Elvira Ragosta – Città del Vaticano
“L’Iran comincerà la produzione dell’uranio arricchito al 20 per cento nel sito sotterraneo di Fordo subito dopo l’ordine del presidente Hassan Rohani”. Ad annunciarlo, in un’intervista alla televisione di Stato, è il capo dell’Organizzazione per l’energia atomica iraniana, Ali Akbar Salehi. Già ieri, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aieia) aveva ricevuto da Teheran la comunicazione dell’intenzione di arricchire l’uranio di un livello suscettibile di utilizzo anche militare e quasi 6 volte oltre la soglia del 3,67% fissata dall’accordo sul nucleare del 2015, abbandonato unilateralmente dagli Stati Uniti nel maggio 2018. L’iniziativa, secondo Salehi, sarà presa nel rispetto di una recente legge approvata dal Parlamento, che mette fine alle ispezioni dell’Aiea e prevede la creazione di uno stock di 120 chili di uranio arricchito. “Arricchire l’uranio oltre il limite prefissato dagli accordi e aumentarlo di sei volte rispetto a quanto previsto è un atto che, se fosse realizzato, determinerebbe una vera e propria escalation nei confronti dell’Occidente e soprattutto degli Stati Uniti”. Commenta così a Vatican News il presidente di Archivio Disarmo, Fabrizio Battistelli, secondo cui il punto è se questa sia l’effettiva intenzione dell’Iran o non piuttosto uno strumento di pressione negoziale.
L’accordo del 2015 e l’uscita degli Stati Uniti
Raggiunto a Vienna nel 2015 da Usa, Francia, Gran Bretagna, Russia, Cina e Germania e Unione Europea, il “Joint comprehensive plan of action” è l’accordo internazionale sul nucleare iraniano siglato con Teheran dopo due anni di negoziati. L’intesa prevedeva sostanzialmente la riduzione progressiva delle sanzioni a Teheran che, in cambio, avrebbe limitato il suo programma nucleare. Nel 2018 gli Stati Uniti, sotto la presidenza di Donald Trump, hanno annunciato unilateralmente l’uscita dall’accordo e hanno ripristinato sanzioni economiche unilaterali contro Teheran.
Il neoeletto presidente Usa Biden favorevole a rientrare nell’accordo
Col cambio di amministrazione, la posizione degli Stati Uniti nei confronti dell’accordo raggiunto a Vienna è mutata. Il mese scorso, infatti, il neoeletto presidente, Joe Biden, ha ribadito in un’intervista che, se l’Iran tornerà a rispettare rigorosamente l’accordo internazionale sul nucleare, gli Usa rientreranno nell’intesa del 2015 come punto di partenza per negoziati successivi e revocheranno le sanzioni decretate dall’amministrazione Trump. E’ sulla base di queste dichiarazioni che il presidente di Archivio Disarmo interpreta l’annuncio di Teheran di voler arricchire l’uranio del 20%: “Evidentemente – dice Battistelli – è una pressione nei confronti del negoziato, cioè un avviso a Biden che deve fare presto ad aprire questa nuova revisione del trattato e che deve farlo secondo una posizione accettabile per l’Iran”.
Le conseguenze geopolitiche
Secondo l’ultimo rapporto dell’agenzia delle Nazioni Unite, datato novembre 2020, Teheran stava già arricchendo l’uranio a livelli superiori al limite previsto dall’accordo di Vienna, ma non oltre la soglia del 4,5 per cento e comunque in modo conforme alle regole degli ispettori. Ma, dopo l’omicidio, a fine novembre, del fisico nucleare Mohsen Fakhrizadeh, il Parlamento ha approvato la legge che interrompe le ispezioni e chiede la produzione e lo stoccaggio di almeno 120 chilogrammi all’anno di uranio arricchito al venti per cento. “Le ricadute geopolitiche dell’annuncio fatto dal capo dell’Organizzazione per l’energia atomica itaniana – continua Battistelli – potrebbero essere pericolose, perché determinerebbero un’escalation di tensione nell’area mediorientale che coinvolgerebbe anche Israele. Tuttavia, il presidente di Archivio Disarmo osserva che i margini politici, affinché questo arricchimento annunciato non avvenga, sono per fortuna abbastanza ampi.