Nicaragua, il cardinale Brenes: “La Chiesa avanti nel dialogo, incoraggiati dal Papa”

Vatican News

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

“La Chiesa non è di nessun partito o di una determinata ideologia, noi continuiamo a fare il nostro lavoro che è un lavoro pastorale, accompagnando la nostra gente, con la mentalità di professare la speranza”. Il cardinale Leopoldo Brenes, arcivescovo di Managua, è giunto nelle scorse ore in Italia dal Nicaragua, dove negli ultimi mesi si è acuita la grave crisi socio-politica nicaraguense che si trascina ormai dal 2018 e dove si sono intensificate le tensioni e gli attacchi nei confronti della Chiesa cattolica. Arresti, violenze, umiliazioni pubbliche nei confronti di vescovi e sacerdoti, espulsioni dal Paese, chiusura di emittenti cattoliche: questo è ciò che vive la Chiesa in Nicaragua.

Il Papa nell’Angelus del 21 agosto aveva espresso “preoccupazione e dolore” per la situazione nel Paese centroamericano “che coinvolge persone e istituzioni”. Auspicio del Pontefice era che “per mezzo di un dialogo aperto e sincero, si possano ancora trovare le basi per una convivenza rispettosa e pacifica”. Proprio il dialogo è la strada che la Chiesa continua a percorrere, dice Brenes, a margine della presentazione internazionale del documento conclusivo del Celam, a Palazzo Pio, sede della Radio Vaticana. Questa mattina, il cardinale è stato ricevuto dal Papa, insieme agli altri membri della presidenza del Celam nel Palazzo Apostolico.

Eminenza, ha parlato con il Papa della situazione del Nicaragua? Ha ricevuto qualche particolare incoraggiamento? 

Il Santo Padre conosce bene la nostra situazione, è sempre informato, mi ha detto di andare avanti con la predicazione e con l’accompagnamento della nostra gente, rimanere specialmente con la nostra gente umile e sensibile e vicino ai sacerdoti.

Da circa cinque anni si è assistito a violenze, aggressioni, anche verbali, nei confronti di vescovi e sacerdoti, come pure al ritiro del gradimento al Nunzio apostolico. Cosa la preoccupa oggi?

Mi preoccupa il problema della emigrazione, molte persone per motivi economici, per disoccupazione, lasciano il Nicaragua e arrivano in altri Paesi, come Costa Rica, Messico Stati Uniti. È una grande preoccupazione per noi e anche per il Santo Padre. L’emigrazione è un dolore grande perché la famiglia si abbandona, ci sono rischi seri nell’andare, ad esempio, verso gli Stati Uniti, passando per Honduras, Guatemala… È veramente difficile.

Cosa si può fare per i rapporti tra la Chiesa e il governo?

Dobbiamo sempre portare avanti il dialogo. Il dialogo inizia ma non si sa quando finisce, dobbiamo andare avanti, promuoverlo sempre. Il Papa sempre ci dà questa indicazione: il dialogo non può finire.

Parlava della gente. Cosa dice come pastore in questa situazione così complessa? 

Nella nostra predicazione c’è sempre un invito ad essere persone di speranza.

Qualche anno fa ha subito attacchi fisici, ha paura per la sua persona, per la sua vita?

No, la gente è molto rispettosa. Non c’è nessun timore, vado in giro per le parrocchie, guido l’automobile, se mi fermo a un semaforo parlo con chi incontro.

È più speranzoso, quindi, che preoccupato?

Si, c’è sempre una preoccupazione ma penso che devo essere il primo a dimostrare speranza e fiducia in Dio.