Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
“Ma, secondo lei, ha senso tutto questo?”. Concetta si avvicina al cardinale Pietro Parolin e, da sotto la mascherina, sussurra la domanda che ogni genitore non dovrebbe mai fare vedendo il proprio figlio trascorrere il Natale non a casa, con le luci del presepe e il profumo del cibo, ma attaccato a un tubo, tra i neon e l’odore di disinfettante. “Perché mio figlio soffre?”. Nel caso della sua Sophie è una rara malattia neurologica, di cui la bambina è affetta sin dalla nascita. Non c’è rabbia né polemica nelle parole della donna, venuta a Roma da Benevento per curare la figlia, ma la ricerca sincera di un significato per questa storia che lei e la sua famiglia vivono da anni. Il segretario di Stato si avvicina e abbassa anche lui il tono: “Il dolore innocente non si riesce a comprendere. Non si giustifica con la ragione. Queste cose non capitano a caso c’è un senso… Sappiamo che c’è qualcuno più grande di noi”.
Un contributo alla pace
È un momento intimo e spontaneo che si ritaglia durante la visita di quasi tre ore che il cardinale compie all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù per portare, come tradizione, gli auguri di Natale del Papa ai piccoli degenti ma anche a medici, infermieri e tutto il personale. “Siete collaboratori del Papa”, dice loro, sottolineando che l’opera compiuta per questi bambini non si esaurisce tra le mura dell’ospedale, ma è un passo verso la pace globale. “Oggi siamo tutti preoccupati per quanto sta succedendo nel mondo, non vediamo prospettive di soluzione per questa guerra che da ormai un anno è in corso in Ucraina, ma anche dei tantissimi altri conflitti che ci sono nel mondo. La situazione è molto molto precaria”, afferma il cardinale. “Allora uno dice: cosa posso fare io per cambiare la situazione? Credo che ciò che dobbiamo fare è il nostro dovere e farlo con tanta fedeltà e generosità e allora ciascuno di noi porterà il suo piccolo, grande contributo alla costruzione di un mondo migliore”.
La visita ai bambini
Di questo “piccolo grande contributo”, svolto con dedizione quotidiana, il cardinale Parolin ha avuto prova girando a inizio della visita nel Reparto di malattie metaboliche. Ad accompagnarlo, la presidente Mariella Enoc, il direttore sanitario Massimiliano Raponi e il responsabile del reparto il professor Carlo Dionisi Vici. In queste stanze, abbellite da luci natalizie e da un presepe in legno nel corridoio, il porporato incontra Cecilia, Sofien, Dariana Victoria, Yassmine e Sophie, appunto. “Dicono che questi bambini sono come Gesù in croce che soffre. Non so se è vero, ma ci consola…”, confida la mamma Concetta, spiegando di voler uscire “assolutamente” il 28 dicembre per poter raggiungere l’altro figlio di 11 anni e il marito che necessita di visite specialistiche, dopo che gli sono stati trovati dei valori alterati. “Che si fa in questi, si prega?”, domanda. “Sì, e ci si affida al Signore”, risponde Parolin, che, dopo aver spostato la mano tutto il tempo sulla spalla della bambina che dorme, le poggia sul cuscino una immaginetta natalizia. “È del Papa”.
“Vecchie conoscenze”
Nel letto di fronte c’è Yassmine: “Gelsomino”, ci tiene a specificare subito la madre, avvolta in uno chador. “Vengono da lontano”, spiega Dionisi. La bambina, nata in Italia, “stava male da quando aveva 3 giorni. È arrivata di corsa in coma, è stata dializzata. A un anno e 3 mesi ha subito un trapianto al fegato”. Fatica a parlare, ma frequenta l’asilo, affronta terapie per una settimana intera. Ora è attaccata a dei tubicini e alle flebo, negli ultimi giorni ha avuto un crollo. Quindi è tornata in questo Ospedale che la considera “una vecchia amica”.
Come lei, una vecchia conoscenza è Dariana Victoria, probabilmente la scena più straziante tra quelle viste oggi da Parolin. La bimba, neppure 5 anni, è affetta da una malattia degenerativa, la Sindrome di Pearson. Il cuscino a forma di unicorno nasconde la tracheotomia: “Mangia con un tubo”, spiegano i medici, “ha pure il diabete”. Con i genitori e i fratelli Victoria è venuta dal Venezuela appositamente per curarsi. “Venezuela!”, esclama Parolin. “Il cardinale conosce bene”, risponde Enoc, ricordando gli anni di nunziatura del segretario di Stato. “I venezuelani hanno un cuore grande così…”, dice il cardinale allargando le braccia. “… Probabilmente non abbiamo altri organi”, completa la frase la mamma.
Accompagnarli anche da adulti
Anche questi piccoli dialoghi e scambi di battute aiutano a mostrare quella vicinanza del Papa di cui il cardinale Parolin si fa latore. Con i pazienti, ma anche con le tante mamme al loro capezzale, abituate ma non rassegnate. Quella di Cecilia, ad esempio, alza le spalle quando dice che la figlia era guarita ma che “ogni tanto fa degli scherzi”. O anche la madre di Sofien, italo-marocchino, entrato nel nosocomio vaticano per la prima volta a 14 giorni. Ora ha 14 anni e ha dovuto rinunciare agli allenamenti di calcio. Tra quattro anni ne avrà 18 ed entrerà nel “mondo della medicina degli adulti”. Per ‘casi’ come il suo mancano però strutture capaci e attrezzate per seguire questo tipo di malattie, informano alcuni medici. “Serve una medicina di transizione con sistemi pubblici”, dicono al segretario di Stato.
Assistenza H24
Intanto, finché sono nel nosocomio vaticano, il lavoro è costante tra cure, farmaci, diete, trapianti, screening neonatali e un’assistenza “H24”, sottolinea il professor Dionisi. “Abbiamo la possibilità di intervenire e cambiare la storia della malattia”, afferma, parlando di una collaborazione con La Sapienza e della “presa in carico” che garantisce il Bambino Gesù. “Significa anche la notte o la domenica… Queste malattie sono oggetto di scompensi e squilibri. Abbiamo gruppi di medici pronti ogni ora”. A una parte di loro Parolin stringe la mano, informandosi dei turni delle feste e delle varie storie di umanità che si sviluppano in reparto.
Guarire, ma soprattutto curare
“I bambini alcuni non guariscono completamente, ma sono curati sicuramente”, dice il medico. La frase resta in testa al cardinale che la ripete poco dopo, incontrando i primari e il personale dell’Ospedale collegato in streaming nel Padiglione Salviati (dal nome della famiglia fondatrice del Bambino Gesù): fare di tutto per guarire ma soprattutto curare, che significa anche stare accanto. Questo i medici del Bambino Gesù lo fanno da oltre 150 anni, ricorda Mariella Enoc: “È un ospedale di ‘bambini speciali’. Bisogna conoscerlo non per i numeri e i bilanci – che sono positivi – ma per la missione che svolge, per l’umanità ricoverata qui. Molte volte ci occupiamo di bisogni che sembrano secondari ma invece cambiano la vita di una famiglia”.
Collaboratori del Papa
“Ricordatevi sempre: siete collaboratori del Papa”, assicura invece Parolin, prendendo la parola. “Qui si esercita la carità del Papa nei confronti degli ammalati e soprattutto di coloro che più hanno bisogno e verso i quali ci sentiamo particolarmente in difficoltà”. “Qual è il senso della del male dei bambini, del dolore dei bambini, del dolore innocente?”, dice Parolin, ricordando le parole di mamma Concetta. “È stata una domanda che l’umanità si è posta fin dal momento in cui ha cominciato un po’ a riflettere. E noi non siamo in grado di dare delle risposte… Resta un grande mistero della vita, però, quello che possiamo fare è metterci accanto come il Samaritano della parabola e curare”. “Sentitevi davvero collaboratori del Papa in questa missione”, incoraggia il cardinale. “E più ancora – visto che anche il Papa ha qualcuno sopra di lui – sentitevi collaboratori del Signore nel curare chi ha bisogno”.
Una fama universale
Da qui un profondo grazie del Segretario di Stato a tutto il personale per un lavoro di eccellenza la cui fama da tempo ha superato i confini di Roma: “L’Ospedale Bambino Gesù è davvero universale e posso confermarlo perché spesso, anche quando mi capita di andare in giro per il mondo, anche nei posti più remoti, c’è sempre un riferimento al Bambino Gesù. Ciò è dato dal fatto che ci sono persone che veramente stanno lavorando sul serio e stanno dando il meglio di sé stessi”.