Luca Collodi – Città del Vaticano
“La comunicazione con gli altri è una dimensione della vita, di tutti noi”. Così è stato per me, afferma padre Federico Lombardi, gesuita, già scrittore e vicedirettore de La Civiltà Cattolica, provinciale del gesuiti, direttore della Radio Vaticana, del Centro televisivo vaticano e della Sala Stampa, oggi presidente della Fondazione vaticana Joseph Ratzinger. “In tutti questi anni – scrive nell’introduzione al libro ‘Papi, Vaticano, Comunicazione. Esperienze e riflessioni’- mi è stato chiesto di tenere conferenze su argomenti specifici di attualità sulla vita della Chiesa o dell’insegnamento dei Papi. Nel 90.mo anniversario della nascita della Radio Vaticana, l’istituzione che ha servito più a lungo nella sua esperienza di comunicatore, padre Lombardi ha raccolto e ordinato pensieri e riflessioni sulla sua esperienza nella comunicazione vaticana”.
“Diverse volte – si legge – mi è stato detto, ma tu avrai tante cose da dire o da raccontare su 30 anni di lavoro in Vaticano nella comunicazione. Io in realtà ho fatto diversi interventi, ma tutti di carattere episodico. Ho richiesto a volte di intervenire su un Papa, un fatto di attualità, su consigli che potevo dare a dei comunicatori di Chiesa, a incaricati di uffici stampa. Ho fatto tanti interventi differenti nel corso di alcuni decenni, però non sistematici. Adesso che la situazione è molto cambiata anche nel mondo delle comunicazioni con le nuove tecnologie, non è che pensassi più utile ripetere questi interventi ,che erano fatti in luoghi e situazioni molto precise. Però, quando la Radio Vaticana ha compiuto i suoi 90 anni, avevo ripreso in mano questi interventi, dicendomi che forse era la volta buona per sceglierne qualcuno, cercando di metterli in ordine per avere un filo conduttore e riproporli un po’ come il ricordo di un’esperienza, più che come intervento sui problemi delle comunicazioni in questo momento. Questo è il senso di questo libro”.
Padre Lombardi, lei ha servito nella comunicazione tre Papi, tre personalità, tre modi di comunicare ben diversi…
Sì. La personalità di Giovanni Paolo II, quella di Benedetto XVI e poi adesso quella di Francesco sono personalità diverse. Però io ero al loro servizio e quindi dovevo imparare e cercare di capire qual era il loro modo migliore di comunicare, qual era la loro caratteristica nel servire il Vangelo con le loro doti di comunicatori, per collaborare a questo servizio al Vangelo, diffondendolo con gli strumenti di cui ero responsabile, la radio, il Centro televisivo e l’incontro con i giornalisti di diverse lingue e nazioni. Quindi, un servizio al loro servizio. Ho sempre concepito il mio lavoro nella comunicazione vaticana come un servizio del Papa, che è servitore del popolo di Dio e dell’umanità.
Tuttavia non si è mai definito come portavoce del Papa…
No, perché ritengo che i Papi parlassero loro stessi e parlassero, anche molto, direttamente al popolo di Dio. Quindi non erano persone nascoste a cui si doveva dare voce ma erano voci alte, forti e molto espressive. E lo sono tutt’ora se pensiamo a Francesco. Per questo non sentivo la definizione di portavoce come adatta al tipo di lavoro che facevo, che era un po’ un servizio ausiliario di questa grande voce che è la voce del Papa. Navarro ha vissuto di più, ha impersonato di più il tema del portavoce del Papa, nel senso che ha collaborato molto direttamente, per tantissimi anni, con Giovanni Paolo II e quindi, ne è stato, in un certo senso, un interprete. Per questo credo che la definizione di portavoce per lui fosse piuttosto pertinente. Per me, non era esattamente quella che ha svolto Navarro in modo magistrale. Io ho preferito sempre qualificarmi come il direttore della Sala Stampa. Se poi qualcuno voleva dire che ero portavoce del Vaticano, del Papa, lo può dire tranquillamente, ma io non sentivo esattamente quello come il mio servizio.
Come ha cercato di interpretare gli stili comunicativi dei Papi rispetto alla loro personalità?
Certamente sono stili diversi. Giovanni Paolo II era una personalità fortissima, prorompente anche dal punto di vista della comunicazione. Ha avuto un pontificato di lunghezza sconfinata, ha avuto modi di comunicare tramite viaggi in situazioni e luoghi estremamente diversi. Aveva anche il dono del gesto espressivo, una capacità di uso della parola con un’esperienza alle spalle di teatro, quindi di capacità espressiva modulata molto importante. Tutte caratteristiche che andavano valorizzate e presentate sia con l’immagine, sia con l’audio. Benedetto XVI come tutti sappiamo, era più un teologo, un uomo di profondissima cultura e di espressione del pensiero con grande chiarezza e in modo articolato, con il desiderio di poter svolgere un ragionamento, presentare un’idea senza essere interrotto, per esempio, nel dialogo con la folla. Uno stile, diciamo più da persona di cultura e più della parola e anche della parola scritta, piuttosto che del gesto. Francesco, lo conosciamo tutti con la sua incredibile capacità di un linguaggio, che dice la sua prossimità alla gente, all’esperienza, alla vita vissuta, sia con una semplice parola sia anche con dei gesti espressivi la cui caratteristica, direi, è proprio la vicinanza, la partecipazione alla vita delle persone.
Padre Lombardi, lei ha lavorato per 27 anni alla Radio Vaticana, prima come direttore dei programmi, poi come direttore generale. Poi l’esperienza di direttore della Sala stampa e del Centro televisivo vaticano. Incarichi che talvolta si sovrapponevano ma che le permettevano di avere un quadro della comunicazione vaticana complessivo…
Anzitutto si trattava di istituzioni che avevano una missione comune. Miravano tutte allo stesso fine che era il servizio al Vangelo, in particolare attraverso il servizio del Papa al Vangelo. Quindi diciamo che non erano missioni dispersive. La finalità delle istituzioni era sempre, più o meno, la stessa. Poi le istituzioni erano vicine localmente e fisicamente. Non c’era da viaggiare per andare dall’una all’altra. In pochi minuti, a piedi, arrivavo e prendevo volentieri un po’ d’aria. Poi c’erano ottimi collaboratori in tutte e tre le istituzioni in cui ho servito. Quindi era facile e spontaneo distribuire la responsabilità con loro. Non è che dovessi fare tutto io. Assolutamente, non era possibile, non era neppure desiderabile, non è nulla a cui abbia mai pensato. Quindi, comunità di missione, vicinanza e collaborazione. Tra l’altro sono istituzioni che sono abituate da sempre a collaborare fra loro, anche se eravamo in un’epoca in cui ancora i diversi media avevano strumenti e linguaggi differenti. Ma, di fatto, erano tutte persone che si conoscevano abbastanza bene fra loro e quando necessario sapevano benissimo collaborare per la missione comune. Questo l’ho sperimentato in particolare durante i passaggi di Pontificato che erano un po’ il momento clou dell’impegno comunicativo di tutti noi, con migliaia di giornalisti e tutta l’attenzione del mondo. In quelle occasioni era spontaneo, per tutti coloro che lavoravano in tutte queste diverse situazioni, io ne conoscevo tre ma ce n’erano anche altre, di unirsi per realizzare questo servizio comune alla comunicazione di questo momento intenso della vita della Chiesa e del significato che stavamo vivendo. Per me sono stati momenti anche molto belli, di esperienza, di collaborazione, direi che li ricordo non tanto come tempo di fatica ma come tempo di gusto del lavorare insieme, anche se naturalmente, con il passare del tempo e con la convergenza nel mondo digitale, si capiva che poteva essere necessaria e naturale un’ulteriore convergenza che non fosse solo l’unità nella stessa persona che dirigeva istituzioni differenti. Ma qualche cosa di più organico e profondo che diciamo significasse l’unità di questa missione.
C’è un dietro le quinte, un retroscena, della comunicazione vaticana?
Direi di no. Anche come persona ho sempre cercato di dire le stesse cose pubblicamente e privatamente. Avrei vissuto come una divisione della personalità, come qualche cosa che mi avrebbe confuso anche psicologicamente, il fatto di dover avere degli atteggiamenti diversi da una parte all’altra. Il fatto è che tu sei al servizio di un’istituzione che ha diversi livelli e anche diverse profondità di responsabilità. Quindi agisci in collaborazione e in qualche modo in rapporto, per esempio, con la segreteria di Stato che ha naturalmente anche delle responsabilità di carattere diplomatico nei rapporti con gli Stati, oppure delle nomine di persone in collaborazione con il Papa, che hanno una loro dimensione di riservatezza che tu devi sapere rispettare e assumere nel suo significato e nelle sue ragioni. Quindi, per me c’era continuamente anche l’esercizio del capire che cosa è da comunicare e quando, in modo tale da svolgere bene il servizio. Perché, questo lo capisce chiunque abbia una certa esperienza, ci possono essere delle cose, delle decisioni, dei problemi che sono in maturazione, che non sono ancora da comunicare o da mettere in pubblico per evitare confusione .
Padre Lombardi, ci sono molti avvenimenti che lei ha guidato come comunicatore. Due in particolare sono eventi storici: la morte di Giovanni Paolo II e le dimissioni di Benedetto XVI. Come ha reagito?
Vedevo l’attenzione del mondo e sentivo che dovevamo prepararci per aiutare anche i media del mondo a dare correttamente il messaggio, l’informazione oggettiva su ciò che è avvenuto e che avveniva, oltre alla lettura dei significati per la vita della Chiesa e dell’umanità, che ci sono in questi grandi momenti di scelta per la Chiesa Cattolica. Questo lo dovevamo vivere con un senso di grande responsabilità e di collaborazione. Devo dire che ho ammirato l’impegno, la dedizione di tutti, di tutte le persone con cui dovevo collaborare, sia nelle istituzioni di cui ero il responsabile, sia nelle altre, perché venisse offerto il servizio e il messaggio più corretto da parte della Chiesa. Certo sono state anche delle imprese comunicative. La morte di Giovanni Paolo II l’ho vissuta in particolare come direttore del Centro televisivo vaticano. Ricordo la diretta di una settimana intera organizzata con i miei collaboratori tecnici per seguire notte e giorno questo fiume di persone, sapendo che alle immagini che noi diffondevamo erano attaccati con grande intensità gli occhi di tutto il pianeta a cui noi fornivamo le immagini di questo straordinario evento di partecipazione e di preghiera.
Il libro si chiude con alcune note che lei ha pubblicato…
Sì, 5 note. Diciamo che dal momento che il libro ha la funzione di mettere a disposizione la mia esperienza, se può essere utile o interessante per qualcuno, mi ricordo che durante gli anni in cui ero, insieme, direttore della Sala Stampa e della Radio Vaticana, avevo usato questa formula per eventi impegnativi, che a volte presentavano un po’ di difficoltà di interpretazione, per cercare di dare una spiegazione abbastanza chiara, formulata per scritto, in modo da non dare luogo a equivoci e che fosse a disposizione di tutti per interpretare il significato di un evento. Ricordo che feci questo in alcune occasioni. Ho scelto 5 avvenimenti che mi parevano più significativi, di questo tipo di servizio. La prima nota riguarda una dichiarazione della Dottrina della Fede su padre Sobrino e la teologia della Liberazione. Un’altra riguardava invece un fatto che suscitò molto scalpore, il battesimo di Magdi Allàm nella notte di Pasqua da parte del Papa. Poi la dichiarazione delle virtù eroiche di Pio XII. Infine, un altro un momento di crisi nella comunicazione, per la fuga di notizie che è la nota in cui utilizzai per la prima volta, in un certo senso, il termine di ‘Vatileaks’, che poi ha avuto una sua storia
Padre Lombardi, sulla base della sua esperienza, quale sarà il futuro della comunicazione cattolica?
La comunicazione è immersa nella storia, nella vicenda della Chiesa nel mondo, della fede nel nostro tempo e la comunicazione rispecchia questa evoluzione di situazioni, cerca di leggerla, di interpretarla e di farlo in dialogo con le persone del mondo di oggi. In un mondo, tra l’altro, in cui la comunicazione è sempre più interattiva, quindi con una forma di dialogo con il tempo in cui viviamo che diventa ed è diventata, in questi anni, sempre più intensa. A volte con dei problemi seri, con degli equivoci, e quindi sempre bisognosa di interpretazione di lettura, di chiarimento, per poter comunicare il messaggio che a noi interessa: quello del Vangelo, del Vangelo vissuto nel nostro tempo in un modo corretto, positivo. Questa è la missione della Chiesa nella dimensione della comunicazione e del rapporto con tutte le persone che ci stanno attorno, che noi incontriamo e con cui dialoghiamo ogni giorno. Le formule cambiano perché cambiano le forme di comunicazione nel mondo.