Premio Nobel per la Pace a due giornalisti

Vatican News

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il Premio Nobel per la Pace è andato a Maria Ressa e Dmitry Muratov, entrambi impegnati nella tutela della libertà di espressione. Ressa, filippina, co-fondatrice di Rappler, sito di giornalismo investigativo, “usa la libertà di espressione per esporre l’abuso di potere, l’uso della violenza e il crescente autoritarismo”. Secondo la commissione di Oslo, Ressa si è dimostrata una “paladina senza paura della libertà di espressione”. Il russo Muratov, direttore di Novaya Gazeta è stato nel 1993 proprio tra i fondatori della testata “il cui giornalismo basato sui fatti e l’integrità professionale ne hanno fatto una fonte importante di informazione su aspetti censurabili della società russa, raramente menzionati su altri media”. “Da quando è stato aperto, sei dei suoi giornalisti sono stati uccisi”, ha ricordato la Commissione. Muratov è il terzo russo a ricevere il Nobel per la Pace dopo Andrey Sakharov e Mikhail Gorbaciov.

Del significato della scelta di assegnare il Nobel per la Pace a reporter, parla a Vatican News Giampiero Gramaglia. Secondo il consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali, già direttore dell’Ansa, la libertà di informazione contribuisce alla pace perché migliora la consapevolezza delle popolazioni su quanto accade, e aiuta a valutare e affrontare i problemi in modo più consapevole e non in base a pulsioni o a istinti.

Ascolta l’intervista con Giampiero Gramaglia

La libertà di espressione – sottolinea Gramaglia che prima di diventare direttore dell’Ansa è stato per anni corrispondente dell’agenzia di stampa da Bruxelles, Parigi e Washington – è una precondizione per cercare di avere buona informazione, che significa anche contribuire a una migliore comprensione della realtà. In concreto, solo con una buona informazione si possono mettere le persone in grado di capire le ragioni degli altri, che significa essere anche meno ostili. In questo senso il buon giornalismo contribuisce alla pace. E’ difficile – sottolinea Gramaglia – comprendere l’altro quando si resta intrappolati nel proprio mondo, nelle proprie condizioni. 

Un riconoscimento che fa riflettere tutti

Gramaglia mette in luce inoltre un aspetto in particolare: al di là dei nomi dei giornalisti e del valore che va riconosciuto al loro lavoro, questo Premio Nobel ha una doppia valenza. Secondo l’editorialista, da un lato è un riconoscimento che ribadisce l’importanza dell’impegno di quanti difendono la libera informazione in contesti dove la democrazia è incompiuta, ma dall’altro ricorda anche che bisogna valorizzare e difendere il lavoro del corretto reporter anche in contesti di democrazia acquisita dove c’è sempre il rischio che essa sia compromessa nei valori. A proposito del fenomeno delle fake news, Gramaglia spiega che si deve parlare non tanto di evoluzione politica quanto di evoluzione dell’industra dell’informazione. Il problema di fondo è quello di una percezione, che sembra diffusa, della notizia come di un prodotto senza valore, per il quale non si debba spendere. E invece non può essere uguale un’informazione passata al vaglio da professionisti competenti e una proposta sui social da improvvisati divulgatori. Certamente la libertà di espressione è da tutelare, ma è cosa diversa difendere la differenza tra notizie verificate e notizie non verificate.  Gramaglia ricorda che non esiste un contesto esente da rischi o un’età dell’oro del giornalismo da rimpiangere perché – sottolinea – sempre c’è stato e sempre ci sarà il rischio di avere giornalisti assoggettati al potere. L’importante è difendere il principio che il giornalismo sia come un “cane da guardia” di qualunque potere o meccanismo di potere, un campanello di allarme per qualunque, sempre possibile, deviazione di un rapporto corretto e equilibrato. L’obiettivo – torna a sottolineare ribadendo il significato del premio – è quello di avere persone, comunità, società bene informate e dunque per questo meno prevenute e meno ostili all’altro.