L’operazione, decisa dal governo giapponese, durerà per i prossimi 30 anni. Forti contestazioni da Sud Corea e Cina, parere favorevole invece dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) delle Nazioni Unite. Dubbi e proteste da associazioni ambientaliste e dai pescatori giapponesi
Emanuela Campanile – Città del Vaticano
Quattro anni fa il primo annuncio, ribadito poi la scorsa settimana: il 24 agosto 2023, il Giappone ha dato il via allo scarico nell’Oceano Pacifico delle acque radioattive – trattate – contenute nelle cisterne della centrale nucleare di Fukushima, dismessa dopo il tragico terremoto del 2011.
Sono quasi 12 anni che la Tepco, la compagnia giapponese che gestisce la centrale nucleare, è alle prese con l’accumulo di acqua radioattiva che è arrivato a più di 1 milione di tonnellate.
Il problema
L’acqua di falda che scorre sotto la struttura si contamina quando entra in contatto con quella usata per impedire che i nuclei danneggiati dei tre reattori fondano. Il governo giapponese ha investito l’equivalente di 291 milioni di euro per costruire una barriera ghiacciata sotterranea in grado di impedire all’acqua di falda di raggiungere i reattori, ma senza raggiungere il risultato sperato
Le proteste
Per la Cina si tratta di una scelta “estremamente egoista e irresponsabile” che ignora gli interessi pubblici internazionali”. Un atto di terrore per la Sud Corea. Dubbi sull’effettiva depurazione di tutte le acque scaricate dall’impianto arrivano dalle associazioni di pescatori giapponesi, preoccupate che la decisione possa provocare una percezione pubblica negativa del loro pescato, e che i consumatori scelgano quindi altri mercati.
La posizione dell’AIEA
L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) delle Nazioni Unite ha dato invece parere favorevole al rilascio delle acque nel Pacifico, offrendo inoltre la sua supervisione tecnica.