Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano
La Costituzione conciliare sulla liturgia Sacrosanctum Concilium afferma che durante la Quaresima ci si prepara alla Pasqua con una disposizione di «attesa in cammino» che invita alla conversione attraverso una vigilanza esercitata con opere di penitenza, carità e digiuno, in modo «da giungere con cuore elevato e liberato alla gioia della domenica di risurrezione» (Sacrosanctum Concilium 110).
La liturgia quaresimale annovera anche la messa stazionale, una celebrazione eucaristica che appartiene a una tradizione antica ma tutt’oggi viva e che grande impulso riceve dalla Pontificia Accademia cultorum Martyrum, che ha lo scopo, recita lo statuto, di «promuovere il culto dei Santi Martiri e di incrementare ed approfondire l’esatta storia dei Testimoni della Fede e dei monumenti ad essi collegati, fin dai primi secoli del cristianesimo».
La statio: le ragioni di un nome
Nella nostra epoca intendiamo con stazione un luogo di sosta lungo un percorso. Nel mondo romano la terminologia relativa alla viabilità era specializzata con termini specifici come, per citare i più noti, mansio, mutatio e, appunto, statio che è perdurato fino a noi. Per statio si intendeva per lo più un posto di guardia militare, dislocato lungo le vie e i confini dell’Impero, ma nelle fonti il suo uso si riscontra flessibile e riguarda anche funzioni amministrative o di semplice sosta e ristoro. Forse è proprio questa molteplicità di significati a mantenere l’utilizzo del termine fino ai giorni nostri. Vale la pena notare come nelle fonti tardo antiche la statio riguardi non solo una funzionalità logistica ma anche una disposizione dell’animo. Tertulliano nella Ad uxorem (II, IV, 1) e nel De oratione (XIX, 5) fornisce l’etimologia: Statio de militari exemplo nomen accipit, nam et militia Dei sumus, «La stazione deriva il suo nome dal mondo militare, poiché siamo esercito di Dio». Come la sentinella è a guardia dell’accampamento, così il credente deve essere sempre vigile, soprattutto durante la Quaresima.
La chiesa stazionale
Già nella metà del II secolo, nella quinta visione del Pastore di Erma (LIV 1, 1) si identifica nella stazione un luogo, in questo caso un monte, dove esercitare pratiche penitenziali.
L’importante cronografo del 354, la Depositio martyrum, lista dei martiri romani, riferendosi al 336, registra stazione un luogo dove la comunità si riunisce per pregare il martire lì sepolto, del quale si commemora il suo dies natalis, il giorno della morte che per i cristiani diventa la rinascita alla vera vita.
Invece nel Liber Pontificalis, che raccoglie le biografie dei Pontefici, sono nominate per la prima volta in forma ufficiale alcune stationes, in occasione del dono fatto loro da Papa Ilaro (461-468) di alcuni vasi utili alla celebrazione.
Le stationes si legano a determinati tempi liturgici e ad alcune celebrazioni solenni dedicate a santi e martiri e non si trovavano esclusivamente a Roma ma si diffondono anche altrove, specie nel nord Africa e in Europa, quale segno di fedeltà all’Urbe e della sua imitazione. San Gregorio Magno, papa dal 590 al 604, riorganizza il sistema delle stazioni e ne stabilisce la liturgia, inaugurandone la tradizione.
Il legame con i martiri
I santi martiri rappresentano un legame di comunicazione tra i credenti e Dio, con l’esempio del loro donarsi completamente, fino all’estremo sacrificio, pur di dichiarare e difendere la fede. Martire deriva infatti dal greco μάρτυς, che significa testimone. La liturgia delle stazioni quaresimali dimostra proprio questo rapporto: accompagnano il tempo fino alla Settimana Santa, dando corpo alle parole di Tertulliano, Christus in martyre est (De pudicitia 22), «Cristo è nel martire». Attraverso il martirio dei santi vengono riproposta la Passione di Cristo. I martiri ci introducono al Mistero e ci aiutano nella nostra personale salita al Calvario, ci consentono di elevarci spiritualmente, di convertirci.
La liturgia stazionale
Le celebrazioni iniziano il Mercoledì delle Ceneri e terminano nella domenica dell’Ottava di Pasqua. A presiedere le celebrazioni era il vescovo e quindi a Roma il Papa, che si riuniva in una chiesa vicina con il numeroso seguito di vescovi, presbiteri, diaconi, suddiaconi, accoliti e fedeli con i quali recitava la “colletta” per poi muovere in processione verso la sede stazionale intonando litanie.
Le vicende storiche imprimono o tolgono impulso a questa tradizione. Ad esempio fu sospesa durante la Cattività avignonese (1309-1377) e sparì dopo la breccia di Porta Pia (1870), quando furono vietate le processioni per ragioni di ordine pubblico. Fu reintrodotta dopo i Patti Lateranensi, grazie all’impegno dell’allora magister della Pontificia Accademia «Cultorum Martyrum», monsignor Carlo Respighi.
Le chiese stazionali
La lista delle chiese stazionali in Roma si è formata e accresciuta nel tempo e comprende innanzi tutto le grandi basiliche di San Pietro, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San Paolo fuori le Mura. A queste si uniscono le altre basiliche e chiese che non sono rimaste immutabili nel tempo ma che sono state anche modificate per rispondere a esigenze contingenti.
Le fonti non ci aiutano a capire i motivi della lista, né l’ordine di successione, a cominciare dalla prima, la basilica di Santa Sabina – che quest’anno per via della pandemia da Covid non vedrà svolgersi la tradizionale processione con il Papa. Restano soltanto ipotesi. Ad esempio per quest’ultima si pensa che la ragione sia nella sua ubicazione, sul colle Aventino, a guardare il corso del Tevere e la città sottostante e che pertanto in origine poteva essere raggiunta percorrendo la lunga salita dalla basilica di Santa Anastasia vicino al Circo Massimo, così che bene poteva rappresentare simbolicamente la fatica dell’ascesa spirituale.
Simbolo della Chiesa in uscita
Il rito inizia dalla colletta, cioè l’adunanza dei fedeli intorno al Pontefice o al vescovo, nel segno dell’unione, della partecipazione collettiva. La liturgia delle chiese stazionali è un riunirsi, un camminare insieme per raggiungere le pieghe più lontane della città, per incontrare le diverse comunità locali, riflettendo quanto riportato dalla Sacrosanctum Concilium: «La penitenza quaresimale non sia soltanto interna e individuale, ma anche esterna e sociale» (110).
Un libro per approfondire le chiese stazionali di Quaresima
Hanna Suchocka, già primo ministro della Repubblica polacca e quindi ambasciatrice presso la Santa Sede, è l’autrice del volume, edito dalla Libreria Editrice Vaticana, Le chiese stazionali. Un itinerario quaresimale. Si tratta di un’opera concepita in forma di diario, arricchita di fotografie a colori. Ogni capitolo è dedicato a un giorno di Quaresima, con le indicazioni necessarie per partecipare alle celebrazioni stazionali, comprese quelle itinerarie, e le letture del giorno.
Non si tratta soltanto di una guida alla storia e alle bellezze custodite nelle chiese, né quello è lo scopo principale del libro, se pur assai ricco di notazioni. È un diario che registra sentimenti, incontri e riflessioni, simile a quelli dei viaggiatori del Grand Tour tra Settecento e Ottocento, ma profondamente spirituale. La Roma moderna, rumorosa e caotica, disvela i suoi scrigni di bellezza silenziosa che invitano al raccoglimento, alla preghiera, alla partecipazione eucaristica. Queste pagine costituiscono una guida, nei giorni di Quaresima, a un cammino di verità interiore fatto di ricerca e suggestione, di preghiera partecipe e di spiritualità.