Giordano Contu
Ogni mese padre Lorenzo Snider sale in moto e guida verso sud lungo una pista sterrata che attraversa praterie, villaggi e montagne con tratti sconnessi e pendenze proibitive. La meta del viaggio è Kortuma, capoluogo del distretto di Vahun, a tre ore dalla città di Foya. Il predicatore della Società delle missioni africane (Sma) è la guida della minoranza cristiana del villaggio. Quando arrivò per la prima volta e incontrò i capi questi gli chiesero aiuto per i loro bambini. “Abbiamo deciso di costruire una scuola cattolica. Erano entusiasti. Il capovillaggio è venuto nel cantiere e ci siamo accordati con i giovani carpentieri musulmani che stanno costruendo i mattoni per il nuovo edifico”, racconta a «L’Osservatore Romano». Ciò permetterà a un centinaio di bambini di abbandonare la baracca in cui studiavano. “E’ un’esperienza di comunione interreligiosa che, soprattutto sulle opere di sviluppo, mette d’accordo cattolici e musulmani”. Perché la scuola è di tutti, così come la chiesa e l’ospedale che saranno costruiti nel prossimo futuro.
La parrocchia di Foya è considerata un’area di prima evangelizzazione. Negli ultimi due anni le comunità cattoliche sono passate da due a 14. Tre di queste possiedono una chiesa mentre le altre pregano nelle house stations guidate dai catechisti. L’opera di evangelizzazione segue tre canali. Uno vede padre Walter Maccalli, anche lui missionario Sma, andare nei villaggi in cerca di un primo contatto. Più spesso è la mediazione di altri cristiani presenti nell’abitato che permette di avviare un momento di preghiera, oppure la bravura di un catechista nativo. “Boston è un fenomeno”, dice padre Lorenzo. “Riuscirebbe a creare comunità anche nel deserto perché va li a parlare con la gente, vede se c’è qualche amico dei cattolici e gli propone di fare un’esperienza comunitaria. Quest’anno quattro comunità sono nate così”.
Spesso in questi villaggi nascono grandi attese legate alla costruzione di opere che migliorino le condizioni di vita. I missionari cercano di ridimensionarle. “La vita cristiana è prima di tutto accogliere Gesù Cristo”, afferma Snider, “ma senza fare proselitismo”. In quest’area c’è una tradizione religiosa molto forte legata alla ricerca di Dio attraverso potenze non direttamente riconducibili a Lui. Si tratta dei riti iniziatici del Poro che culminano con la rivelazione dei segreti all’interno del Bosco sacro che dovrebbero permettere ai giovani di prendere posto nella società adulta. “Con loro dialoghiamo e spesso quando riescono a incontrare Gesù provano una liberazione profonda”, confida padre Lorenzo. Ma occorre prudenza per non rompere l’equilibrio sociale. “Ci sono elementi positivi che vanno evangelizzati, ma non possiamo farlo da stranieri. Noi possiamo cercare di manifestare l’amore di Gesù con la maggiore apertura possibile”.
Nella Liberia nordoccidentale i missionari Sma stanno portando avanti un “progetto globale”. Nella casa parrocchiale di Foya si svolgono periodicamente le settimane di formazione liturgica con i catechisti. “Una cose semplice, ma straordinaria perché sottraggono il tempo al lavoro nei campi e alle famiglie per stare qui”, dice Snider. Tramite un’associazione il centro offre anche sostegno a decine di vedove, orfani e persone con disabilità. L’edificio ospita pure l’attività pastorale per i 300 giovani della Catholic children organization che avviano iniziative simili nelle house stations. “A fine anno abbiamo incontrato altri bambini. Hanno parlato soprattutto loro. Alla fine abbiamo fatto una riunione di tre giorni e hanno dormito tutti insieme”. Negli ultimi anni Sma e Fraternité laïque missionnaire (Flm) hanno rafforzato un presidio sanitario con medici, amministratori, infermieri e assistenti pedagogici francesi che svolgono volontariato per un anno.
In questi nei quattro mesi che separano il periodo della raccolta del riso dalla stagione delle piogge vengono costruite chiese ed altri edifici. Oltre a un istituto superiore a Foya finanziato da Aiuto alla Chiesa che soffre, sorgerà una scuola nel villaggio di Ngesu Pio Kongor grazie ai fondi di Sma Solidale. “Qui nel circondario c’erano 500 bambini senza accesso all’istruzione”, mi racconta, con un sorriso. “Per poter portare il cemento abbiamo dovuto sistemare la strada e costruire quattro ponti di legno. Non vedevano un’automobile da 10 anni”. La grande fiducia accordata alla scuola cattolica permette di sottrae queste aree della Liberia in cui si parla solo il Kissi a un futuro di emarginazione totale.
La presenza della Chiesa cattolica è stata ricostruita dai missionari Sma dopo la fine della seconda guerra civile che tra il 1999 e il 2006 costrinse la popolazione ad abbandonare la regione, occupata dai ribelli, per andare a vivere nei campi di rifugiati in Guinea e Sierra Leone. Oggi la parrocchia di Foya, legata alla Diocesi di Gbarnga, è tra le più popolose della contea di Lofa. “Qui facciamo un’esperienza ecumenica molto forte perché ci sono 25 confessioni religiose cristiane differenti”, conclude padre Lorenzo. Spiega che il territorio fu evangelizzato a metà Ottocento dai pentecostali, poi dai luterani, dagli episcopaliani e infine dai cattolici. Il missionario ci è arrivato un anno fa, dopo esser stato in Costa d’Avorio e poi a Padova con i richiedenti asilo dei Campi di Cona. Oggi, più che i drammi e le tensioni per la pandemia o per ’ebola, ciò che “scandalizza di piacere” il missionario è la vitalità e l’umorismo che danno ai liberiani la capacità di reagire a ogni tragedia.