Mons. Baturi: nelle tante vittime della guerra e dell’odio rivive la croce di Cristo

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Domenica 1° ottobre, Mons. Giuseppe Baturi, Arcivescovo di Cagliari e Segretario Generale della CEI, ha presieduto la Santa Messa nel Santuario di Pompei, al termine della quale è stata recitata la Supplica alla Vergine del Rosario. Di seguito il testo dell’omelia.

Esprimo innanzitutto gioia per essere qui, in questa ora del mondo in cui tutti guardano a Pompei e, attraverso Pompei, guardano la Madre. Ringrazio Mons. Tommaso Caputo per l’invito, l’accoglienza e l’amicizia. Saluto i Confratelli nell’Episcopato, i membri della vita consacrata, le autorità civili e militari qui presenti e voi tutti, carissimi fratelli e sorelle.
Siamo qui per guardare Maria che ci invita a contemplare Gesù, il volto e la presenza di Suo Figlio in questo nostro oggi e in questo nostro territorio.
Siamo qui per supplicare, e la supplica – quella che il Beato Bartolo Longo elevò in questo santuario fin dal 1883 – rappresenta e riassume la verità della nostra condizione umana davanti a Dio: tutte le volte in cui davvero diventiamo coscienti di noi stessi e della presenza di Dio non possiamo che supplicare. Siamo mendicanti della misericordia, pellegrini dell’Eterno. Supplichiamo e domandiamo pietà per noi, per i nostri cari, per tutta la nostra Chiesa, per il mondo intero. La supplica non è il gesto della disperazione, perché chi dispera impreca, non supplica. La supplica è il gesto dell’amore, a se stessi, agli altri, a Dio.
A Maria chiediamo di volgere il suo sguardo pietoso “su di noi, sulle nostre famiglie, sull’Italia, sull’Europa, sul mondo”. La supplica è la condizione dell’uomo che sta davanti a Dio. Invocheremo tra poco: “Ti prenda compassione degli affanni e dei travagli che amareggiano la nostra vita. Vedi, o Madre, quanti pericoli nell’anima e nel corpo, quante calamità ed afflizioni ci costringono”. Noi siamo consapevoli della nostra miseria, delle nostre fatiche e dei nostri affanni, ma al tempo stesso conosciamo l’indomito desiderio della felicità, dell’amore e della pienezza. Desideriamo che la Madre ci guardi, perché la vera benedizione è essere guardati da un amore più grande del nostro. Chiediamo che la nostra vita non sia perduta, ma attirata da un mistero grande e bello, capace di sconfiggere la morte. Perché questo, alla fine, è il contenuto della supplica: non vogliamo morire, non vogliamo che la vita sia risucchiata nel nulla della morte ma possa godere di quella pienezza per cui ci sentiamo fatti.
Davanti al volto della Madre diventiamo richiesta umile, ardente, indomita di misericordia, di verità e di felicità. Nel far questo, ci facciamo voce del mondo intero, soprattutto dei nostri fratelli che più soffrono. “Pietà oggi imploriamo per le Nazioni traviate, per tutta l’Europa, per tutto il mondo, perché pentito ritorni al tuo Cuore. Misericordia per tutti, o Madre di Misericordia!”. Misericordia significa accogliere nel proprio cuore il travaglio e la fatica dell’altro, e noi siamo certi che nel cuore di Maria c’è un posto per ciascuno di noi.
Chiediamo di non essere dimenticati, che la nostra vita sia benedetta: alla Madre possiamo chiedere tutto senza vergogna perché certi di essere amati. Ci vergogniamo solo quando presentiamo la nostra miseria davanti a Dio o la nostra debolezza per ricattarci o per deriderci. Invece, davanti al volto dell’Amore non funzionano il ricatto o la derisione: non dobbiamo vergognarci di confessare la nostra piccolezza. Diceva san Giovanni Crisostomo: “Chi è amato si muove a suo piacimento nell’intimo del cuore che lo ama” (Omelia 13, 1-2 sulla Seconda lettera ai Corinzi). Che bello! Ci muoviamo a piacimento solo nell’intimo di un cuore che ci ama. Ci possiamo muovere a piacimento, cioè con piena libertà e consapevolezza, solo nel cuore di Dio che si fa prossimo nel cuore della Madre.
Cari fratelli e sorelle, noi supplichiamo – oggi e ogni giorno della nostra vita – perché ci sentiamo e siamo custoditi nel cuore della Madre. Per questo poco fa, il Vescovo Tommaso diceva che le suppliche scritte dai fedeli nella sagrestia del Santuario vengono deposte nel cuore della Madre così come la sala delle Confessioni è il cuore del Santuario. Solo nell’intimo del cuore di chi ci ama infatti noi ci sentiamo bene, a nostro agio, possiamo portare le nostre difficoltà, confessare le nostre miserie, dire soprattutto il nostro desiderio e la nostra grande attesa di una vita bella e rinnovata.
Noi supplichiamo perché Dio è sempre altro, oltre: c’è un’infinita distanza che ci separa da Lui, ma supplichiamo perché Dio ci ha risposto, ha colmato questa infinita distanza per farsi uomo, amabile presenza che continuamente ci viene incontro. Per questo, san Paolo, avendo ricordato il mistero di Dio che si fa schiavo e muore in croce per poter risorgere, ci invita ad avere “gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5). Questo è essere cristiani e questo può avvenire solo per grazia. È Lui il vero uomo, il volto che svela la verità del nostro volto, della grandezza della nostra vocazione e del nostro destino.
Essere cristiani oggi significa, come ci ha insegnato Bartolo Longo, contemplare il volto di Cristo e farlo con gli occhi della Madre. Questo è il senso del Rosario. Contempliamo i sentimenti di Cristo che si manifestano nella vita e nei suoi misteri per poter comprendere la nostra vita e il mistero della nostra vocazione. Noi possiamo, attraverso il volto di Cristo, riconoscere i tratti del volto autentico dell’uomo. Lo sguardo, amoroso e appassionato, a Gesù morto e risorto – che sempre ci viene incontro come amico e fratello in tutte le circostanze della vita, in tutti i travagli storici come quelli attraversati da Bartolo Longo e che continuano ad affliggerci – ci apre alla conoscenza della verità del mondo e della storia. Dobbiamo riconoscere però che tante volte i nostri occhi sono rivolti altrove, su qualche misero progetto, su qualche ambizione, in una sorta di auto-contemplazione narcisistica. Quanta cattiveria, quanta violenza nel mondo, nei Paesi segnati dalla guerra, ma anche nella nostra quotidianità. Quanta violenza ha riguardato i più giovani, a volte gli ambiti più intimi, quelli affettivi, quelli familiari? È come se ci fosse un’incapacità ad amare, ad accogliere l’altro, a rispettare l’altro. Facciamo fatica ad amare. Vien voglia di chiedersi: dove andiamo? Chi ci aiuterà a costruire una vita nuova? Chi ci aiuterà ad avere questi sentimenti nuovi di Cristo? Ecco, la risposta non può che essere accolta come Maria sotto la croce, guardando il crocifisso: il segreto della vita nuova che Cristo ci trasmette in questo misterioso “svuotarsi di se stesso”, che ha scelto e incarnato fino alla morte. Il paradosso cristiano è che per avere i sentimenti di Cristo anche noi dobbiamo lasciarci espropriare, lasciare che la nostra vita sia svuotata di noi stessi perché la vita e il cuore possano essere dilatati dall’amore di Cristo.
Un cuore svuotato di sé è un cuore dilatato, pronto ad accogliere ogni fratello, a riconoscere ogni uomo come fratello. Non è forse questa dilatazione che ci rende una cosa sola con gli altri con uno stesso sentire nella carità, come ci ha insegnato san Paolo, la più radicale contestazione della guerra? I conflitti, tra nazioni o tra uomini, in famiglia o nelle nostre città, nascono sempre dall’idolatria di se stessi, del “mio” contrapposto al “tuo”, dei “nostri” contrapposto ai “loro”. Quando uno assolutizza se stesso, il proprio punto di vista e il proprio interesse spiega e piega la realtà e gli altri ai propri disegni. Ed è guerra, inevitabilmente violenza, si rompe la tensione all’armonia e all’unità. La Madre ci aiuta a comprenderci invece come parte di un tutto, parte di un “noi”: non più il “mio” contrapposto al “tuo”, ma la verità di ciascuno è salvata dal Padre. E chi cerca Dio, cerca il bene che è in ciascuno e, per questo, può valorizzare il bene che è in ogni uomo, accoglierlo come parte del proprio destino. L’altro non è nemico né estraneo, ma è parte della vocazione verso cui ognuno cammina.
Nelle tante vittime della guerra e dell’odio rivive ancora oggi la croce di Cristo e noi supplichiamo che si manifesti, ancora, con potenza d’amore la sua vittoria sulla morte e sull’odio. Il cammino autenticamente religioso ci fa invocare la pace, perché ci mettiamo alla ricerca del Padre che è intimo a ciascuno, che è Tutto tale da abbracciare ogni persona.
Gli stessi sentimenti di Cristo, che diventano sentimenti di unità: che la Chiesa sia unita, che le nostre Chiese in Italia siano unite, di quell’unità che non nasce dalla convergenza di pensieri o di progetti, ma da uno stesso sentire e dalla carità. La vera unità si fonda su questo sentire unanime. E poi la carità: il Vescovo Tommaso ha ricordato il tempio della preghiera e il tempio della carità. E poi la convivenza umana, perché attorno al tempio della preghiera e al tempio della carità è nata a Pompei, nell’articolazione dei suoi elementi, nel dispiegarsi delle sue strade, delle sue autorità. Questo deve essere per noi cristiani un insegnamento continuo: pregare Dio, accogliere ogni uomo e costruire, edificare, la società degli uomini come civiltà dell’amore e della verità, in cui un uomo sia accolto, sia voluto bene, possa essere degno di cura e di accompagnamento. L’uomo prega, ama e costruisce la città degli uomini. Per noi cristiani tutto questo ha un nome: Cristo, “la nostra pace” (Ef 2,14), la ragione della nostra quotidiana fatica per cui lavoriamo, intraprendiamo nuove strade, edifichiamo nuove opere. È Lui che chiede la nostra conversione: “Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a sé stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri” (Fil 2, 3-4).
Maria, con la pratica del Rosario, ci aiuta a guardare Cristo: è Lui che “ha abbattuto il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia” e ha riconciliato gli uomini con Dio e tra di loro nel suo corpo offerto sulla croce. La Vergine Maria ci doni i sentimenti di Cristo per vivere “unanimi e concordi” (Fil 2,2), nella carità, con uno sguardo aperto alla valorizzazione di ogni sorella e di ogni fratello! Il Vangelo ci esorta a vivere e a lavorare come figli di un Padre che ama la vita e che ci desidera operatori di pace, promotori di vera amicizia, che è il germe vero della pace. Lavorare nella vigna del Signore significa “promuovere il bene e costruire la pace e la giustizia nella verità” (Francesco, Udienza generale, 13 settembre 2023).
Supplichiamo la Vergine “Regina di pace e di perdono”, mendichiamo la sua misericordia, invochiamo la pace. O Madre Santissima, veglia su tutti noi, donaci la forza e la dolcezza del tuo “sì”, accompagna le nostre Chiese nel Cammino sinodale, libera i cuori di tutte le persone dall’odio, guida il mondo intero verso l’armonia e la concordia. Amen!