L’opera del cardinale Tisserant a favore dei perseguitati

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Eugenio Bonanata – Città del Vaticano

Una personalità poliedrica quella del cardinale Eugène Tisserant. Durante la persecuzione nazifascista un giovane ebreo francese, Miron Lehner, entrò in Vaticano nascosto all’interno del bagagliaio della sua auto. Un gesto che si inserisce nell’ambito dell’azione della rete clandestina attiva a quel tempo fuori e dentro le mura vaticane con l’obiettivo di salvare vite umane dalla furia del regime. Il nome in codice di Tisserant era “Minerva”, in linea con il suo titolo cardinalizio di “Santa Maria Sopra Minerva”. A fornire questi particolari è la relazione di Paule Hennequin, pronipote del cardinale, inviata alla tavola rotonda che si è svolta l’altra sera in occasione del 50esmimo anniversario della scomparsa del porporato e organizzata dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche presso il Pontificio Collegio Teutonico in Vaticano.

Un uomo scomodo alle autorità naziste

Una relazione che attinge in gran parte alla documentazione attraverso la quale nel 2020 lo Yad Vashem ha dichiarato Tisserant “Giusto tra le Nazioni”. “Questo è un elemento in parte sconosciuto della vita del cardinale”, specifica monsignor Giuseppe Maria Croce dell’Archivio della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore a proposito della condotta del cardinale in quegli anni. “La polizia italiana era costantemente sulle sue tracce perché era sospettato di essere antifascista”, aggiunge citando i documenti custoditi presso l’Archivio Centrale dello Stato, a Roma. Alla base della preoccupazione del regime di Mussolini, precisa, “c’è una lettera che il cardinale scrisse all’arcivescovo di Parigi per deprecare quella che gli sembrava una certa lentezza delle reazioni vaticane rispetto all’avanzata nazista”. Le forze germaniche, che avevano occupato la Francia, durante una perquisizione recuperarono la missiva. “Le autorità naziste erano particolarmente irritate dalla posizione di Tisserant e chiesero a Roma di intervenire per frenare le sue attività o addirittura per bloccarle definitivamente”. Tuttavia, Mussolini non fece nulla e Tisserant continuò la sua opera. Opera che la pronipote descrive nella sua relazione. “Particolarmente efficace e generosa – afferma – fu l’azione a favore degli ebrei, sia verso gli ebrei francesi che si rifugiarono in Italia, dopo l’invasione della zona libera da parte dei tedeschi, sia verso gli ebrei italiani durante la persecuzione razziale del 1938-1944, e soprattutto dopo l’invasione dell’Italia da parte di Hitler nel 1943. Ma egli intervenne anche in favore di ebrei tedeschi costretti a fuggire dal loro Paese, caduto sotto il regime nazista”.

Gli ebrei nascosti in Vaticano

Il presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, padre Bernard Ardura, ricorda come il cardinale abbia protetto degli ebrei in Vaticano, soprattutto all’interno del Collegio Etiopico. Inoltre, “ha assunto diversi studiosi ebrei nella Biblioteca Apostolica Vaticana dove lavorava”. Un fatto, questo, confermato dall’archivio personale del cardinale ricco di testimonianze e altri dettagli riportati da Paule Hennequin. “In una lettera scritta al suo direttore spirituale, il cardinale afferma: ‘Abbiamo impiegato, presso la Biblioteca Vaticana, diversi ebrei tedeschi, che, ai sensi della nuova legge, non potranno più soggiornare in Italia. Mi chiedo come la Segreteria di Stato gestirà il loro caso. Da più parti gli ebrei mi pregano di trovare un posto per loro in America. La stessa Palestina non è loro aperta’”. All’epoca il Papa era ancora Pio XI.  “Già nel 1938 – descrive la pronipote di Tisserant – il cardinale era preoccupato per le misure disumane adottate in Italia contro gli ebrei, per screditarli nella mente della popolazione, aggiungendo che ‘i regolamenti promettono di essere più severi di quelli del Reich’”.

L’accoglienza di sconosciuti nella sua abitazione romana

E c’è dell’altro. Padre Ardura racconta che Tisserant “ha nascosto qualche famiglia anche nel suo appartamento privato in via Po a Roma, dove qualcuno restò fino alla fine della guerra”. Anche in questo caso la relazione di Paule Hennequin offre qualche precisazione in più. Ad esempio, afferma che nel novembre del 1943 fu il signor Cesare Verona a presentarsi nell’abitazione di Tisserant. “Nonostante i rischi che ciò comportava – si legge – egli lo tenne in casa sua, cioè fino alla liberazione di Roma, all’inizio del giugno del 1944”. Anche questa accoglienza ha giustificato il riconoscimento assegnato al porporato dallo Yad Vashem. Diversi altri casi che hanno contornato la sua vicenda. “Il cardinale stesso – prosegue ancora la relazione – durante un Convegno a Parigi nel novembre del 1944, disse che aveva aiutato degli ebrei di cui non conosceva i nomi e che probabilmente ignoravano il suo”.