Myanmar, Aung San Suu Kyi trasferita dal carcere ai domiciliari

Vatican News

L’ex consigliera di Stato, Aung San Suu Kyi e l’ex presidente, Win Myint hanno ottenuto il passaggio dalla prigione agli arresti domiciliari come misura sanitaria a causa dell’ondata di caldo che ha colpito il Paese. Lo ha reso noto la giunta militare al potere in Myanmar dal 2021, quando con un colpo di stato ha sovvertito il governo. Brighi (Associazione Italia-Birmania): nessuna svolta democratica, scarcerazione per cause di salute

Giulia Mutti – Città del Vaticano

“Nessun esponente delle forze democratiche crede che questo rilascio sia un tentativo di avvicinamento o di distensione del clima”, ha spiegato Cecilia Brighi, segretaria generale di “Italia-Birmania Insieme”, in un’intervista a Radio Vaticana-Vatican News. A seguito del colpo di Stato, infatti, l’ex consigliera Aung San Suu Kyi stava scontando una pena detentiva di 27 anni nella capitale Naypyitaw, mentre l’ex presidente, Win Myint, stava scontando una condanna a otto anni di carcere a Taungoo, nella regione di Bago.

Ascolta l’intervista a Cecilia Brighi

I motivi della scarcerazione

La liberazione di detenuti è una consuetudine per il popolo del Myanmar. “Durante il thingyan, ovvero il capodanno birmano, la giunta militare è solita liberare centinaia, a volte migliaia di prigionieri civili”, ha detto Brighi. Quest’anno l’amnistia è stata concessa anche ad esponenti politici di opposizione. “Dopo che per tre anni sono stati in carcere nella capitale senza poter essere contattati da nessuno, né dai famigliari, né dai medici – spiega la segretaria di Italia-Birmania -, la giunta ha preso questa decisione a causa dello stato di salute dei due leader”. La premio Nobel 1991 è stata gravemente malata nei mesi scorsi e questo, secondo la giunta, ha alimentato la decisione dei domiciliari. I media locali hanno riferito, inoltre, che durante il processo durato mesi, Suu Kyi aveva sofferto di vertigini, vomito e talvolta non era stata in grado di mangiare a causa di un’infezione ai denti.

 La situazione sul campo

“Le forze dell’esercito continuano a massacrare e a bombardare i villaggi civili come sta facendo la Russia in Ucraina e non c’è l’intenzione di aprire un tavolo di dialogo con le opposizioni”, riferisce Brighi. La situazione sembra destinata a peggiorare e sul campo “si arriverà ad una ulteriore pesante sconfitta nei prossimi mesi”, aggiunge. Ad inasprire il conflitto le forniture militari che l’esercito governativo ottiene dalle forze armate russe. “La giunta sta attaccando e bombardando con aerei militari russi. Inizialmente anche la Cina collaborava con le forze armate dell’ex Birmania. Tuttavia, in un secondo momento, Pechino ha capito la grande incompatibilità dei progetti della giunta militare e si è tirato fuori dalla guerra in atto”, sottolinea. “Ci sono molti rifugiati interni – aggiunge – si parla di oltre 2 milioni e 800mila”. Di fatto, la situazione risulta gravissima sul piano del conflitto umanitario e sul piano del conflitto armato. Le forze di opposizione “sono decise nel portare avanti la caduta della giunta e per ora nessuna negoziazione risulta possibile”, afferma Brighi.

La coscrizione obbligatoria

La giunta militare ha ripristinato, lo scorso febbraio, la vecchia legge del 2010 sulla coscrizione obbligatoria per oltre 14 milioni tra ragazzi e ragazze. E per questo si assiste alla fuga di una parte di giovani verso gli Stati etnici e verso la Thailandia. “L’ultimo dato che abbiamo avuto è che sono arrivate circa 4 mila persone che stanno cercando di trovare una sistemazione anche molto precaria nei Paesi limitrofi”, commenta Brighi. La Thailandia, infatti, ha approvato un piano per accogliere oltre 100 mila rifugiati. Molti di più sono i rifugiati interni al Myanmar: oltre 2 milioni e 800mila. La situazione è gravissima sia sul piano umanitario sia sul piano del conflitto armato. Le forze di opposizione sono decise nel portare avanti la caduta della giunta. Intanto, anche le organizzazioni etniche armate sono alleate con il governo di unità nazionale in esilio e stanno svolgendo un’azione di resistenza democratica insieme. “L’idea è quella di arrivare alla costituzione di uno Stato federale democratico in cui ci sia una grande autonomia per gli Stati etnici”, conclude la segretaria generale di “Italia-Birmania Insieme” Cecilia Brighi.