L’Istituto teologico di Rabat, gestito in comunione dalle Chiese cattolica ed evangelica, e definito da Papa Francesco “segno profetico” a servizio della fratellanza umana, celebra l’anniversario con un colloquio, il 16 e 17 marzo, sulla “sfida e la grazia” per i cristiani di essere minoranza religiosa nell’Africa mediterranea e subsahariana. Il cardinale Lopez Romero: la visita del Papa nel 2019 ha dato nuovo slancio alla Chiesa di quest’area
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Il Papa, nella sua visita in Marocco, il 30 marzo 2019, davanti al re, alle autorità e al popolo, nel suo discorso alla Torre Hassan di Rabat, lo ha definito un “segno profetico” e una “lodevole iniziativa” che esprime la volontà dei cristiani del Paese nordafricano “di costruire ponti per manifestare e servire la fraternità umana”. E’ l’Istituto ecumenico di teologia Al Mowafaqa (in arabo “l’accordo”) che festeggia quest’anno dieci anni di vita, nato per iniziativa delle Chiese cattolica ed evangelica del Marocco, grazie al sostegno di due partner accademici come la Facoltà protestante di Teologia dell’Università di Strasburgo e l’Institut Catholique de Paris.
Il colloquio sulle minoranze religiose in Africa
In occasione di questo anniversario, Al Mowafaqa, nella sua sede in avenue du Chellah a Rabat, a poche centinaia di metri dalla cattedrale cattolica di San Pietro, in collaborazione con i due atenei fondatori e con l’Università Cattolica dell’Africa Centrale di Yaoundé, in Camerun, che si è aggiunta tra i suoi sostenitori negli ultimi anni, propone dal 16 al 17 marzo un colloquio sul tema “Minoranze religiose nell’Africa mediterranea e subsahariana. La sfida, la forza e la grazia di essere minoritari”.
Lopez: il Papa ci ha detto che essere pochi è una grazia
Essere minoritari significa andare all’essenziale, perché qui noi siamo veramente insignificanti. “Noi cattolici qui siamo insignificanti, lo 0,08 per cento degli abitanti – spiega l’arcivescovo di Rabat, il cardinale Cristobal Lopez Romero, co-presidente dell’Istituto, insieme alla pastora Karen Smith – ma l’essere in pochi non è un problema, come ci ha detto il Papa nella sua visita, se non perdiamo la forza della testimonianza, come sale che ha perso sapore. Piuttosto è una grazia che ci obbliga a uscire, perché non possiamo vivere da soli, essere una Chiesa in uscita, per diventare una Chiesa dell’incontro, uscire per incontrare l’altro, il differente, il diverso, in questo caso il musulmano”.
In dieci anni, formati più di 350 studenti da trenta Paesi
E Al Mowafaqa, ricordava ancora Francesco nel suo discorso, vuole contribuire non solo alla promozione dell’ecumenismo, ma anche “del dialogo con la cultura e con l’Islam”. A questo dialogo sono stati formati i più di 350 studenti di oltre 30 nazionalità, passati nelle aule dell’ex centro di documentazione La Source e nella cappella ecumenica utilizzata spesso come sala di conferenze pubbliche, grazie all’impegno di più di cento docenti. Professori in visita dall’Europa e dall’Africa, che alloggiano nei locali dell’Istituto, oltre ad accademici marocchini nel campo dell’Islam, guidano un’ottantina di studenti all’anno in sessioni intensive per la licenza universitaria in teologia o per il certificato del corso in “Dialogo tra culture e religioni”. L’istituto offre anche corsi di lingua araba (classica e darija).
Il Marocco dimostra “che musulmani e cristiani possono vivere da fratelli”
Il cardinale Lopez Romero, che chiuderà il colloquio, prima del concerto di corali cattoliche, protestanti e delle “chiese domestiche” nella cattedrale di San Pietro, venerdì intorno alle 17 insieme alla pastora Smith, definisce Al Mowafaqa un istituto unico al mondo. Perché, ci dice, non esistono altri istituti teologici gestiti “al 50 per cento da protestanti e al 50 per cento da cattolici”. E che permette ai cristiani del Marocco “di dire alla Chiesa universale e al mondo intero che è possibile vivere come fratelli, musulmani e cristiani”. Da Tangeri ad Agadir, passando per Nador, Casablanca e Marrakech, il Documento sulla Fratellazna Umana, firmato dal Papa e dal Grande Imam Al-Tayyeb 50 giorni prima della visita di Francesco a Rabat, “non è molto conosciuto” ammette l’arcivescovo, ma qui la fratellanza e l’amicizia tra musulmani e cattolici si vive, anche se non perfettamente. Così il messaggio del Documento di Abu Dhabi “passa perfettamente”. Ecco tutta l’intervista al cardinale Cristobal Lopez Romero, arcivescovo di Rabat.
Che bilancio si può fare dei primi dieci anni di vita dell’Istituto ecumenico di teologia di Rabat Al- Mowafaqa?
Posso dire che è un bilancio molto positivo perché in questi dieci anni si sono formate tante persone nel dialogo interreligioso e interculturale. Quando il Papa è venuto qui in Marocco, davanti al re e davanti tutto il popolo marocchino, ha detto questa frase: “Considero anche un segno profetico la creazione dell’Istituto Ecumenico Al Mowafaqa, a Rabat, nel 2012, per iniziativa cattolica e protestante in Marocco, Istituto che vuole contribuire alla promozione dell’ecumenismo, come pure del dialogo con la cultura e con l’Islam. Questa lodevole iniziativa esprime la preoccupazione e la volontà dei cristiani che vivono in questo Paese di costruire ponti per manifestare e servire la fraternità umana”. Ha detto questo perché conosceva la realtà, l’abbiamo informato. Ed è la verità: Al Mowafaqa ha contribuito molto all’ecumenismo. Protestanti e cattolici lavoriamo insieme, viviamo insieme, ci conosciamo meglio, collaboriamo. Ed è stato anche un ponte con la società marocchina, perché l’Islam è sempre presente nell’insegnamento e soprattutto attraverso scambi di visite con diverse istituzioni islamiche. Allora pensiamo che è inestimabile quello che fa l’istituto Al Mowafaqa, unico nel suo genere nel mondo, perché non conosciamo un istituto teologico al 50 per cento protestante e 50 per cento cattolico, nei professori, negli studenti e nei dirigenti.
Tra le iniziative interessanti anche l’attenzione alle Chiese domestiche, per una loro formazione di base…
Sì, l’iniziativa si chiama Forem, formazione per i responsabili delle Chiese “de meson”, le Chiese domestiche. Sono Chiese che non appartengono né alla Chiesa cattolica né alla Chiesa evangelica del Marocco. Sono Chiese che nascono un po’ spontaneamente e che sono autonome e indipendenti da tutto e di tutti. Questi responsabili vengono nell’istituto per una formazione minima, perché è un sabato ogni mese, ma almeno hanno uno spazio per trovarsi, ascoltano l’arcivescovo di Rabat, ascoltano i teologi cristiani, anche protestanti, e si informano e almeno hanno un collegamento con le Chiese istituzionali, la cattolica e la protestante. Questa iniziativa è sempre un frutto dello Spirito Santo, perché è nata da un pastore di queste Chiese che è passato davanti all’istituto, ha visto che si parlava di teologia e si è interessato. Così ha scoperto che qui si studia la Bibbia, si studia chi è Dio e Gesù Cristo, la Chiesa, e ha voluto formarsi e ha fatto venire altri pastori di queste Chiese.
Veniamo al tema scelto per il vostro colloquio celebrativo di questi dieci anni, questa due giorni sull’essere minoranza religiosa nell’Africa mediterranea e subsahariana. Cosa significa per i cristiani essere minoranza oggi in Marocco?
Nel sottotitolo viene detto in che cosa consiste la fede in una situazione di minoranza, perché parliamo della sfida ma anche della forza e della grazia di essere minoritari. Essere minoritari significa andare all’essenziale, perché qui noi siamo veramente insignificanti. Noi cattolici, per esempio, siamo lo 0,08 per cento, nemmeno lo 0,1 della popolazione totale. Non abbiamo forza politica, economica o istituzionale: tutta la nostra forza è la testimonianza, è il Cristo che portiamo nelle nostre città. Portiamo un grande tesoro, e quindi siamo contenti di vivere qui. Il Papa, quando è venuto a visitarci, ci ha detto non è un problema essere pochi, il problema sarebbe diventare un sale che ha perso il suo sapore del Vangelo o una luce che non illumina più nessuno. Ma essere pochi non è un problema, piuttosto è una grazia che ci obbliga a uscire, perché non possiamo vivere da soli, non dobbiamo stare in una bolla, chiusi in noi stessi, dobbiamo uscire, essere, come il Papa ci chiede, una Chiesa in uscita, per diventare una Chiesa dell’incontro, uscire per incontrare l’altro, il differente, il diverso, in questo caso il musulmano. E in questo incontro si scopre che siamo uguali in tante cose, che abbiamo in comune una grande quantità di elementi della nostra fede, della nostra vita e che possiamo vivere in fraternità, in amicizia. Che non siamo nemici, nemmeno avversari o concorrenti, ma siamo fratelli e sorelle in Adamo e in Abramo. E io credo anche in Cristo, anche se i musulmani non riconoscono Gesù come il Cristo, ma come un profeta. Allora abbiamo questo messaggio, questa forza di dire alla Chiesa universale e al mondo intero che è possibile vivere come fratelli, musulmani e cristiani. E questo è un messaggio straordinario, interessante e innovativo per tante società, perché non è comune. Si dice tutto il contrario, ci sono tante forze, tante istituzioni e persone che vogliono confrontarsi, vogliono combattere gli uni contro gli altri. E noi diciamo invece che è possibile vivere in fratellanza, in amicizia con i musulmani.
Insomma, è una concretizzazione di quanto si afferma nel
Alcuni studenti e docenti all’ingresso di Al Mowafaqa
Nella vostra testimonianza di cattolici come piccolo seme, quanto vi ha aiutato anche la presenza del Papa, quasi quattro anni fa?
Molto, molto. Prima di tutto ci ha consolato, perché molti preti e laici prima erano un po’ inquieti. “Cosa facciamo qui?”, dicevano, “Qual è il senso della nostra presenza?”. E il Papa viene a visitarci e ci dice, ripeto, che non è un problema essere pochi, bisogna essere testimoni… È venuto a confermarci nella nostra fede, quello che è il ministero di Pietro, che conferma nella fede i fratelli. Questo è il beneficio che ha portato all’interno della nostra Chiesa la sua visita. Ma all’esterno la Chiesa magrebina, qui in Marocco, in Algeria e in Tunisia non era conosciuta. Molte persone in Europa pensavano che in questi Paesi la Chiesa non era presente e con la visita del Papa hanno visto la cattedrale piena, hanno visto i cristiani radunati per celebrare l’Eucaristia. Siamo stati messi come su un candelabro e tutto il mondo ci ha visti. In questi anni, dopo la visita del Papa, sono arrivate nuove congregazioni religiose che vogliono stabilirsi in Marocco, sono stati aperti in due anni tre noviziati. Una cosa straordinaria! Preti africani ed europei vogliono venire a formarsi o dare una mano in Marocco. Prima il mio predecessore e io stesso dovevamo cercare preti che venissero ad aiutarci nel servizio pastorale, adesso sono i preti che si offrono, sono i vescovi che si interessano a inviare qualcuno, sono le congregazioni religiose e le associazioni cristiane che vogliono venire in Marocco. E io credo proprio che questo sia un frutto, una conseguenza della visita del Papa. Il fatto poi che Francesco abbia voluto nominarmi cardinale, ha contribuito ancora di più a far conoscere questa Chiesa, anzi queste Chiese, perché la stessa situazione c’è in Algeria e in Tunisia, col vantaggio per il Marocco che qui è più facile per una congregazione stabilirsi, perché c’è un ambiente politico e sociale molto tranquillo. Così negli ultimi tre anni sono venute almeno 4 o 5 congregazioni nuove per fondare delle comunità.
Per portare avanti le attività e i corsi di Al Mowafaqa servono risorse. Vi arrivano aiuti anche dalle Chiese europee?
Sì, certo. Ogni anno abbiamo bisogno di 300mila euro per andare avanti, e poi avere gli studenti. Perché se abbiamo il denaro ma non gli studenti non serve a niente. Ma se abbiamo gli studenti e non abbiamo il denaro, non si può andare avanti. Grazie a Dio abbiamo raggiunto dieci anni di vita e abbiamo ancora la forza dei primi momenti per andare avanti, per nuove iniziative. Anche per questo è una cosa che merita essere appoggiata. Ci aiutano gli amici di Al Mowafaqa, ma anche alcune fondazioni, le Conferenze episcopali. L’aiuto viene sia dai protestanti che dai cattolici, perché anche in siamo al 50%, e chiediamo aiuto ai nostri ambienti.