Kazakhstan, Mumbiela Sierra: dopo Francesco sono cambiati molti cuori

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Federico Piana – Città del Vaticano

L’interesse per la visita del Papa in Kazakhstan, terminata il 15 settembre scorso, ancora non si è spento nel Paese dell’Asia Centrale. La Chiesa e la società civile stanno continuando a  riflettere sulle parole di pace e fraternità che il Pontefice ha pronunciato nei suoi discorsi durante il viaggio organizzato in occasione del Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali, terminato con l’approvazione di una dichiarazione finale che esorta alla costruzione di un mondo riconciliato.

Incoraggiamento e testimonianza

“La realtà ha superato ogni nostra aspettativa”, afferma monsignor Josè Luis Mumbiela Sierra, vescovo della diocesi di Santissima Trinità ad Almaty e presidente dei vescovi dell’Asia centrale. Il presule traccia un bilancio meditato di un viaggio considerato storico: “È stata una visita che potremmo definire multidimensionale. La situazione politica mondiale, il futuro del nostro Paese, la guerra in Ucraina: tanti elementi a livello politico e sociale che hanno ricevuto non solo un messaggio, ma anche incoraggiamento e testimonianza”.

Ascolta l’intervista a monsignor Josè Luis Mumbiela Sierra

Un risultato importante è stato raggiunto anche per il dialogo interreligioso…

Per il dialogo interreligioso è stata segnata anche una tappa importante, in linea con quello che si potrebbe chiamare lo “spirito di Assisi” e gli accordi di Abu-Dhabi. E, naturalmente, per la vita della Chiesa in Kazakhstan è stata una cascata di grazia e benedizione.

Quali frutti porterà questa visita per la piccola Chiesa del Paese?

Molti frutti ci sono già giunti prima della visita. Mi è stato detto, ad esempio nella nostra diocesi, con quale entusiasmo si è preparato il popolo, quante persone hanno fatto un passo avanti nella loro fede e nei sacramenti, spinte dalla venuta del Papa. Molti, soprattutto nelle piccole città e comunità, hanno rafforzato la loro identità di chiesa-famiglia. Dopo la Messa del 14 settembre avevamo già ricevuto notizie di conversioni e di persone che proprio lì avevano preso la ferma decisione di diventare cattoliche. Ci sono, è vero, anche frutti di natura più “amministrativa” nei rapporti con il governo, ma la cosa più importante è il cambiamento nel cuore delle persone. Ne conosciamo alcuni, ma siamo convinti che sia ancora presto per raccogliere l’immensa semina che il “divino seminatore” ha generosamente sparso sulla nostra terra.

La piccola Chiesa del Kazakhstan si sente confermata nella sua fede? Quali passi di apostolato è disposta a fare dopo la visita di Papa Francesco?

C’è una frase che in russo si dice spesso quando qualcuno è cresciuto personalmente o professionalmente: “Per una grande nave, grande navigazione”. In questi ultimi 30 anni, senza dubbio, la Chiesa cattolica ha perso parrocchiani a causa dell’emigrazione, ma credo che stia crescendo nella conferma della propria identità di Chiesa che cammina nell’Asia centrale, non così legata all’ascendenza europea della maggioranza dei suoi membri. Questa e nessun’altra è la strada da percorrere. La pluralità etnica dei nostri fedeli, simile a quella del Paese, ha visto confermata la propria identità nell’unità di fede con il Successore di Pietro. Continuando con l’esempio delle barche, possiamo ascoltare le parole di Gesù simili a quel proverbio russo: “Rema in mare” (“Duc in altum!”). Il Signore ci affida una missione più audace e sarà con noi per essa.

Che effetto ha avuto la partecipazione del Papa al Congresso dei capi delle Religioni Mondiali e Tradizionali?

I suoi discorsi sono stati ricevuti con grande gioia dai non cristiani. Ha dato una magistrale lezione di dialogo, di apertura, senza lasciare spazio a possibili relativismi. Ho ricevuto testimonianze di musulmani praticanti che hanno scritto ai loro amici cattolici, commentando positivamente le parole del Papa, ripetendo anche le sue citazioni. I riferimenti ai pensatori e alle tradizioni kazake sono stati molto apprezzati. Hanno scoperto che i cattolici non vengono per “conquistare distruggendo”, ma sono capaci di valorizzare e assumere gli apporti della cultura locale come qualcosa di positivo per tutti. In un altro ordine di cose, credo che il Santo Padre si sia distinto come l’unico leader mondiale capace di incoraggiare la ricerca di un cammino comune, un cammino di pace per tutti, a prescindere dal nostro punto di partenza, essendo artigiani di comunione: soprattutto una comunione sociale, per evitare disuguaglianze.

Dopo la visita del Papa, in che direzione proseguirà il dialogo e il confronto, che sono nel Dna del Paese?

Papa Francesco ha parlato chiaramente della necessità non solo del dialogo interreligioso ma anche del dialogo sociale, al fine di forgiare una democrazia più forte e duratura. Il nostro Paese è ormai coinvolto in un processo di cambiamento irreversibile e il governo, consapevole di ciò, sta prendendo decisioni in tal senso. Sono momenti delicati in cui anche i diversi gruppi religiosi devono apportare tutto il necessario per un processo sociale che ci porti ad acque calme, a quell’unità sociale necessaria per il progresso e la sicurezza di tutti. Il Kazakhstan è consapevole di aver acquisito una certa responsabilità internazionale per essere un modello di convivenza. È una grande sfida, certo, ma è ciò che tutti vogliamo.

Come evitare che la dichiarazione finale del Congresso, letta alla presenza di Papa Francesco, venga tenuta in un cassetto e dimenticata?

A livello nazionale, credo che sarà possibile operare in ambiti diversi, sia ecclesiali che civili. È un testo interessante per il legame che ha con la dottrina sociale della Chiesa. Cercheremo di fare in modo che negli incontri interreligiosi venga studiato o considerato. Non ho dubbi che il governo lo utilizzerà in alcuni incontri, perché fa parte dell’ideale di questo Paese. Al termine del Congresso è stato anche detto che il Documento finale sarebbe stato inviato al corrispondente dipartimento delle Nazioni Unite.

Secondo lei, le parole di pace che il Papa ha pronunciato nei suoi discorsi possono essere anche un incoraggiamento per tutta l’Asia e per tutta l’umanità?

Senza dubbio. Il dialogo interreligioso è una realtà costante in Asia, dove il cristianesimo è una minoranza, e molti conflitti potrebbero essere evitati se i leader religiosi promuovessero la pace secondo i concetti proclamati in questo Congresso. La proiezione internazionale delle parole del Santo Padre è chiara, perché il Papa non si rivolgeva a un Paese o a un continente ma al mondo intero, a tutti gli angoli del mondo dove i cuori umani sono afflitti dall’assenza di pace.