Il sacerdote maronita dell’Eparchia patriarcale del vicariato di Jounieh testimonia come la guerra e la violenza, nel Paese del Medio Oriente, non abbiano mortificato lo spirito di accoglienza delle varie comunità, anche se di diversa religione. “Si sta cercando di dare una testimonianza di amore attraverso la volontà di prendersi cura dell’altro: è un bel segnale, visti i tempi che viviamo”
Roberto Paglialonga – Città del Vaticano
La morsa di violenza e di sangue che sta soffocando il Libano a causa della guerra tra Israele e Hezbollah «non ha in realtà sopito e addomesticato lo spirito di solidarietà e accoglienza» che caratterizza i rapporti tra le varie comunità, compresi quelli tra le diverse religioni. «Moltissimi di coloro che stanno scappando — o sono già scappati — dalle bombe e dai combattimenti sono musulmani, che spesso trovano rifugio nei villaggi cristiani. Si sta così cercando di dare una testimonianza di amore attraverso la volontà di prendersi cura dell’altro: è un bel segnale, visti i tempi che viviamo».
Vivere la fratellanza nel conflitto
Le parole rilasciate ai media vaticani da don Hazi Zgheib, sacerdote maronita dell’Eparchia patriarcale del vicariato di Jounieh, sono quelle di chi vive con preoccupazione, ma anche con speranza, ciò che sta accadendo nel suo Paese. In Libano, aggiunge, ci sono 18 confessioni religiose, «è un mosaico, non è solo un Paese, ma — come diceva Giovanni Paolo ii — un vero messaggio di convivialità e pace». Certamente non tutto è rose e fiori, «a volte possono esserci delle tensioni, viste le divergenze soprattutto a livello politico; tuttavia, penso di poter dire che i cristiani stanno dimostrando di saper andare oltre, vivendo pienamente lo spirito di fratellanza verso chi soffre per il conflitto, la povertà, la crisi sociale», chiarisce.
Il comune farsi carico del dialogo
Uno spirito di dialogo tra le religioni che in qualche modo è stato preparato e si sta costruendo giorno per giorno. Il consiglio delle Chiese del Medio Oriente, riunitosi all’inizio della guerra, «ha discusso delle questioni umanitarie urgenti e dei modi per sostenere le famiglie. Poi il vertice cristiano-islamico, svoltosi qualche settimana fa a Bkerke alla presenza del patriarca maronita, cardinale Béchara Boutros Raï, del greco-ortodosso, Giovanni X Yazigi, e del greco-melchita, Joseph Absi, nonché di importanti leader islamici, oltre a chiedere l’intervento delle Nazioni Unite per «fermare il massacro», ha ribadito l’importanza di farsi carico insieme della responsabilità morale e spirituale nazionale». Inoltre, «vi è il costante lavoro di tante organizzazioni, associazioni e opere caritative cristiane, come Caritas Libano, che sono impegnate anche nell’accompagnamento psico-sociale e nell’ascolto delle persone colpite e traumatizzate dalla guerra».
L’emergenza sfollati
Enorme è il problema degli sfollati. Sono circa un milione coloro che hanno dovuto abbandonare le proprie case, soprattutto a sud di Beirut, nelle aree meridionali del Paese e nella valle della Bekaa, una delle zone più colpite dai raid israeliani. «Scuole cattoliche, monasteri, parrocchie sono aperte per tutti», spiega ancora. «Migliaia di persone e di famiglie sono fuggite per cercare luoghi più sicuri, ma in molti ora sono costretti a dormire nelle piazze, nelle scuole, nelle chiese, per le strade, con l’inverno che è ormai alle porte. Una sfida drammatica». Ad essi si aggiungono naturalmente le vittime, oltre 2.700, e i feriti, quasi 12.600, secondo i dati ufficiali, tra cui anche numerosi giornalisti.
La crisi libanese
Ma il conflitto si innesta oggi, aggravandola, su una crisi di lungo corso, che ha investito tutta la popolazione, tra cui moltissime comunità cristiane, e che sembra ormai diventata strutturale. «In questi anni abbiamo vissuto la débâcle dell’economia e della politica, l’emergenza delle migrazioni più o meno forzate, e poi la fuga dei cervelli che si sono trasferiti all’estero per cercare un futuro migliore, e il disastro seguito all’esplosione devastante al porto di Beirut». Dallo scoppio della bolla inflazionistica nel 2020, «il crollo purtroppo è stato verticale e ha causato gravi ripercussioni a livello sociale: povertà, mancanza di generi alimentari, come il latte, di medicinali e di ogni tipo di bene essenziale per vivere».
La bellezza del prossimo
Adesso — conclude don Hazi — il Libano «è come il cieco Bartimeo del Vangelo di domenica scorsa: non riesce a vedere cosa accade, e la folla che si accalca rappresenta i tanti che vogliono zittire coloro che soffrono. L’unica casa, per loro, come per Bartimeo, è la strada. Ma rimane la speranza, ed è il grido che scaturisce dal cuore di ciascuno, ovvero la fede che ci aiuta a essere resilienti. In questo quadro, l’altro non è per noi una minaccia, ma un’opportunità e una ricchezza di crescita. Anche il cedro libanese, nonostante le intemperie, cresce sempre forte e robusto».