L’eterno riposo, preghiera di luce e di pace

Vatican News

Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano

“L’eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace. Amen”

È la preghiera che viene dal cuore, il filo del ricordo e dell’amore che lega ciascuno ai propri cari che non ci sono più e per tutti coloro che ci hanno preceduto. Sembra una preghiera semplice e si impara presto a memoria: si recita in suffragio dei defunti soprattutto appena svegli al mattino e prima di coricarsi alla sera, insieme al Padre Nostro, l’Ave Maria e l’Angelo custode. Il Papa conclude la recita dell’Angelus con l’Eterno riposo in latino. Oltre che nelle celebrazioni esequiali può essere recitata durante il Rosario ed esiste anche la Corona dei Cento requiem. 

Una preghiera accorata

Sembra una preghiera semplice, appunto, ma se ci soffermiamo ad analizzarla, notiamo subito la ripetizione per due volte della parola riposo. Al centro la luce, che si chiede splenda ad essi. Parole che si incrociano tra loro e imprimono un ritmo dolce e sommesso ma allo stesso tempo accorato, forte. Proprio quello che ascoltiamo nelle splendide Messe da requiem composte tra gli altri, nel tempo, da Orlando di Lasso, Gossec, Mozart, Verdi, Fauré, che iniziano con l’introito gregoriano del Requiem.

Le origini antiche del requiem

L’Eterno riposo deriva dal IV libro di Esdra (II 33-48), apocrifo dell’Antico Testamento:
“…expectate pastorem vestrum,requiem eternitatis dabit vobis, quoniam in proximo est ille, qui in finem saeculi adveniet. Parati estote ad praemia regni, quia lux perpetua lucebit vobis per aeternitatem temporis”.
“…aspettate il vostro pastore, vi darà l’eterno riposo perché è prossimo colui che deve venire alla fine dei secoli. Siate pronti e riceverete il premio del regno, perché nei secoli dei secoli splenderà su di voi la luce perpetua. Fuggite le tenebre del secolo presente, ricevete la gioia della vostra gloria”.
Il passo è poi ripreso dai Padri della Chiesa e nel VI secolo entra nel Graduale Romano, libro liturgico del Rito romano della Chiesa cattolica, ma è diffuso già da tempo sulle iscrizioni funebri. La formula Requiem aeternam det tibi Dominus et lux perpetua luceat tibi, identica alla nostra preghiera ma volta al singolare, si ripete nella necropoli cristiana di V secolo di Ain Zara, nei pressi di Tripoli in Libia.
L’ultima frase, “riposino in pace” è aggiunta più tardi, tratta dal breviario francescano del XIII secolo. 

Il riposo 

Il riposo è nella Bibbia il compimento della Storia della salvezza (Salmo 95).  Già Dio, nel settimo giorno, dopo la creazione, si riposa (Genesi 2, 3). Il riposo sabbatico è un dono di Dio all’uomo che lo rende partecipe della sua vita gloriosa “perché possano godere quiete il tuo bue e il tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e il forestiero” (Esodo 23, 12). Il riposo ricorre spesso nella Bibbia e soprattutto esprime il riposo dopo la fatica e le privazioni della schiavitù (Deuteronomio 5,15; Ezechiele 37,14).

La luce

Riposare non esprime inerzia né ozio e neppure dormire. Il riposo invocato dalla preghiera ai defunti è quello illuminato dalla luce divina di chi non smette di seguire il Signore, perché solo “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare” (Salmo 23), mentre “Non avranno riposo né di giorno né di notte quanti adorano la bestia e la sua statua e chiunque riceve il marchio del suo nome” (Apocalisse 14,11).

Oltre all’Eterno riposo

Il Catechismo della Chiesa cattolica afferma che “fin dai primi tempi, la Chiesa ha onorato la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi, in particolare il sacrificio eucaristico, affinché, purificati, possano giungere alla visione beatifica di Dio. La Chiesa raccomanda anche le elemosine, le indulgenze e le opere di penitenza a favore dei defunti (1032)”. A tal fine cita Giovanni Crisostomo (In epistulam I ad Corinthios, homilia 41, 5: PG 61, 361):
“Rechiamo loro soccorso e commemoriamoli. Se i figli di Giobbe sono stati purificati dal sacrificio del loro padre, perché dovremmo dubitare che le nostre offerte per i morti portino loro qualche consolazione? […] Non esitiamo a soccorrere coloro che sono morti e ad offrire per loro le nostre preghiere”.