Benedetta Capelli – Città del Vaticano
Salvatore Mazza ci ha consegnato una domanda chiara nel suo “Le nuvole, la speranza e il presepe alternativo”, ultimo articolo della rubrica: “Su questa pietra”, pubblicato due giorni fa su Avvenire, il suo quotidiano.
A leggere questa frase, dopo la sua scomparsa avvenuta oggi a Roma, viene un sussulto perché proprio lui è stato chiamato. Anche se qui la chiamata a cui Salvatore si riferiva era quella “a mettere da parte l’egoismo, l’indifferenza e l’antagonismo”, a farsi carico di chi è dimenticato e scartato. Parole che Papa Francesco aveva pronunciato nell’omelia della Messa per la memoria della beata Vergine Maria di Guadalupe, e che lui aveva fatto sue.
Fa pensare anche che il suo ultimo articolo riporti un ricordo da bambino riguardante il presepe, un guardare indietro che colpisce, del suo essere ardito nel voler trasportare nelle scene della Natività l’attualità della Guerra dei sei giorni. Salvatore lascia anche una considerazione amara sull’oggi, oltraggiato dal conflitto in Ucraina. “Non credo – scriveva – che ci sia stato mai, o almeno non lo ricordo io, un Natale senza nuvoloni neri a incombere sul nostro mondo ovattato e un po’ distratto. Però, forse, un Natale cupo come questo mai”.
“Io non sono la Sla”
Salvatore Mazza, 67 anni, era stato a lungo vaticanista di Avvenire e presidente dell’Aigav, l’associazione dei vaticanisti accreditati presso la Santa Sede. I funerali si terranno domani, 27 dicembre alle 15.30, nella Chiesa del Sacro Cuore del Suffragio a Roma. I colleghi del giornale della Conferenza episcopale italiana lo ricordano come una persona “gentile, disponibile con i più giovani”. Dal 2017 era malato di Sla, una malattia che ha raccontato sempre in un rapporto di franchezza e verità con i suoi lettori, nonostante le capacità ridotte di muoversi e parlare. Accanto a lui la moglie Maria Cristina e le figlie Giulia e Camilla che, dalle colonne de L’Osservatore Romano, hanno raccontato il loro essere “famiglia Sla”. “Quando una persona si ammala, è tutta la sua famiglia ad ammalarsi – scriveva Giulia – : di dolore, di solitudine, di senso di impotenza, di una quotidianità stravolta in modi impensabili. E che alla fine, quando tutto esplode, quello che resta siamo sempre e comunque noi: e allora l’unica cosa che conta è volersi un po’ di bene, avere rispetto della propria fatica e di quella degli altri, sapersi perdonare per tutto quello che non siamo capaci di fare. Provarci, almeno”.
L’amore che va oltre
Maria Cristina a Vatican News, pur raccontando le fatiche, spiegava da donna innamorata e dedita che Salvatore non era la sua malattia. “Caratterialmente non è una persona incline alla depressione – spiegava la moglie – è una persona estremamente centrata e lo è sempre stata. La malattia non lo ha cambiato, ha anche accettato la propria disabilità, non dico con facilità e con leggerezza ma come un percorso di vita e poi il riscontro con gli altri fa davvero la differenza”. “Un uomo fisicamente sconfitto ma resta l’uomo che ho sposato. Noi siamo sempre gli stessi, magari molto arrabbiati e addolorati ma sempre gli stessi”. Un amore che va oltre ogni ostacolo.