Marco Guerra – Città del Vaticano
L’Associazione dei Medici cattolici italiani (Amci) torna a ribadire la sua contrarietà rispetto ogni eventuale deriva mortifera della legislazione e del sistema sanitario, con un manifesto che spiega le ragioni dal titolo: “Il medico è per la vita, no al disumano ragionevole per pietà”. I camici bianchi cattolici diffondono questo testo nell’attuale cornice politica, che vede ben due iniziative in favore dell’eutanasia e del suicidio assistito: una è il referendum che mira a depenalizzare l’art. 579 del codice penale che punisce l’omicidio del consenziente (quesito la cui legittimità sarà valutata nelle prossime settimane dalla Consulta); l’altra è rappresentata dal disegno di legge Bazzoli sul fine vita in discussione al Parlamento.
Non scambiare il disumano per pietà
Il manifesto dei medici cattolici ribadisce l’assoluta incompatibilità tra l’agire medico e l’uccidere, la necessità di garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore su tutto il territorio nazionale e denuncia il pericolo di abbandono terapeutico per tutti i soggetti fragili ai quali vorrebbero offrire la “dolce morte” di Stato piuttosto che cure mediche e prossimità umana. Si esorta quindi a “non scambiare il disumano per pietà”. Il testo a firma del presidente dell’Amci, Filippo Maria Boscia, mette in evidenza che “alcuni iniziano a distinguere tra ‘vita’ e ‘non vita’, tra ‘degna’ e ‘non degna’, tra il ‘morire con dignità’ e il ‘morire senza dignità’, etichettando così, con soggettivi e arbitrari giudizi, molte condizioni di vita fragile”.
“Riconosciamo che la richiesta di suicidio assistito o di eutanasia nasce sovente dal rifiuto di continuare a vivere in condizioni di precarietà e grave sofferenza – si legge ancora – ma dovremmo essere molto attenti a non accettare con facilità il disumano per pietà, il disumano ragionevole per compassione”. L’Amci riconosce poi che una morte degna è da assicurarsi a tutti: questo è un principio essenziale del curare e questa azione non può trovare scorciatoie rispetto a pratiche di sostegno e di accompagnamento dell’ammalato nelle fasi ultime della sua vita.
Il rifiuto di dare la morte
I medici cattolici difendono quindi i principi deontologici e l’obiezione di coscienza: “Crediamo fermamente che non si possa far rientrare tra i doveri professionali e deontologici del medico il suicidio assistito e l’eutanasia. Non sono queste opzioni terapeutiche possibili o praticabili nell’alleanza medico-paziente e nella relazione di cura e di fiducia: il medico si troverebbe in conflitto morale con sé stesso, soprattutto se le sue attività risultassero mere prestazioni tecniche senza valore umano ed etico”. “Tutti i medici cattolici – proseguono – rappresentano l’assoluta incompatibilità tra l’agire medico e l’uccidere, perché chi esercita la difficile arte medica non può scegliere di far morire e nemmeno di far vivere ad ogni costo, contro ogni ragionevole logica”.
Attuare subito legge su cure palliative
Per tutti questi motivi l’Amci chiede che lo Stato non giunga mai a negare forme di assistenza e tutela a malati cronici, anziani, disabili e malati di mente, avvalorando forme di eutanasia sociale o selezione dei fragili e dei deboli. Il manifesto prosegue chiarendo che “la sofferenza del paziente non può essere eliminata a scapito del bene vita”. Il documento esorta inoltre le amministrazioni pubbliche ad attuare con urgenza le grandi potenzialità della legge 38/2010 disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla “terapia del dolore” e che ciò va realizzato in modo omogeneo ed universalistico e questo va accompagnato alla “necessità di mantenere i malati terminali in un percorso esistenziale, sostanziato al massimo da rapporti umani ed affettivi”. Questo forzo, secondo l’Amci, rappresenta “un’opportunità di dialogo e perfezionamento assistenziale verso l’eubiosia (contrario di eutanasia), cioè buona vita, vera sfida per un rinnovato umanesimo della cura”. “Nel caso di una legge intrinsecamente ingiusta – affermano in conclusione -, al medico resterà sempre il dovere di ubbidire alla propria coscienza professionale”.
Boscia (Amci): viviamo una cultura eutanasica
“In questo ultimo periodo la rilevanza del ‘bene vita’ va sfilacciandosi sotto il peso dell’esaltazione delle libertà individuali. In un momento particolare della pandemia in cui negli ospedali si registra il rifiuto delle cure”, così il presidente dell’Amci, Filippo Maria Boscia, a Vatican News approfondisce i punti più importanti del Manifesto. “Come medici impegnati per la cura – prosegue – dobbiamo mettere in luce la differenza tra il lasciar morire e il far morire”. Secondo il presidente dei medici cattolici, stiamo vivendo in cultura eutanasica alimentata da alcuni problemi del sistema sanitario come gli ospedali pieni, il rinvio dell’assistenza e degli interventi e l’abbandono delle famiglie e dei pazienti. “Quando si percepisce di non essere accettati nella malattia – spiega ancora – vien voglia di dire facciamola finita ma è proprio qui che dobbiamo centrare la questione”.
Prossimità e cura per combattere la cultura della morte
Il dottor Boscia evidenza il bisogno di malati e disabili di vivere relazioni di prossimità: “È questo che manca e che spinge la gente a chiedere la morte. Non abbiamo alternative come medici, possiamo solo esercitare per la vita, la depenalizzazione dell’eutanasia non ci può entusiasmare, se ci chiedono di aiutare a morire compromettono le basi del bene comune e pricipi di solidarietà e giustizia ferso i più fragili, è una questione di civiltà”.
Ragioni economiche dietro l’eutanasia
Il presidente dell’Amci si sofferma, infine, sull’importanza della terapia del dolore: “Le malattie non curabile non esistono, ci sono malattie inguaribili croniche ma queste vanno maggiormente curate perché abbiamo difronte un malato più fragile degli altri”. Per Boscia la deriva mortifera ha anche ragioni legate alle scelte di allocazione delle risorse, “perché curare i più fragili costa”. Boscia esclude quindi qualsiasi tipo di “avvicinamento” dei medici cattolici a un testo di legge eutanasico: “Faremo un cammino di ascolto ma che deve essere partecipato da tutti i battezzati nella Chiesa”. “Il grido per l’eutanasia è un grido di allarme di chi soffre – conclude – ma quando noi medici ci avviciniamo a questo dolore si crea un dialogo educativo, che dovrebbero conoscere anche i giovani, perché parliamo del passaggio più umano della nostra vita”.