Paolo Ondarza – Città del Vaticano
Una chiesa dedicata alla celebrazione del mistero della Natività di Gesù, Figlio di Dio, fatto uomo per la salvezza dell’umanità. Oltre ad essere la prima Basilica d’Occidente intitolata alla Vergine, Santa Maria Maggiore sul Colle Esquilino a Roma intreccia la propria storia con quella della Grotta di Betlemme.
Cinque asticelle di acero
Fin dal 432, per volere di Sisto III, accolse infatti al suo interno un Oratorio del Presepe, ovvero una riproduzione fedele della grotta in cui nacque Gesù realizzata con pietre provenienti dalla Terra Santa. A sugellare questa identità di “Seconda Betlemme” fu intorno alla metà del VII secolo, precisamente nel 644, il dono che il Patriarca di Gerusalemme, san Sofronio, fece a Papa Teodoro I.
“A seguito delle incursioni persiane che già avevano devastato molti luoghi legati al ricordo della vita di Cristo – spiega a Vatican News monsignor Adriano Paccanelli, maestro delle celebrazioni liturgiche di Santa Maria Maggiore – il futuro santo, monaco e teologo, ardente difensore dell’ortodossia, donò al Pontefice, originario della Palestina, cinque asticelle in legno di acero provenienti dalla greppia di Betlemme”, la Sacra Culla o cunabulum, assieme alle fasce in cui fu avvolto il piccolo corpo di Gesù. Da allora si conservano nella Basilica Liberiana che venne intitolata Sancta Maria ad Praesepium, divenendo meta dei pellegrini “romei” in occasione delle festività natalizie, oltre che oggetto di grande devozione e munificenza da parte di pontefici e sovrani.
L’oratorio ‘traslato’
A cambiare assetto alla pianta basilicale fu nel 1590 Papa Sisto V Peretti che fece edificare da Domenico Fontana la monumentale cappella del Santissimo Sacramento. Qui, al di sotto dell’imponente Tabernacolo in bronzo dorato, cuore pulsante del culto eucaristico realizzato in ossequio alle norme del Concilio di Trento, l’architetto riuscì a traslare tramite carrucole ed argani l’antico sacello precedentemente collocato nella navata destra della Basilica.
Circondato da affreschi dedicati agli antenati di Cristo e alle storie della Vergine, il pontefice rinascimentale è rappresentato sulla parete sinistra della cappella nel monumento funebre a lui dedicato: inginocchiato, in preghiera, con lo sguardo rivolto in basso verso l’altare medievale dell’Oratorio del Presepe dove, nelle notti di Natale rispettivamente del 1517 e del 1538, san Gaetano da Thiene ebbe la visione mistica del Bambino Gesù e Sant’Ignazio di Loyola celebrò la sua prima messa.
Il presepe, Arnolfo e Francesco d’Assisi
“Qui – ricorda monsignor Paccanelli – venne anche collocato quello che è considerato il più antico presepe in scultura della storia, realizzato da Arnolfo Di Cambio nel 1289 su commissione del primo Papa francescano Niccolo IV, a meno di settant’anni dalla rappresentazione del presepe vivente di San Francesco a Greccio”. Oggi le opere sono collocate nella cappella dedicata a san Girolamo, sul lato sinistro dell’ingresso della Cappella Sistina.
Le cinque statue sopravvissute
Sarebbe sbagliato ritenere quella scaturita dallo scalpello di Arnolfo come la rappresentazione più antica della Natività. Essa è indubbiamente in Italia la prima forma di presepe moderno, che si serve cioè di figure scolpite. Non si conosce il numero esatto di personaggi che dovevano costituire l’originario complesso che quando fu concepito doveva essere colorato: lo testimoniano le tracce di pigmenti ancora presenti sulla pietra. Di questo capolavoro unico dell’arte plastica medievale, ricordato anche da Vasari, sono sopravvissute solo cinque statue in marmo con le figure di san Giuseppe, due Magi Stanti, un Magio orante inginocchiato, le teste del bue e dell’asino, alle quali si aggiunge una Madonna con Bambino, seduta su una roccia, e di dimensioni maggiori, circa un metro di altezza. Quest’ultima non sarebbe da ricondurre alla mano di Arnolfo e avrebbe subito significative modifiche nel Cinquecento.
Dentro il presepe
Lo spettatore è coinvolto e condivide lo spazio abitato dalle sculture, modellate secondo un “criterio di visibilità”: Arnolfo lavorò solo le parti che risultavano a vista. Se osservate da angolazioni diverse da quelle per cui furono ideate, infatti, le figure tendono a deformarsi e rivelano lineamenti non perfettamente definiti. Un’incredibile realismo emerge dal volto barbuto di Giuseppe con le spalle leggermente incurvate, o dai fluenti capelli del Magio orante vestito in abito sacerdotale. Nulla si conosce della Madonna con Bambino lavorata da Arnolfo, la quale secondo alcuni storici era rappresentata sdraiata, come una puerpera. La statua di Maria differisce da quelle medievali: mentre le seconde sono lavorate solo sul lato frontale, la prima è scolpita a trecentosessanta gradi, quindi anche sul retro.
Come i pastori di Betlemme
Come i pastori richiamati dalle parole dell’angelo, “Questo per voi il segno: troverete un Bambino avvolto in fasce che giace nella mangiatoia”, in tanti ancora giungono a Santa Maria Maggiore a Roma, nota per secoli come la Betlemme d’Occidente. “In ogni momento dell’anno – ricorda monsignor Paccanelli – i fedeli possono contemplare al di sotto dell’altare maggiore della Basilica, di fronte alla grande statua di Pio IX inginocchiato, le reliquie della Sacra Culla, contenute nel prezioso reliquiario in cristallo, ornato da bassorilievi in argento e realizzato da Giuseppe Valadier nei primi anni dell’Ottocento”. Particolarmente signficativo è stato il dono di un frammento di queste venerate asticelle in legno che Papa Francesco ha voluto fare alla Custodia di Terra Santa nel novembre 2019.
La liturgia della luce
“A Natale in Santa Maria Maggiore, a parte il presepe di Arnolfo di Cambio, non viene allestito un presepe come accade invece in tutte le chiese del mondo. C’è il vero presepe, il luogo fisico in cui Gesù venne deposto nella santa notte di Betlemme: la greppia. Nella notte di Natale questa reliquia è oggetto di particolare venerazione. Fino a qualche anno fa, prima dell’emergenza pandemica, veniva portata in processione lungo tutte le navate al canto del Gloria, quindi collocata al centro dell’altare papale e incensata. Successivamente – spiega Paccanelli – aveva luogo una liturgia simile a quella della luce durante la veglia pasquale. Dalla candela posta accanto alla greppia si accendevano via via tutte le altre candele in mano ai fedeli, illuminando così tutta la Basilica”.
Un ‘segno’
Sull’attualità del messaggio della reliquia della Sacra Culla monsignor Paccanelli precisa: “Molti dibattono sull’autenticità delle reliquie. Ci sono varie opinioni. Alcuni studi attestano l’autenticità della greppia, risalente ai tempi della nascita di Gesù; ma una cosa è più importante: la reliquia della mangiatoia è un ‘segno’, un ‘segno eloquente’ che ci permette di vivere meglio il mistero della nascita del nostro Salvatore. È un segno che il Signore dona al suo popolo come aiuto per la fede. Non siamo chiamati a credere che sia autentica, non è un atto di fede quello che ci è chiesto. La Sacra Culla è un aiuto per la fede dato ai semplici, agli umili, ai poveri, ai prediletti da Gesù: coloro che riescono a capire meglio il mistero del Natale”.