Libano, il dolore dei cristiani palestinesi: ciò che accade a Gaza viene vissuto anche qui

Vatican News

Sono già trascorsi circa sei mesi dalla guerra in Medio Oriente. Le ripercussioni si fanno sentire anche nel Paese dei Cedri, in particolare tra le comunità cristiane riunite nel campo di Dbayehl, dove risiedono pure i parenti delle due donne uccise dai cecchini israeliani davanti alla parrocchia di Gaza. Suor Magdalena Smet: “C’è molta angoscia e rabbia tra le famiglie qui”

Olivier Bonnel e Xavier Sartre – Città del Vaticano

Il Libano meridionale è scosso quasi ogni giorno dalle esplosioni di artiglieria o dai bombardamenti aerei israeliani, come rappresaglia per gli attacchi di Hezbollah, al punto che l’intera comunità internazionale teme un allargamento del conflitto. Gli echi si sentono anche nel cuore dei rifugiati palestinesi nel Paese dei Cedri, in particolare in quelli che risiedono nel campo di Dbayeh, costruito nel 1951, a una decina di km a nord di Beirut. Inizialmente ospitava famiglie cristiane fuggite dalla Palestina nel 1948: solo poche tende, prima che venissero costruite strutture permanenti sulle alture di una collina. Oggi accoglie anche famiglie siriane rifugiate dal 2011 e famiglie palestinesi-libanesi.

Rifugiati palestinesi in Libano

Nel campo i parenti delle donne uccise davanti alla parrocchia di Gaza: “A Natale qui tutti vestiti di nero” 

Suor Magdalena Smet, religiosa della comunità delle Piccole Sorelle di Nazareth, fondata in Belgio, che vive la spiritualità di San Carlo de Foucauld, li accompagna insieme ad altre due sorelle dal 1987. “C’è molta angoscia e rabbia tra le famiglie qui”, racconta. “Alcuni dei loro parenti sono ancora a Gaza, si sono trasferiti molte volte e sono bloccati a Rafah. Tutto ciò che accade lì viene vissuto qui”. Oltre all’angoscia quotidiana, il campo di Dbayeh ha vissuto una tragedia più diretta il 16 dicembre, quando due donne sono state uccise dai cecchini israeliani davanti alla parrocchia cattolica di Gaza. Le due vittime erano infatti la sorella e la nipote di un rifugiato del campo libanese. “Per Natale, metà del campo si è vestita di nero”, spiega suor Magdalena.

Georgette Masri, 38 anni, è cristiana e vive anche lei a Dbayeh. Vive nell’angoscia quotidiana perché i suoi genitori sono “intrappolati a Rafah”, confida. “La guerra li ha costretti a spostarsi da Gaza a Khan Younes e ora a Rafah dove si nascondono. Li controllo ogni giorno per telefono perché non c’è internet. L’ultima notizia che ho da loro è che sono entrambi malati e non riescono a trovare le medicine… Faticano anche a trovare qualcosa da mangiare”.

La fede come unico sostegno

Georgette non si limita a contattarli al telefono come meglio può. Sta cercando, nella speranza di trovarli al più presto, anche di farli uscire dalla Striscia di Gaza. “Ma è molto difficile”, ammette. “Ci sono trafficanti che riescono a esfiltrare le persone attraverso l’Egitto ma chiedono 5 mila dollari a persona per farli uscire”.

Cosa fare allora quando tutti gli sforzi sembrano vani? “Ho fede e solo la preghiera può mantenerci forti per sopportare questa guerra”, spiega la donna. “Prego costantemente per i miei genitori. Ho ascoltato gli appelli del Papa e spero che continuerà a mantenere alta l’attenzione affinché questa guerra finisca. Ma ho pochissime speranze per il popolo palestinese. È difficile mantenere la speranza perché viviamo ancora nello spargimento di sangue”.

Una bambina in un campo profughi