Adriana Masotti – Città del Vaticano
Ricomporre le divisioni e sanare le ferite che si sono prodotte nella storia tra i cristiani non significa solo realizzare la volontà di Gesù che al Padre ha chiesto l’unità tra tutti coloro che avrebbero creduto in lui, ma anche condizione essenziale per poter portare a tutti, con credibilità, il Vangelo e per contribuire alla costruzione della pace nel mondo. La Settimana di Preghiera per l’Unità dei cristiani è un momento privilegato per chiedere la grazia dell’unità e per un avvicinamento sempre maggiore tra le diverse Chiese e confessioni cristiane. Ma per volersi bene è importante conoscersi, superare i pregiudizi verso l’altro, considerare come un arricchimento le diversità.
Camminando verso Gesù ci avviciniamo tra noi
I cristiani del Medio Oriente hanno una forte esperienza di convivenza tra membri di Chiese e tradizioni diverse, e anche di collaborazione in un contesto difficile, a volte drammatico. Quest’anno sono stati proprio loro a scegliere il tema della Settimana: “In Oriente abbiamo visto la stessa e siamo venuti qui ad onorarlo”. Guidati dalla stella in cielo, ci dicono, noi tutti siamo orientati verso lo stesso Cristo e camminando verso di lui ci ritroviamo anche più vicini tra noi. Mervat Kelly è siriana e appartiene alla Chiesa siro-ortodossa. Risiede ora a Rocca di Papa, in Italia, ma in precedenza, oltre che in Siria ha vissuto a lungo in Iraq. Insegna Teologia interconfessionale alla Pontificia Università Lateranense e lavora per il Centro Uno, il centro per il dialogo ecumenico del Movimento dei Focolari:
Mervat Kelly, in base alla sua esperienza, come si potrebbero descrivere i rapporti tra le Chiese nei Paesi in cui lei ha vissuto?
I cristiani che hanno scelto la frase del Vangelo di Matteo “In Oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo” hanno davvero una forte esperienza di convivenza tra membri di Chiese e tradizioni diverse che dura ormai da più di 1500 anni. Io ho vissuto in un quartiere cristiano della città di Homs, in Siria, dove abitavano greci-ortodossi, greci-cattolici, armeni-ortodossi e cattolici, maroniti, siro-ortodossi e siro-cattolici e per me tale varietà è stata una ricchezza, ma non è facile essere una minoranza spezzettata. Ora in Medio Oriente si vive una situazione di grade sfida e sofferenza: guerre, terrorismo, povertà, la pandemia, le immigrazioni… e il dolore unisce. I cristiani pregano insieme, si aiutano reciprocamente, ma sono aperti ad aiutare anche chi ha bisogno accanto a loro, e così si scopre sempre di più che se si cerca di vivere come Gesù, tra noi c’è lo stesso Cristo e un unico vangelo. Siamo tutti fragili e bisognosi d’amore, più ci aiutiamo l’un l’altro e ci sosteniamo, più diventiamo una piccola stella per gli altri. Più scopriamo che la luce non nasce da noi ma dal sole, da Dio, più ci avviciniamo l’uno all’altro.
C’è qualche episodio particolarmente significativo di solidarietà e comunione tra cristiani di Chiese diverse che può raccontarci?
Ce ne sono tanti, ad esempio ho ancora davanti a me l’immagine del grande albero di Natale che era stato collocato anni fa in una piazza decorato con le foto dei giovani morti a causa della guerra e la gente che veniva, ognuno con una candela accesa, per pregare insieme. Quindi si vive l’ecumenismo della preghiera, del dialogo, dell’amore concreto, ma c’è ancora un altro ecumenismo ed è quello del martirio, l’ecumenismo del sangue. Mi ricordo quando nel 2013 il vescovo greco-ortodosso di Aleppo Boulos al-Yazigi è andato al nord delle Siria per riscattare alcune persone sequestrate e ha chiesto aiuto al vescovo siro-ortodosso della stessa città, Yohanna Ibrahim: purtroppo tutti e due sono stati rapiti e hanno perso la vita. Oppure penso al padre gesuita olandese Frans van der Lugt, che invece di partire quando Homs era circondata, è rimasto con le persone che non potevano sfollare, aiutando cristiani e musulmani e cercando di salvare i tesori di tutte le chiese, cattoliche e ortodosse, una scelta che gli è costata la vita.
Papa Francesco ha visitato l’Iraq nel marzo scorso e ha invitato tutti al dialogo e alla fraternità. Il motto era: “Siete tutti Fratelli”. Quanto è sentita la necessità di crescere nell’unità in Medio Oriente?
La visita del Santo Padre in Iraq ha ridato dignità, speranza e sostegno in modo particolare ai cristiani, ma ha dato tantissima gioia a tutto il popolo iracheno. L’invito alla fraternità è il cuore del messaggio universale di Cristo e oggi il Medio Oriente ha bisogno più di prima di vivere l’unità e di dimostrarla anche con gesti importanti come, ad esempio, avere la stessa data tra le Chiese per festeggiare il Natale e la Pasqua. L’unità dei cristiani nella regione rientra nelle parole di Gesù: “Che tutti siano uno affinché il mondo creda”, che il mondo creda nell’amore del Padre per tutti. L’odio uccide e può essere cancellato solo da un amore immenso come quello di Dio. Quindi bisogna andare avanti con costanza e perseveranza, fiduciosi in Gesù che ha detto: “Abbiate fiducia: io ho vinto il mondo”.
A Erbil il Papa ha sottolineato la testimonianza viva dei cristiani. Ha detto che la Chiesa in Iraq sta facendo molto per diffondere la misericordia di Cristo, specialmente verso i più bisognosi. “Anche in mezzo a grande povertà e difficoltà – ha sottolineato – molti di voi hanno generosamente offerto aiuto concreto e solidarietà ai poveri e ai sofferenti”. E’ questo un esempio di cooperazione effettiva tra i cristiani?
Sì, anche l’Iraq è stata una terra che ha prodotto martiri che hanno illuminato e illuminano il cielo e la terra. Ho vissuto per dieci anni in Iraq, i cristiani lì sono esempio di una fede viva che riesce a superare le difficoltà. Mi ricordo ancora quando abbiamo dovuto lasciare Baghdad per andare ad Erbil. Tantissimi cristiani sono arrivati li senza casa, senza lavoro, senza viveri, tutti insieme si mettevano a cercare case e chi aveva una sedia, un materasso, una coperta, un piatto lo dava, cercavano il lavoro ecc… Veramente si potrebbe dire che c’era una gara d’amore e la gioia era molto grande, è stata una vera testimonianza: “guardate come si amano!”.
Il tema della Settimana parla di sapienti che seguono una stella e trovano il Bambino, ma poi sono costretti a tornare di nascosto dal re Erode che ordina l’uccisione dei neonati. Anche oggi non mancano violenza e sofferenze per le popolazioni del Medio Oriente, ma in tante parti del mondo si soffre per povertà e ora per la pandemia. Che cosa può rappresentare per tutti quella “stella” in cielo?
Rappresenta fiducia, speranza, anche un invito a prendere altre strade che non sono conosciute ma sono indicate da Dio. E’ quello che la Chiesa è chiamata a fare, la strada della conversione e del rinnovamento, è il cammino dell’umiltà attraverso piccoli gesti d’amore, fiduciosi nella grazia di Dio che ci guida. E, continuando ad amare, si riesce anche ad essere piccole stelle che sanno che non sono loro la luce, ma prendono la luce dal sole e indicano sempre di più quel sole che non tramonta mai e che ci avvicina gli uni agli altri.