Alla Messa nella Steppe Arena di Ulaanbataar, il Papa ricorda che il “cuore del cristianesimo” non sta in nessuna forma di grandezza ma nella generosità che diventa dono per gli altri: nei deserti della vita siamo “nomadi di Dio”, Lui disseta ogni arsura interiore
Alessandro De Carolis – Città del Vaticano
Solo l’amore disseta veramente il cuore umano. E quale amore? Quello gratuito di Dio per l’uomo e quello che l’uomo, con pari gratuità, sa donare agli altri per Dio. Francesco fa della verità essenziale del cristianesimo il perno dell’omelia, del messaggio da lasciare in eredità alla piccola ecclesia della Mongolia. La Messa che chiude il pomeriggio a Ulaanbaatar, penultimo giorno del viaggio apostolico, ha per scenario la Steppe Arena, l’ultramoderno palazzo del ghiaccio, primo nel suo genere nella nazione, che da due anni ospita competizioni di discipline invernali e non solo. Col Papa diventa per un’ora e più la chiesa che in pratica raccoglie d’avanzo, con i circa 2 mila presenti alla celebrazione, tutta la comunità locale dei fedeli. Comunità che ascolta il Pastore venuto da Roma su due concetti familiari per chi è nato fra steppe e distese desertiche: la sete e il bisogno di placarla.
Nomadi di Dio
Seduto davanti al monumentale crocifisso rosso ciliegio che svetta alle sue spalle sull’altare, e su un lato la statua di legno della Vergine ritrovata anni fa nella spazzatura da una donna mongola, Francesco attira per primo l’attenzione sul concetto della “sete che ci abita”, desunto dal Salmo della liturgia domenicale. “Tanti di voi – osserva – sono abituati alla bellezza e alla fatica del camminare”, un po’ come Abramo e come ogni persona che segue Cristo. In altre parole, dice il Papa, “siamo ‘nomadi di Dio’, “pellegrini alla ricerca della felicità, di “un significato e una direzione della nostra vita, di una motivazione per le attività”. La sorgente per allevia questa sete è ben chiara a chi conosce il Vangelo.
La fede cristiana risponde a questa sete; la prende sul serio; non la rimuove, non cerca di placarla con palliativi o surrogati. Perché in questa sete c’è il nostro grande mistero: essa ci apre al Dio vivente, al Dio Amore che ci viene incontro per farci figli suoi e fratelli e sorelle tra di noi.
Quello che non disseta
Dunque, prosegue Francesco, passando al secondo punto dell’omelia, è “l’amore che ci disseta”. Le vite di chiunque, aveva detto all’inizio e lo ribadisce più avanti, passano per terre aride che si chiamano solitudine, fatica, sterilità. Tanti tipi e momenti di siccità interiore che non bisogna commettere l’errore di estinguere ricorrendo a scorciatoie che seducono ma non appagano.
Se pensiamo che a dissetare le arsure della nostra vita bastino il successo, il potere, le cose materiali, questa è una mentalità mondana, che non porta a nulla di buono e, anzi, ci lascia più aridi di prima. Gesù invece ci indica la via: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.
Solo l’amore guarisce le ferite
Perché “al cuore del cristianesimo – ricorda Francesco – c’è questa notizia sconvolgente e straordinaria: quando perdi la tua vita, quando la offri con generosità, quando la rischi impegnandola nell’amore, quando ne fai un dono gratuito per gli altri, allora essa ti ritorna in abbondanza, riversa dentro di te una gioia che non passa, una pace del cuore, una forza interiore che ti sostiene”. E, soggiunge, “abbiamo bisogno di pace interiore”.
Questa è la verità che Gesù ci invita a scoprire, che Gesù vuole svelare a voi tutti, a questa terra di Mongolia: non serve essere grandi, ricchi o potenti per essere felici. Solo l’amore ci disseta il cuore, solo l’amore guarisce le nostre ferite, solo l’amore ci dà la vera gioia. E questa è la via che Gesù ci ha insegnato e ha aperto per noi.