito di rischiarare alla luce della ragione teologica le radici dell’inattualità o dell’opportunità di un provvedimento o insegnamento magisteriale”.

Il lascito di Gesù

Infine la professoressa Rosalba Manes, docente di Nuovo Testamento alla Pontificia Università Gregoriana ha commentato il brano del Vangelo di Giovanni sull’ultima cena, la Pasqua del Signore, nella quale Gesù si consegna, nel pane e nel vino, completamente innanzitutto ai dodici apostoli e insegna a donarsi agli altri e purifica la mentalità dei suoi discepoli spiegando loro che chi comanda è come colui che esegue e che serve. Poi, continua la studiosa, Giovanni mostra Gesù e Pietro, il maestro e l’apostolo. Pietro è il destinatario del dono di Cristo, ma è anche quello che deve darsi da fare, deve spogliarsi delle sue ambizioni, deve diventare una roccia per avviare questo processo di fraternizzazione e deve custodire gli altri.