La garante per l’infanzia Garlatti: con i minori non reprimere ma educare

Vatican News

L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza dal gennaio 2021 è Carla Garlatti, che in passato è stata presidente del Tribunale per i minorenni di Trieste e ha molto a cuore i giovani che si trovano all’interno del circuito penale. Da qualche mese ha promosso un progetto sulla giustizia riparativa

Roberta Barbi – Città del Vaticano

Perché un’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, con tutte le tematiche riguardanti i nostri giovani che poteva affrontare, ha deciso di confrontarsi proprio con la giustizia riparativa? Certamente perché le persone non sono quello che hanno commesso né quello che hanno subito, ma c’è di più: “È uno strumento che mette in risalto sia l’autore sia la vittima del reato, senza dimenticare nessuno, ma anche senza stigmatizzare nessuno”. Ha le idee chiare, anzi chiarissime, la dottoressa Carla Garlatti, che spiega come la giustizia riparativa sia vincente perché lavora sulle persone e non sui fatti, che sono un’altra cosa.

Ascolta l’intervista con Carla Garlatti:

Empatia per superare il trauma

L’oggetto dell’indagine avviata dall’Autorità garante riguarda proprio la diffusione e l’utilizzo della giustizia riparativa in Italia, uno strumento da tempo usato nell’ambito della giustizia minorile: “Non si dimentica mai la vittima, che nei processi con i minorenni non può costituirsi parte civile – spiega – anzi, ricevere comprensione, nello specifico dall’autore del reato, rende più agile il superamento del trauma”. “Dal punto di vista dell’autore del reato, invece, comprendere non solo il danno effettivo causato, ma anche quello emotivo è fondamentale – aggiunge – anche perché spesso, quando si tratta di minori, si riscontra quanto non abbiano assolutamente coscienza di ciò che hanno provocato”.

Non solo mediazione penale

C’è un universo intero, dietro il termine giustizia riparativa, che parte dalla mediazione penale in caso di reato contro la persona – la forma intuitivamente più applicata – ma comprende anche conference o circle e tutte quelle declinazioni che coinvolgono le famiglie degli autori di reato, il contesto e la società stessa, utilizzate in caso di reati contro la collettività. “Sono strumenti efficaci, ma non ci si deve improvvisare – avverte la Garante – gli incontri vanno preparati da esperti e non sempre è facile trovare collaborazione soprattutto da parte delle vittime che temono la stigmatizzazione sociale che le chiude in una gabbia da cui è poi difficile venire fuori”.

Un investimento della società sui giovani

La Garante racconta ancora a Vatican News come la giustizia riparativa venga a volte tacciata di buonismo: “In realtà è tutt’altro: è un investimento della società sui giovani. Quando un autore di reato capisce realmente, nel profondo, cosa ha causato nell’altro, la recidiva si abbatte da sé”. Necessaria anche l’introduzione di pene ad hoc per i minorenni: “Ancora di più per i giovani il carcere deve essere educativo e non repressivo – prosegue – oggi il nostro ordinamento prevede che a parità di reato un minore sia punito con la stessa condanna di un adulto, al massimo la pena viene ridotta di un terzo, invece sarebbero più utili sanzioni alternative come ad esempio l’obbligo di fare volontariato come già avviene in Paesi quali Austria e Spagna”.

Le alternative al carcere: il concetto di comunità

La dottoressa Garlatti si è fatta spesso portavoce della necessità di applicare le alternative al carcere che nel caso di autori di reato minorenni sono molteplici: “Abbiamo la detenzione domiciliare, la semilibertà, l’affidamento in prova – illustra – tutte le alternative al carcere sono state sistematizzate nel decreto 121 del 2018 sull’esecuzione penale per i minorenni, che ha evidenziato come fondamentali la funzione educativa delle misure nei confronti della comunità”. Infine, l’indagine non può non considerare gli effetti a breve, ma soprattutto a lungo termine, che la pandemia appena conclusa ha lasciato e lascerà sui nostri giovani: “La pandemia ha colpito tutti indistintamente, ma è ovvio che abbia rimarcato le disuguaglianze sociali già presenti; ciò significa che chi viveva già prima in contesti di marginalità, oggi è ancora più a rischio devianza e quindi a rischio di entrare nel circuito penale anche molto presto”.