Oksana, giovane mamma ucraina, reciterà il Rosario con il Papa

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Antonella Palermo – Città del Vaticano

La raggiungiamo al telefono mentre due dei suoi quattro figli frequentano la “Scuola della pace”, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio, presso la chiesa degli ucraini Santa Sofia, la sua comunità. “Adesso ho un momento libero, possiamo parlare”. Da tre mesi le sue giornate, già pienissime per via dell’educazione dei bambini (il più grande di 10 anni, il più piccolo di 2), sono “esplose” in una dedizione totalizzante per aiutare la gente del suo Paese di origine. Mai avrebbe immaginato che si sarebbe ritrovata insieme alla sua famiglia a pregare una decina del Rosario con il Papa in quella Basilica di Santa Maria Maggiore così significativa per lei. Oksana Boyko ricorda la sua storia.

Ascolta l’intervista a Oksana

Che questa preghiera faccia sparire la guerra dalla terra

Questo Rosario recitato alla fine di maggio è segno di speranza al mondo, sofferente per il conflitto in Ucraina e profondamente ferito per la violenza dei tanti teatri di guerra ancora attivi. A sostenere il Papa nella preghiera, dopo che egli avrà deposto una corona di fiori ai piedi della statua della Vergine voluta da Benedetto XV, sarà un gruppo di persone legate a vittime di guerra, un gruppo di cappellani militari con i rispettivi corpi e una famiglia ucraina, quella di Oksana. Questa donna quarantenne è arrivata a Roma da Brody, cittadina a un centinaio di chilometri da Leopoli, nel 2008 per studiare alla Pontificia Università Angelicum dopo una laurea in Economia nel suo Paese e un lavoro svolto là per qualche anno in un ente statale. Gli studi qui le hanno dato un senso nuovo alla vita. In Ucraina ha una sorella che subito dopo l’inizio della guerra è riuscita a scappare da Kiev con quattro figli. I genitori hanno deciso di rimanere a casa. “Quando don Marco, il parroco di Santa Sofia, mi ha chiesto di partecipare con il Papa – racconta – all’inizio ho avuto un po’ paura, ho pensato ai due bambini più piccoli, un po’ discoli e irrequieti… Ma capisco l’importanza di questo evento. La guerra dovrebbe sparire dalla terra e mai può essere considerata giusta. Spero che questa preghiera potrà aiutare a uscire da questa guerra feroce, perché sparisca il concetto stesso di guerra”.

La Madonna, una donna familiare

I figli hanno nomi biblici, qualche volta le chiedono, per giocare: chi sei tu per Gesù? Sentirsi il nome di Maria, Taddeo, Anna li fa percepire la stessa Madonna una figura molto familiare. “Io cerco sempre di spiegare che Dio e Maria non sono estranei – dice Oksana – e che Maria è una donna che ha detto sì alla proposta di Dio diventando mamma per tutti noi. Io sono nata in una famiglia credente e fin dalla mia infanzia il mese di maggio era il mese mariano per eccellenza. Mi ricordo ancora le canzoni che cantavamo insieme a mia nonna, molto devota. Andavamo al santuario di Zarvanytsia e ne conosco tanti altri. Un sogno grande per me sarebbe visitare Lourdes. Quando frequentavo l’Angelicum, ogni mattina alle 12 andavo a messa nella basilica di Santa Maria Maggiore. Stare con Maria per me è molto naturale”. 

La comunità di S. Sofia, un hub di solidarietà

La comunità di Santa Sofia è il punto di riferimento per la famiglia di Oksana così come lo sta diventando per migliaia di persone fuggite dall’Ucraina che vengono portate qui anche da diversi italiani. E’ ormai una sorta di hub della solidarietà da tre mesi a questa parte, da quando è cominciata la guerra. “Viviamo un continuo aiuto da parte di tantissime persone. Ognuno fa quello che può. Da novanta giorni sono qua per smistare gli aiuti. Poi sono cominciati ad arrivare i primi profughi. Mi dispiace usare questa parola ‘profughi’, non posso crederci”, dice Oksana e spiega che sono migliaia, ciascuno con un vissuto diverso, sebbene il comune denominatore dell’esodo sia il conflitto. Ci sono quelli arrivati con i figli, altre famiglie numerose arrivate anche con il papà. Altre ancora sono senza i figli poiché, già grandi, sono rimasti a difendere le loro città. “Ho dovuto io stessa capire cosa potevo fare per loro, oltre a dare qualche informazione, cibo. Bisognava dare un sostegno profondo, rassicurarli. Dicevo loro: ‘chiama noi, anche di sera tardi, se hai bisogno’. Santa Sofia è diventata un pezzetto di terra ucraina sul suolo romano, anche un pezzo di mondo”.

“C’è una volonta naturale a fare il bene”

“All’inizio passavo in parrocchia per incontrare lo sguardo di Gesù e di Maria sulle icone e chiedevo di aiutarmi a non sbagliare”, confessa Oksana. “Tanti vogliono aiutare ma pur con questa intenzione possono sbagliare”. Spiega che questo può accadere per esempio quando si dà una informazione sbagliata e si alimentano aspettative fuorvianti. L’aspetto più delicato da gestire riguarda l’approccio: ci vuole tenerezza con i rifugiati, con chi ha dovuto abbandonare tutto per le bombe. Poi bisogna cercare di capire al volo cosa serve. “Alcuni volevano raccontare tutta la propria storia ma noi non avevano il tempo di ascoltare. Allora ci siamo organizzati con una nostra psicologa ucraina, sempre affollatissima di colloqui”. Nel mese di marzo erano 500 i volontari che ogni giorno si presentavano a dare una mano, “sempre diversi, di tutti i colori della pelle. La gente arrivava qua e chiedeva: cosa posso fare? E noi non riuscivamo nemmeno a gestire questa situazione. Oggi voglio dire grazie a tutti. I nostri bambini dopo la scuola venivano qua. I profughi avevano paura, erano diffidenti. Quello che più mi stupiva era che i rifugiati una settimana dopo il loro arrivo già diventavano loro stessi volontari. Seminare un bene che dopo settimane diventava altro bene”. Un moltiplicatore. “Quello che ho visto – osserva Oksana – è che in ogni persona c’è una volontà naturale di fare il bene”.

La preghiera semplice fa miracoli

Un lavoro corale, insomma. Del resto – dice Oksana – il parroco e il suo vice sono pochi, c’è bisogno di tanta gente. Ammette di essere stata risucchiata da questo impegno, un servizio che ha mangiato il tempo della preghiera quotidiana, proprio quel Rosario che la sua famiglia è stata fin dall’inizio abituata a recitare più volte la settimana. Ma il servizio a chi bussa alla porta è l’incarnazione di quella supplica orante. “Quando ero incinta di ognuno dei miei figli compravo un rosario che recitavo durante la gravidanza. Adesso loro sanno che ciascuno ha il suo rosario”, racconta ancora. E ricorda che, nonostante la guerra e il rischio di essere bombardata, la gente ucraina continua ad andare nei santuari, segno di una fede fortissima. “La preghiera semplice fa miracoli”.