Nello Scavo: “Il Papa invita noi giornalisti ad accostarci con rispetto al dolore umano”

Vatican News

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

“Per vincere i pregiudizi sui migranti e sciogliere la durezza dei nostri cuori, bisognerebbe provare ad ascoltare le loro storie. Molti bravi giornalisti lo fanno già. E molti altri vorrebbero farlo, se solo potessero. Incoraggiamoli! Ascoltiamo queste storie!… Avremo davanti agli occhi non dei numeri, non dei pericolosi invasori, ma volti e storie di persone concrete, sguardi, attese, sofferenze di uomini e donne da ascoltare”.

Nelle parole messe nero su bianco dal Papa nel suo Messaggio per la 56.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali, Nello Scavo, giornalista di Avvenire e collaboratore di testate internazionali, ritrova la sua storia personale e lavorativa. Rivede i mesi e gli anni nelle zone “calde” del pianeta – dall’ex Jugoslavia al Sudest asiatico, alla Siria e il Maghreb – o sulle navi di salvataggio nel Mediterraneo. Gli tornano alla mente le immagini di gente annegata in mare o i volti disperati di donne e bambini. E si sente incoraggiato a proseguire in questo mestiere che gli è costato, in diverse occasioni, pressioni e minacce: “Dal Papa mi sento responsabilizzato. Soprattutto mi sento consolato perché ogni tanto qualcuno prova a spiegarci, anche da qualche importante università, che il nostro modello di giornalismo è superato e che bisogna pensare a nuovi modelli. Papa Francesco ci dice invece che prima di tutto, il mestiere del giornalista è andare, vedere, ascoltare e, finalmente, raccontare”.

Ascolta l’intervista a Nello Scavo

Il focus del Messaggio del Papa è infatti sull’ascolto dell’altro: un ascolto “con l’orecchio del cuore”. Ampio spazio è dedicato alla questione migranti, tema di cui ti occupi da anni. Cosa significano per te queste parole di Francesco?

Considero il Messaggio del Papa la naturale prosecuzione del Messaggio dello scorso anno in una sorta di pedagogia ai giornalisti. L’invito ad ascoltare è fatto in una dimensione diversa: non solo quella del dialogo o di chi si reca in un luogo per ascoltare gente, ma ascoltare una situazione, un contesto e, attraverso le testimonianze dirette, far incontrare i lettori e gli ascoltatori con i protagonisti – loro malgrado – di questi racconti. Mi ha colpito molto anche l’invito ai giornalisti a non origliare, perché non riguarda solo il gossip, le cronache volutamente polemizzanti, ma la necessità di accostarci alla vita delle persone con il dovuto rispetto e, allo stesso tempo, con gli occhi aperti di chi la realtà la conosce e la deve documentare nella sua complessità.

Tornando alla questione migranti, il Papa chiede di prestare loro ascolto per capire che davanti non abbiamo numeri ma volti concreti. Tu questi volti li hai visti e queste storie le hai sentite, quale ti ha rimasta maggiormente impressa?

Rimangono impresse nella memoria e forse in qualche incubo notturno le immagini dei corpi spolpati dalle bestie lungo la Rotta Balcanica, i corpi recuperati in mare, la disperazione di tante donne coi loro bambini, recluse nei campi di prigionia da cui ci arrivano informazioni e a volte registrazioni. Allo stesso tempo rimane impressa anche una grande speranza, perché ci capita anche di raccogliere e raccontare storie belle. Le storie dei soccorritori, ad esempio, o delle persone semplici in Siria o nelle periferie dei cinque continenti che in maniera spontanea decidono di aprire le porte di casa. Penso, ad esempio, alle lanterne verdi al confine tra Polonia e Bielorussia: è una immagine molto forte che costringe, nel buio della foresta, a prestare attenzione a queste voci di dolore, ma anche di speranza.

C’è tanta umanità nel Messaggio del Papa. L’invito stesso all’ascolto è un invito ai giornalisti a recuperare una dimensione umana, a ristabilire rapporti umani. Perché, Nello, c’è il rischio che anche chi svolge questo mestiere e si occupa di situazioni al limite possa cedere al cinismo e all’indifferenza?

Alcune volte anche tra giornalisti che ci rechiamo in queste aree di crisi, può capitare (anche per tutelarsi) di “foderarsi il cuore di cuoio” e mettere una barriera tra sé e gli altri. È un rischio che non dobbiamo correre. A costo di dover mettere in pericolo la nostra stessa emotività, dobbiamo andare più in fondo possibile nelle storie. Quando le ascolti direttamente da chi le vive, queste storie finiscono per essere in un certo senso “consolatorie” in mezzo al grande dolore. Inoltre, la tecnologia di oggi ci fa ritenere tutto vicino, ci fa credere a un passo da noi la possibilità di raccogliere storie e raccontarle, in realtà è solo andando, incontrando, parlando che si percepiscono veramente i drammi delle persone. Persone che in fondo chiedono semplicemente di poter vivere e di vivere non in condizioni di sfruttamento e paura.