Il racconto diretto di uno dei giovani partecipanti all’iniziativa che ha visto insegnanti, educatori e genitori accompagnare ragazzi e ragazze di tutta Italia per renderli protagonisti e interlocutori attivi. Tra musica e canti, appelli e chiacchierate, scambi di idee e condivisione di esperienze, la consapevolezza di una “marcia” che continua nella vita di tutti i giorni per costruire poco alla volta un avvenire in cui possiamo essere davvero “fratelli tutti”
Federico Tessarin *
“Trasformiamo il futuro” è lo slogan che ha accompagnato da Perugia ad Assisi centinaia di studenti e studentesse di diverse scuole e università di Italia. Il 21 maggio 2023 si è tenuta la Marcia della Pace e della Fraternità che ha visto i giovani come protagonisti assoluti. Gli insegnanti, educatori e genitori hanno accompagnato i ragazzi e le ragazze invitandoli a prendere parola sui diversi palchi dell’evento, sia come moderatori che come interlocutori attivi.
La toccante testimonianza di Alì Sohna, giovane rifugiato del Gambia sopravvissuto alle torture in Tunisia e alla traversata del Mediterraneo, ha aperto questa edizione. Le parole di questo nostro coetaneo hanno smosso in molti di noi presenti sentimenti contrastanti. Solidarietà, rammarico, ma anche frustrazione e senso di impotenza. Un gruppo di ragazzi tra il pubblico ha commentato quanto siamo fortunati a essere nati in questa parte del mondo: “Chi lo ha deciso che noi dovevamo essere più fortunati di Ali e di suo fratello?”. Nessuno. Allora non possiamo voltarci dall’altra parte. Siamo anche noi responsabili verso i troppi migranti senza volto e senza nome che, come dice Alì, “il mare ha abbracciato”.
Consapevolezza e paura
A seguire alcuni ragazzi delle scuole superiori di Perugia e Parma sono saliti sul palco e, attraverso uno sketch comico, una canzone rap o un semplice ma efficace discorso, hanno comunicato le loro preoccupazioni e consapevolezze di fronte alle tante guerre che ci circondano. Tra i tanti mi ha colpito una ragazza che ha detto: “Abbiamo paura che le bombe che oggi lanciano su Kyiv possano arrivare fino a noi”. Si percepiva la preoccupazione che a lungo andare i conflitti si allarghino e che quelle bombe che oggi appaiono lontane, possano arrivare a noi. Cessare fuoco e aprire spazi di mediazione per la ricerca della pace sono le richieste più ricorrenti tra i tanti giovani che ieri, domenica 21 maggio, hanno affollato i Giardini del Frontone di Perugia.
In cammino tra musica e appelli
Verso le 10 il corteo si è messo in cammino lasciandosi Perugia alle spalle. I colori della pace animavano questo flusso di persone. Erano pitturati sui volti delle persone, erano presenti sulle tante bandiere che sventolavano sopra il corteo e sul bandierone portato a mano dagli studenti e dalle studentesse dell’Università di Padova. Sotto le note di “Give Peace a Chance” di John Lennon abbiamo iniziato la lunga discesa. Il passo svelto, il corteo è compatto. Abbiamo camminato l’uno accanto all’altro è questo ci ha fatto sentire meno soli. Non conoscevamo tutte queste persone né tanto meno sapevamo quali percorsi di vita hanno condotto loro fino a qui. Eppure, se anche loro stavano marciando vuol dire che sentivano l’urgenza di dire: “Fermiamoci!”. Fermiamo la corsa al riarmo e sostituiamo la politica della potenza con quella della diplomazia. Le armi e la guerra portano solo morte, ci privano di ogni forma di libertà e quindi distruggono i nostri sogni e noi giovani e giovanissimi dobbiamo avere la possibilità di realizzare i nostri sogni e poter costruirne di nuovi.
Domande di senso
Cinque ore è un periodo lungo in cui si alternano chiacchiere a domande di senso sul presente e sul futuro. Giunti in prossimità di Ponte San Giovanni le strade si fanno più larghe, il corteo era meno compatto e anche io come tanti mi sono ritrovato a camminare in gruppi piccolissimi. La mia compagna di viaggio è stata Ines, una ragazza di 23 anni che conoscevo da due giorni, ma con cui condivido molto. Anche lei era qui per metterci la faccia e dire: “Voglio un futuro diverso per me e per la mia generazione”. Abbiamo discusso di quanto oggi sia difficile entrare nel mondo del lavoro, anche dopo anni di studio, rispetto ai tempi dei nostri genitori, 40 e 50 anni fa. Fino agli anni Ottanta in Italia il lavoro si trovava più facilmente, c’erano maggiori occasioni di accumulare dei risparmi e anche coniugare la vita lavorativa con il desiderio di costruire una famiglia in giovane età. “Non voglio dover scegliere tra il lavoro e avere dei figli. Perché io devo rinunciare a una delle due cose mentre voi uomini no?”.
Popolo gioioso
Ma la PerugiaAssisi è anche divertimento e leggerezza. Avvicinandoci alla stazione dei treni di Ponte San Giovanni abbiamo sentito da lontano il rumore di tamburi. Una banda di musici ha accolto noi pellegrini con gioia e con il suo ritmo ci ha trasmesso una grande carica. Alcuni passanti hanno intonato un canto, altri si sono fermate a ballare. Il popolo della pace è un popolo gioioso, capace di guardare e interrogarsi sulle sfide reali del presente, senza perdere l’amore per la vita e le occasioni che questa può offrire.
“Buona pace!”
Abbiamo continuato il nostro percorso superando Collestrada e Ospedalicchio. Eravamo solo a metà del percorso ma la fatica cominciava a farsi sentire. Di tanto in tanto abbiamo incontrato lo sguardo degli altri camminatori. Ci siamo scambiati un sorriso. Alcuni ci hanno augurato: “Buona pace!”. Lo urlavano anche a chi si sporgeva dai propri balconi guardandoci incuriositi. Non conoscevamo questi compagni di cammino, eppure ci sentivamo affini a loro. Stare lì ci ha fatti sentire meno soli, perché significa che al di fuori della nostra quotidianità e della nostra cerchia di conoscenze, esistono altre persone che si impegnano a costruire la pace. Penso, ad esempio, ai tanti insegnanti e presidi che hanno aperto le scuole a percorsi di educazione alla pace e che hanno accompagnato i loro alunni da Perugia ad Assisi.
Verso la Città della Pace
Giunti a Bastia Umbra, abbiamo visto in fondo davanti a noi Assisi come una macchia bianca tra il verde. Era già ora di pranzo e molti pellegrini si sono fermati a rimettersi in forza e ad ammirare il panorama. Superata Santa Maria degli Angeli, è iniziata la fatidica salita verso Assisi. Quest’ultimo tratto di percorso è stato forse il più impegnativo, considerando il dislivello e la stanchezza accumulata di quattro ore di cammino. Allo stesso tempo, è stato anche il momento più carico di emozioni. Iniziava l’ascesa verso la Città della pace: ormai ci siamo, la Rocca Maggiore è sempre più vicina. Entrati nel centro storico di Assisi, le sue strade e i suoi edifici sembravano riportarci all’epoca di San Francesco di Assisi. A tratti ci sentivamo come turisti che fotografano la Basilica, la Piazza di San Francesco e il borgo medievale.
Una metafora della vita
Verso le 15 il corteo è arrivato alla Rocca Maggiore e noi a seguire siamo giunti alla meta. La soddisfazione era tanta. Non solo perché abbiamo percorso 24 chilometri da soli contando solo sulle nostre forze, ma anche perché lo volevamo fortemente. La Marcia è una metafora delle nostre vite in fondo. Marciare significa fissarsi un obiettivo e perseguirlo a tutti i costi. È un viaggio che costa fatica, richiede costanza e resistenza, ma è fatto anche di momenti di diversione, allegria e condivisione.
Alunni e volontari
In chiusura sul palco sono saliti gli alunni di alcune scuole di Senigallia e Gorizia per esprimere il loro “no” a tutte le guerre. A seguire anche il nostro gruppo, in qualità di ex e attuali volontari in Servizio Civile, siamo saliti sul palco per ricevere la Costituzione italiana e la bandiera della pace da Gianfranco Pagliarulo, presidente dell’ANPI. È stato un riconoscimento importante per noi perché attesta l’impegno e la dedizione che abbiamo messo al servizio della comunità nei nostri territori, dall’assistenza ai migranti al lavoro di educazione alla pace nelle scuole, per citarne alcuni.
La marcia continua
A conclusione di questa Marcia PerugiAssisi siamo consapevoli che da domani non cesseranno tutte le guerre né spariranno le disuguaglianze del nostro tempo. Aver preso parte a questa edizione, però, significa cominciare a trasformare il nostro futuro. È stata l’occasione infatti per creare spazi di incontro, stringere nuove relazioni, confrontarsi sui problemi del nostro tempo. Tornati a casa ognuno di noi continuerà a marciare nella propria vita di tutti i giorni, costruendo poco alla volta un futuro in cui possiamo essere davvero fratelli tutti, avendo cura per l’altro e per il pianeta in cui viviamo.
* Operatore di Emercency, tra i partecipanti alla Marcia PerugiAssisi